completo di tutte le date dei tour passati e futuri e dotato anche di una sezione discussioni riservata ai fans (che, evidentemente sono tantissimi, se solo su Facebook hanno cliccato su 'mi piace' in oltre 130.000!), comunque, 'sto super sito non ospita una biografia della band, o se ce l'ha non è facilmente trovabile. Dal sito scopriamo comunque che la band ha già alle spalle una ricca discografia: sei album intitolati “Waiter: you vultures!”, “Church Mouth”, “Censored Colors”, “Satanic Satanist”, “American Ghetto”, fino ad arrivare a quel nuovissimo “In the mountain, in the cloud” che prendiamo in esame qui: tutti album caratterizzati, come il sito stesso, da soluzioni grafiche semplicemente splendide, coloratissime e pesantemente debitrici di tutta un'iconografia psichedelica di fine anni '60. Musicalmente parlando, invece, il riferimento più immediato che ci balza alla mente sono i Mercury Rev; non poche le somiglianze tra questa band dell'Alaska e i loro famosi numi tutelari: arrangiamenti acustici ed ariosi, tastiere d'epoca con organetti e mellotron che saltellano qua e là stridenti. un po' volontariamente scalcinati e qualche sibilo strano di synth, belle armonie vocali, molto curate e ben studiate, qualche falsetto piazzato strategicamente, orchestrazioni ad ampio respiro, piccoli tocchi di tamburelli sparsi ad arricchire il tutto. Solo You carried us, pur conservando questo stile coerente a tutto l'album, nelle melodie, soprattutto nel ritornello, non può non ricordare gli Oasis. Tra le similitudini, ferma restando la forte presenza di questa influenza Mercury Rev, non si può non pensare anche ai Flaming Lips, ai Motorpsycho del loro periodo intermedio, dopo una fase iniziale segnata da influenze un po' più hard, al Julian Cope degli esordi per il songwriting solare e vivace (ma senza quel pizzico di stravaganza che distingue il genio) e l'inevitabile 'longa manus' di Brian Wilson a vegliare sul tutto.
Alberto Sgarlato
Portugal The Man
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