sabato 29 gennaio 2011

DAVID BOWIE : Heathen (2002, Columbia/Iso)

David Bowie

Non c'é dubbio che David Bowie in quei primi anni - nuovo millennio stava mettendo a punto un'operazione di ripescaggio e serializzazione di quel rock melodico e decadente straordinariamente fascinoso che lui stesso aveva messo a punto nei decenni precedenti attraverso albums indimenticabili come "Hunky Dory, Ziggy Stardust, Heroes, Station to Station". Ci troviamo al cospetto di un artista eclettico, che ha fatto della multimedialità da sempre la sua arma vincente, non é certo un mistero per tutti coloro che seguono da sempre le vicende del rock: sin dai tempi del travestitismo e delle paillettes nei primi anni '70 Bowie ha considerato il rock un viatico per contrabbandare la sua visione iper-umana dell'esistenza ed il suo sguardo aperto sull'universo ed altri mondi.
Studiò all'inizio della sua carriera artistica da mimo, danza, teatro e con il passare delle primavere ha trovato nella pittura e nelle arti figurative altri ideali moduli espressivi. E' anche vero che é divenuto un ottimo uomo d'affari e che si é inserito alla perfezione nel business musicale, ma ciò non ha minimamente congelato la sua ispirazione. Bowie é un artista che si é sempre lasciato sedurre da tutto nel corso della sua carriera, a cominciare dal rock dell'oltraggio e dai suoi padrini storici come Lou Reed ed Iggy Pop, che risollevo' dagli abissi di disperazione ed abbruttimento esistenziale/artistico in cui giacevano negli anni '70 producendo e contribuendo fattivamente agli albums della loro rinascita: "Transformer" e "The Idiot".
Ma Bowie é stato anche vittima subito dopo della gelida fascinazione dell'elettronica e dell'ambient-music che sperimentò con il mago Brian Eno nella triade di opere del periodo berlinese: "Heroes, Low e Lodger", tracciando nuovi seminali sentieri avanguardistici per la musica a venire!
Non si può dire lo stesso anni dopo, nei '90, delle alchimie sintetico/dub/hip hop di un disco come "Earthling" ('97),un pasticcio sonoro in cui Bowie ha annegato la sua ispirazione in un magma di ritmi artificiosi e spezzettati!
"Earthling" era però stato preceduto nel '95 dal concept-album "Outside (The Nathan Adler Diaries)", capolavoro oscuro ed inquietante di avant-garde/ambient-pop, primo capitolo di una saga cui Bowie purtroppo non ha poi dato seguito.

Heathen

Il ritorno clamoroso all'umanesimo melodico si ebbe con "Hours (1999)", il disco che ha preceduto "Heathen": aperto dalla stupenda Thursday's Child esso segnava anche un salutare rigurgito di certo rock turgido che Bowie aveva già celebrato in modo massiccio nei Tin Machine, in compagnia del fedele chitarrista Reeves Gabrels e della rocciosa sezione ritmica dei fratelli Sales. "Heathen" é il primo album del terzo millennio di Bowie, tout-court un Capolavoro: fa sua l'arma della nostalgia, proiettandola nel futuro. Qui si appronta un mosaico di composizioni dal penetrante appeal melodico nel quale Bowie ancora una volta dimostra di essere un maestro. Le suadenti e liriche Sunday, Slow Burn, I Would Be Your Slave, 5.15 The Angels Have Gone rimandando dritti alle malinconie ed ai languori esistenziali di "Station To Station", si configurano come nuovi parametri dell'invincibile solitudine dell'uomo contemporaneo. Ma Slip Away pare un ectoplasma ispirativo in cui rivivono miracolosamente fascinazioni di timeless classics come Space Oddity e Life On Mars.
Del resto il co-produttore di "Heathen" é quel Tony Visconti che con Bowie tanto collaborò in passato e questa affinità antica d'intenti si sente molto nell'album. I've Been Waiting For You: Bowie che rivisita Neil Young, quello ruspante del primissimo album. Il passionario attacco chitarristico avvince; Bowie ne da' una versione epica. Vibrante e palpitante é anche Afraid, giocata su un sottile e sconcertante senso d'inquietudine. Ancora nostalgia 'spaziale' in I Took a Trip on a Gemini Spacecraft: un viaggio all'insegna di un'ansia siderale 'easy' ed orizzontale. La terna conclusiva Everyone Says Hi - A Better Future - Heathen (The Rays) si fa prodiga ancora di ammalianti melodie: in ogni modo é soprattutto Everyone Say Hi a conquistarsi un posto al sole in virtu' di un ritornello e sviluppi armonici decisamente intriganti e solari.
Infine l'insinuante Cactus.
Ospiti di Heathen tantissimi, doveroso menzionare Dave Grohl, Pete Townshend e Carlos Alomar.

Wally Boffoli

Heathen

KNOXVILLE GIRLS: "Knoxville Girls (1999, In The Red Records)" - "In A Paper Suit " (2001, In The Red Records)

Ho deciso di resuscitare (per quella inspiegabile 'nostalgia' che mi attanaglia puntualmente a brevi intervalli, ma anche per affabulare ai più giovani), dopo gli arroganti punk-bluesmen The Immortal Lee County Killers, un'altra piccola leggenda a stelle e strisce consumatasi nel breve volgere di due anni, tra il 1999 ed il 2001: Knoxville Girls. Lo farò accorpando e ricontestualizzando due mie recensioni (apparse sul magazine cartaceo barese Uoz'Ap?) scritte in occasione della pubblicazione (su rigoroso vinile) dell'essenziale etichetta In The Red Records dei due albums in studio di questa band.

Knoxville Girls (In The Red Records, 1999)

Molti aficionados ed addetti ai lavori si chiesero all'uscita del loro primo omonimo album (1999, In The Red Records) se Knoxville Girls, sorta di supergruppo dal nome misterioso avrebbero resistito nel tempo al loro debutto.
Sui motivi che spinsero Jerry Teel, Bob Bert e Kid Congo Powers, nomi ben noti nell'underground newyorkese ad unire le loro energie non vi furono dubbi: il loro amore viscerale per il rock'n'roll americano nelle sue varie rivisitazioni. Jerry Teel e Bob Bert avevano sciupato i loro migliori anni nei Chrome Cranks, Pussy Galore, Boss Hog, Honeymoon Killers; Kid Congo Powers aveva marchiato a fuoco i venerabili e venerati Cramps,i Gun Club degli anni migliori, i 'Semi Cattivi' di Nick Cave, ed i misconosciuti Fur Bible dell'avvenente dark-lady Patricia Morrison (anche bassista con Jeffrey Lee Pierce nei Gun Club).
L'unione di questi tre 'maledetti' del noise-blues americano sortì un primo lavoro molto godibile e vario, in bilico tra l'omaggio più o meno ortodosso agli autori classici dell'American Music: Charlie Feathers nella cover di Have You Ever, Ray Charles (I Had A Dream), Ferlin Husky (I Feel Better All Over), Haywood Joe (Warm and Tender Love), George Jones (He Stopped Loving Her Today); il recupero di quell'approccio rude e selvaggio al rock'n'roll ed al r&blues tipico dei primi Stones, Pretty Things e Yardbirds (nei brani Two Time Girl, One Sided Love, Kung Pow Chicken Scratch ); ed infine l'ipnosi blues atavica portata al parossismo, 'noisizzata' senza ritegno, come nella dylaniana NYC Briefcase Blues che qui vi offriamo in una trascinante veste live alla Free Street Taverna di Portland. Sintomatici i quasi nove minuti di Low Cut apron/Sugar Fix, sorta di Goin' Home (Stones/Aftermath) incattivita a dovere!
Godetevi quindi la slide insinuante di K.C.Powers, l'harp ed i sussulti vocali da bad boy di Jerry Teel, il drumming ipnotico di Bob Bert, nonché i numerosi inserimenti di caldo organo di Barry London.

In A Paper Suite, (In The Red Records, 2001)

Mi sono sempre augurato dopo il loro primo omonimo album che le cinque ‘ragazzine’ di Knoxville tornassero sul luogo del misfatto! Sono stato accontentato ad un anno di distanza o poco più, dopo l'uscita nel 2000 sempre In The Red di "In The Woodshed live LP".
Il luogo è sempre l’etichetta americana In The Red, una delle più ghiotte da sempre per chi sostiene e segue il rock non allineato o mainstream che dir si voglia; il misfatto che continua ad essere perpetrato in “In A Paper Suit” è lo sporcare metodicamente (ma potrebbe significare al contrario rivestire di nuova verginità!) country, hillbilly, blues, ovvero le fonti imperiture del rock americano, con l’intreccio deragliante di tre chitarre, Jerry Teel, Kid Congo Powers, Jack Martin, che si scambiano di continuo i ruoli, abbozzano ed intrecciano perfidamente riffs, alternano timbri aggressivi e rilassati; come se ‘Charlie Feathers avesse i Velvet Underground come backing band!'.
Country-NoWave si autodefinisce nel loro sito la musica di questi cinque outsiders che si sono lasciati apparentemente alle spalle un passato turbolento.
Sono brani che sfuggono a catalogazioni precise come Sophisticated Boom Boom (Shangri-Las), In A Paper Suit, Loving Cup, Butcher Knife, Drop Dead Gorgeous; un campionario blues-roots-rock che tocca più volte toni vaudeville e grotteschi; ballate e cover di brani di 'loners' perduti (By The Lonesome River di Hasil Adkins), 'Neath A Cold Gray Tomb Of Stone di Hank Williams, strumentali torridi e viziosi, come Any Reason To Celebrate e 50 Feet High, 50 Feet Down che sembra un’outtake di un album dei Cramps o dei Gun Club per la mano pesante che K.C.Powers ci mette, ottimi come soundtrack di una qualche pellicola immersa nella profonda provincia del sud americano. Anche "In A Paper Suit" si conclude con quella che ha tutta l’aria di essere una jam-session chitarristica frutto di una notte sconvolta, 5:28. Infine le tastiere di Barry London, che a differenza del primo album sono in bella evidenza, fondamentali per sceneggiare con nitidezza questi flash di un’’american way of life’ sconosciuta in quegli anni certamente a Mr. Bush, concepiti in motels e stanze d’albergo non di primissimo ordine!


InTheRedRecordsKnoxvilleGirls

Wally Boffoli

venerdì 28 gennaio 2011

R.E.M. : “Chronic Town” (1982, I.R.S. Records)

Nei primi anni ottanta, in pieno post-punk, quattro giovani studenti di Athens (Georgia), Michael Stipe, Mike Mills, Peter Buck, Bill Berry, influenzati dalle sonorità proto-punk di Velvet Underground e Patti Smith, decidono di seguire le orme dei loro beniamini. Tutto è possibile, gli ‘ingredienti’ sono più semplici di quanto si possa pensare: una chitarrista, una batterista, un bassista e un cantante. C’è bisogno di altro? Se ce l’hanno fatta i rozzi Germs, privi di una adeguata preparazione tecnica, tutti ce la possono fare, basta sanguinare (we must bleed), dare se stessi per il sacro calice rock’nr’oll.
Nel 1982 i R.E.M. pubblicano il primo e.p., "Chronic Town", mai esordio fu più felice. Ogni canzone è un piccola perla da custodire gelosamente.
L’animo della band è maledettamente punk, anche se le sonorità delle cinque canzoni contenute nell’ep si rifanno al pop-rock anni sessanta, ispirandosi al suono jingle-jangle dei Byrds. Ma allora perché definirli punk? L’attitudine di Stipe è punk: Michael non canta, sarebbe banale, mormora, sussurra. Parole solo parole, dette non dette, che importa.
Le danze iniziano con Wolves, Lower, una filastrocca moderna non-sense.
I lupi cattivi, forse il music business malato di soldi, devono stare in basso, lontani dalla casa del rock, ‘…house in order’, come ripete ossessivamente nel ritornello la seconda voce Mills. La caccia abbia inizio: la chitarra di Buck è in perfetta forma, scintillante, brilla come una luce in una profonda notte (Gardening at night); anche se è buio non c’è motivo di perdersi, il ritmo è scandito dalla bussola di Berry. La batteria, sempre in primo piano, ci accompagna, guida, fino all’infinito, per un milione d’anni (1,000,000), la speranza è l’ultima a morire, la vita è una caccia al tesoro.
La strada è oscura, piena di insidie, segreti, misteri, nelle mani del destino (Carnival of sorts). E’difficile cogliere un messaggio nel labirinto di frasi non-sense ripetute ossessivamente da Stipe, come se fosse impossessato da uno spirito, un po’ come i bambini piccoli che si rotolano per terra, nel fango, urlano, corrono, sbraitano per casa per la gioia dei genitori.
E’ solo uno scherzo, non l’avete capito? La canzone di chiusura è aperta da un risata beffarda. Stipe, tra serio e faceto, ripete la frase ’We will stumble through the yard’, inciamperemo nel cortile.
Una filastrocca per bambini in chiave rock. La festa abbia inizio! Stumble

Monica Mazzoli

BLACK MUSIC - B.B. KING: 'The Blues Boy'

'Una camminata di dodici chilometri lungo una strada sterrata di campagna, in un'appiccicosa notte d’agosto, o sotto un gelido diluvio in dicembre può sembrare un prezzo non piccolo da pagare per ascoltare un po’ di musica, ma – credetemi - ero più che disposto a pagarlo'. (B.B. King.)

Il lavoro nei campi ed il Blues

Laggiù a Indianola, il centro dell’azione era Church Street, la strada in cui c’era il Jones Night Spot, un night club di proprietà di Johnny Jones, il quale era l’unico uomo di colore del quale i giornali dei bianchi parlassero bene. Occhieggiando all’interno del locale si poteva scorgere Sonny Boy Williamson in azione e studiare le prosperose chiappe delle ragazze come uno scienziato alle prese con un vetrino al microscopio.In fondo dai tempi poco lontani della chiesa e del reverendo Fair, cos’era cambiato? Lì come in chiesa due cose mandavano in paradiso il nostro Riley B. King: La musica e le ragazze. Il giovane e balbuziente Riley ben presto si rese conto che nulla come una chitarra era in grado di rapire la sua attenzione, certo c’erano le ragazze, ma il fascino di una chitarra ed i settantotto giri polverosi ascoltati da zia Mima avevano qualcosa di magico. The Thrill Is Gone
Non ci volle molto per rendere Riley B. King un 'Blues Boy', un giovane impadronito dai blues, emozioni forti, contrastanti, profonde, che non ti abbandonano mai, nel bene e nel male.
La prima ad andarsene fu la madre, poi la nonna, quindi la prima ragazza Angel quando lui aveva appena quattordici anni. La strada al Blues era spianata, il suo cuore squarciato, lì nel Mississipi le sue braccia pronte a soddisfare infiniti turni di lavoro nei campi di cotone, smuovere ettari di terreno dietro il mulo, divorare le giornate, le stagioni, lavorando, lavorando ed ancora lavorando per non essere inghiottito dal buio, per sopravvivere ai fantasmi e lottare per un futuro dignitoso.
Parlare di B.B. King significa parlare di blues con ritmo, di strada e solitudine, di dedizione totale al lavoro e di numeri, grandi numeri, migliaia di chilometri macinati anno dopo anno in una vita on the road da oltre trecentoventi concerti a stagione in trecentoventi città diverse per più di venti anni, quindici figli per quindici differenti madri, oltre settanta album in un quarantennio di musica, quattordici Grammy, quintali di cotone, di chitarre, di copertoni consunti ed incidenti scampati, insomma un uomo di un certo peso! Woke Up This Morning
In principio fu il trattore. Le donne consideravano i trattoristi uomini speciali, il salario era più alto, ben ventidue dollari la settimana e si poteva osservare il mondo dall’alto. Inoltre il mulo ti scoreggiava in faccia, il trattore no. Certo, era un passo in avanti, ma non sufficiente a placare la sete di fama e di successo di B.B., la voglia di viaggiare e fare soldi ed il sogno di fare della musica un vero e proprio lavoro. A volte i St. John Gospel Singers, un discreto gruppo gospel messo su con i suoi colleghi mezzadri, venivano ingaggiati come openers per artisti di fama che si esibivano in zona, ma poi tutto restava come prima, e dopo il raccolto l’unico a voler andare un po’ in giro per promuovere la band era Riley.
Ed è così che fece. Dopo una giornata di lavoro prese la chitarra e con due dollari e cinquanta si diresse al tramonto sulla highway 49, via dai campi e della monotonia di quella vita, altrove, senza voltarsi: destinazione Memphis. Sweet Sixteen

Gli Inizi: gli anni '50

1948. La svolta arriva ed il suo nome è: Pepticon.
Pepticon era un ricostituente che B.B. prese a promuovere in una stazione radio di Memphis la WDIA, scrivendo un jingle: “ Pepticon sure is good.. and you can get it anywhere in your neighbourhood.” Un mondo strano quello della radio, nel bel mezzo del profondo Sud, in piena segregazione, la WDIA era un posto in cui bianchi e neri lavoravano fianco a fianco.
Dopo sette otto mesi, nacque B.B. King. Alla radio presero a chiamarlo dapprima Beale Street Blues Boy, quindi Blues Boy, ed infine Bee Bee o semplicemente B.
Nel bel mezzo del pavimento, un bidone delle immondizie riempito di kerosene, prende fuoco per riscaldare uno stanzone di una vecchia casa adibito a night-club: B.B. è in Arkansas, a Twist, attacca a suonare, l’atmosfera si scalda, ma ad un certo punto il kerosene è dappertutto, fiamme, urla, panico e gente che fugge verso l’uscita. Anche B.B. scappa, dimentica la chitarra dentro, non ci ripensa due volte , si rigetta nella casa in fiamme, rischia tutto, ne esce con le gambe scottate, ma la chitarra è salva. Era il 1949 ed era nata Lucille.
La leggenda vuole che un avventore disse a un altro “Accidenti, non avrei mai pensato che due tizi sarebbero arrivati al punto di cercare di ammazzarsi per una ragazza come Lucille!”.B.B. li ascoltò e da lì prese a chiamare la sua chitarra Lucille. Bad Luck Soul
La carriera da dj divenne un qualcosa di non più praticabile a tempo pieno dopo la prima hit Three O’ Clock Blues, era bello trasmettere alla radio artisti come Dinah Washington, Al Hibbler, Little Esther, gli Orioles e vedere tutti quei dischi, tutte quelle etichette - la King, l’Atlantic, la Imperial, la Jubilee, la Peacock, ma era tempo di andare in tour; il primo posto nella classifica rhythm‘n’blues di Billboard significa notorietà a livello nazionale. Era ora di darsi da fare e cominciare a fare sul serio.

“Soltanto due anni prima ero una superstar del trattore che faceva ventidue dollari a settimana, ora potevo guadagnarne perfino mille a settimana”.

“ Non sa che è contro la legge correre per strada in mutande?”

Quando non c’era la musica nella mente di B.B. King c’erano le donne, ma non sempre tutto andava come previsto, come quella volta a casa di miss Fine, quando si ritrovò di fronte un poliziotto militare appena tornato dall’Europa desideroso di fare una sorpresa alla moglie.
Dopo il primo Ep su Bullet Records, e i dieci anni tra Modern, RPM e Kent, è l’ora della ABC Records, in compagnia di Brother Ray, Ruth Brown, Lloyd Price, gli Impressions, Fats Domino, gli anni cinquanta stanno per giungere al termine, il rock‘n’roll ha sconvolto il mondo, ma non è ancora finita: gli afroamericani hanno ancora tanti assi nella manica ed uno di questi è quello di cuori: Soul Music. Beautician Blues


Gli anni '60 e la Soul Music

Gli anni sessanta furono pieni di splendido soul, la politica filtrò all’interno della musica, attuando un cambiamento in direzione di un’affermazione di uno nuovo modo di essere neri.
In tutto questo però B.B. s’inserì come outsider, come il bluesman, così come era stato negli anni cinquanta.
Sebbene a sua detta nel corso dei decenni B.B si sia trovato letteralmente a passare attraverso il rock‘n’roll, il soul, il funk e poi la disco senza riuscire ad ammiccare di volta in volta alla moda del momento, resta il fatto che non è mai stato facile per il nostro trovarsi a suo agio con le categorie.

” Sin dal giorno in cui avevo avviato la mia carriera, ero stato definito un artista rhythm’n’blues, una descrizione che a mio parere mi calzava a pennello, poi nel corso degli anni sessanta, rhythm sparì, e rimase solo il blues, un etichetta che ho ancora addosso. Non posso fare a mano di chiedermi che fine ha fatto il rhythm; l’ho perso per strada? “ Heartbreaker

Di certo per via della strada e di quella vita on the road, B.B. si è lasciato alle spalle due matrimoni, un tourbus misteriosamente scomparso, odiosi episodi di razzismo, pistolettate, belle donne e gioco d’azzardo, ed in ultimo se non bastasse il fisco. Ad ogni buon conto, una vita ricca di anedotti ed episodi singolari. In certi festival hippie, intorno al 1968, c’era l’uso di assegnare una guida personale a ciascuno degli artisti in cartellone, e a volte queste guide erano rappresentate da ragazze completamente nude. Non sappiamo quanto fu imbarazzante per B.B. stare lì di fronte ad un ragazza bianca nello stato della Georgia, tentando di mostrarsi gentile ed affabile senza passar per un cretino, ma certamente andò meglio ai suoi musicisti che risero come matti.
Dopo la California e Manhattan, negli anni '70 fu la volta di Las Vegas, è lì che si volle trasferire, scatenando la rabbia del suo manager Sid Seidenberg, che temeva per la sua febbre da gioco.

Gli anni '70 ...

Ma gli anni '70 sono anche stati per B.B. gli anni della consacrazione mondiale, sbarcando in Giappone, in Africa,in Russia, in Inghilterra, e poi le apparizioni televisive all Ed Sullivan Show, il doppio album con Bobby Bland e le esibizioni al Nero’s Nook il salotto dell’Hotel Hilton su intercessione di Frank Sinatra da sempre ritenuto da B.B. il cantante definitivo. Think It Over
A sessantatrè anni suonati, la sua carriera prese una svolta ancora più importante, con la composizione della colonna sonora per il film 'Tutto in una notte' di John Landis ed il tour insieme agli U2, B.B. King conobbe un successo planetario arrivando poi ad aprire a Memphis, Los Angeles, Orlando dei B.B. King Blues Night-Club, creando un proprio marchio di abbigliamento casual, e persino prodotti alimentari B.B.King, le salse grigliate, il condimento per insalate, la crema di fagioli o il pesce congelato. Eppure B.B. continua a lavorare, la sua vita on the road non si è mai fermata e con accanimento e passione prosegue a suonare portando la sua musica in giro per il mondo.

“Vedi, B, anch’io sono un bluesman; siamo tutti bluesman, solo che sentiamo il blues in modi diversi. Il giorno in cui ci allontaneremo dal blues sarà il giorno in cui smetteremo di avere un senso”. (Charlie Parker)

Slim (IMANGIADISCHI)

'80 / '90 ITALIAN DARK-WAVE / INCONTROLLABILI SERPENTI : Una Retrospettiva

Gli Incontrollabili Serpenti, gruppo modenese fondato nella metà degli anni '80 dalla cantante Cristina “Cri” Luppi e dal bassista Enrico “Era” Degli Esposti rappresentano uno dei gruppi più significativi ed al tempo stesso sottovalutati di quegli anni così ferventi nello stivale.
Esordiscono nel 1986 su Hiara Records con l’EP “Extasi” composto da quattro brani che, per quanto grezzi, solcano già il tracciato per quello che sarà, due anni dopo il loro primo LP “Biancaneve e Gorbaciov” sempre su Hiara Records, originalissimo sia nei testi, che saranno sempre una peculiarità della loro produzione musicale che nelle musiche (Io ti Educherò).
Atmosfere dark, sonorità che incrociano la New Wave e l’Industrial, con accenni ad arie classicheggianti (Midnight Time), liriche che affrontano temi di rispetto della natura e degli animali come la bellissima Uccidilo Uccidilo sul tema della barbarie della Corrida, contro il progresso nucleare di Hiroshima-Chernobyl o il grido di denuncia dell’inquinamento atmosferico di Mare che muore.
Anche la confezione del disco è molto curata a partire dalla copertina firmata da Denny Lugli e Diego Cuoghi, alle note che accompagnano ogni brano contenenti riferimenti storici e giornalistici su argomenti quali la caccia, la vivisezione con supporto a Greenpeace e L.I.P.U.
Insomma, ripensandolo oggi, un disco con tematiche ancora purtroppo attualissime e sui cui il gruppo modenese ha sempre cercato di puntare l’attenzione rendendosi portavoce unico di problematiche spesso musicalmente poco considerate in terra italica. Nel 1991 esce poi il secondo LP che rappresenterà lo Zenith della loro breve carriera: "Attenti all'uomo" prodotto da Ala Bianca. La formazione subisce vari cambiamenti tranne Cristina alla voce ed Era che si occuperà anche della programmazione della programmazione dei computer.
Anche quì l'impegno ecologico è la colonna portante dell'intero disco: Estinzione, il brano più significativo affronta il problema dell'Africa, costretta ad eterna povertà e condannata ad una sorta di "estinzione naturale". Non mancano le urla animaliste riposte in brani contro la vivisezione come in Balena bianca atto di denuncia alla caccia alle balene o Anima-animale.
Riferimenti all'inquinamento come in Ozono ed in Acqua Pulita contribuisco a creare un album a forte connotazione elettronica e dalla grande raffinatezza musicale.
L'epilogo del gruppo arriva nel 1993 dopo la produzione del mini album "Incontrollabili
Serpenti"
, prodotto dalla Toast Records che si conferma ancora una volta un ottimo disco, dai brani decisamente più cupi e misteriosi. La copertina, composta da una busta di carta serigrafata di color marrone che avvolge un cartonato che a sua volta contiene il disco in vinile, un mini poster, una cartolina (con i testi dei brani) ed un'adesivo che riporta il logo del gruppo, è ancora sintomatica della cura che il gruppo pone nella proposta delle loro opere. Dei 5 brani fa parte Cimice di cui verrà anche realizzato un video.
Una versione in inglese dello stesso brano verrà anche inserita nella rivista Punto Zero.
Finita l'esperienza musicale degli Incontrollabili Serpenti, il cuore del gruppo composto da Cri ed Era si dedica dal 1995 al 1998 alla produzione musicale di altri artisti dando vita alla Olga Production, etichetta discografica che produrrà gli album solisti di Fatur, ex artista partecipe di numerosi live dei CCCP, per il quale Era ha composto le musiche di entrambi i lavori, mentre Cristina ha cantato nei cori.
Una band originalissima, che ha contribuito a segnare quegli anni e influenzato anche musicisti delle generazioni successive; da riscoprire assolutamente con la sensazione di quel qualcosa che sa di già sentito nei luoghi della memoria ma dai suoni e temi ancora attualissimi.

Ubaldo Tarantino

Incontrollabili Serpenti

BLUES MAGOOS: “Psychedelic Lollipop” (1966, Mercury- Fontana / 2005, Repertoire)

Benvenuti nella macchina del tempo. Accomodatevi . In omaggio un leccalecca molto ‘psichedelico’. "Psychedelic Lollipop", viaggio nello scervellato garage-rock sixties, è il debutto discografico datato 1966 del combo newyorkese Blues Magoos, capeggiato da Ralph Scala e Mike Esposito, di stanza fissa al Nite Owl Cafè, Greenwitch Village, New York. Precursori della psichedelia (per la prima volta sulla copertina di un disco compare il termine ‘psychedelic’) e famosi per le suites elettriche on stage (Gloria), in sala di registrazione i Blues Magoos non appendono certamente gli strumenti al chiodo. Appena appoggiata la puntina sul vinile del loro disco d’esordio, scatta la scintilla. I Blues Magoos tranquillizzano prontamente, è solo l’inizio, We ain’t got nothin’ yet, non abbiamo ottenuto ancora niente (ma si sa che chi comincia, è già a metà dell’opera).
Senza perdersi d’animo, si destreggiano ardentemente, sfacciatamente, energicamente nella palude dei riverberi sonori, tra brani inediti e covers. Seppur proiettati al futuro, è inevitabile svolgere uno sguardo al passato, omaggiando la vecchia tradizione americana con rifacimenti a dir poco, sconvolgenti, deliranti di grandi classici, Tobacco Road, I'll Go Crazy, Worried Life Blues, She's Coming Home.
Composizioni dalla forza dirompente, grintose, ritmate, disturbate da distorsioni di chitarre infuocate e dannatamente rumorose, a tratti lisergiche e allucinogene, ma con una forte componente melodica e orecchiabile (le ballads Queen of my nights, Love seems doomed, Sometimes I think about), delicatamente rafforzata dalle tastiere intermittenti, sognanti e sporcata dalle chitarre garage-blues.
La dolce armonia leggiadra, spensierata, quasi fanciullesca delle liriche, avvolta e influenzata dal conturbante, incantevole, ammaliante impeto sonoro chitarristico, degenera in jam rompicapo, infernali, devastanti, piacevolmente insopportabili. Leggermente frastornati, ma felici, ritorniamo a casa, pronti a un nuova avventura elettrica e elettrizzante .


Monica Mazzoli

Gotta Get Away
One By One

Blues Magoos:
Ralph Scala (voce, tastiere)
Emil Theilhelm (chitarra, voce)
Mike Esposito (chitarra)
Ron Gilbert (basso, voce)
Geoff Daking (batteria)

Discography:
"Psychdelic Lollipop" (1966)
"Electric Comic Book" (1967)
"Basic Blues Magoos" (1968)
"Kaleidoscope Compendium. The Best Of Blues Magoos" (1992)

THE ROMANS : "Last days at the Ranch" (Down There/Restless, 1986)

Pochi, veramente pochi si ricordano dei Romans.
Eppure, se avete passeggiato lungo le strade polverose del rock americano avrete sicuramente avuto a che spartire con qualcuno di loro o degli altri bovari che frequentavano il loro ranch: 45 Grave, Monitor, Consumers, Green on Red, Dream Syndicate, Opal, Mazzy Star, Droggs, Giant Sand, Human Hands, B-People, Thin White Rope, John Wesley Harding, Willard Grant Conspiracy e Dio solo sa chi altri stia dimenticando.
Una storia iniziata nella California soffocata dalle ruggini ferrose del dopo-punk (la stessa dei Wall of Voodoo, dei Savage Republic, dei Christian Death e dei T.S.O.L., per capirci) e finita dentro le paludi del ‘grassroots revival’ che scosse l’America al giro di boa degli anni Ottanta (quella dei Dream Syndicate e dei Long Ryders, sempre per essere chiari).
Detto in altro modo, l’ unica cosa che troverete simile tra il loro disco di debutto ("You only live once", 1983) e questo secondo e ultimo album è la formazione che li ha costruiti entrambi.
Per il resto, a parte il nome che campeggia in copertina, si tratta di due dischidistanti anni luce, malgrado li separino solo tre anni. Laddove il primo disco regalava piccoli scorci di surf music dell’ era digitale offrendo una versione alternativa al western alcaloide dei Wall of Voodoo, “Last days at the Ranch” è un album intriso di sapori da vecchia fattoria.
Insomma, laddove non era riuscito Paul B. Cutler (produttore del disco dell’ 83) riuscirà suo compare Steve Wynn che, passati "i giorni del vino e delle rose", si ritroverà accanto a loro per gli ultimi giorni al ranch, seduto dietro al banco regia e qualche volta in piedi davanti ai microfoni.
Malgrado questo fulmineo cambio di pelle puzzasse allora di sterco (nel senso che l’ impressione “a caldo” fu quella che i quattro teppisti californiani avessero deciso di calpestare consapevolmente qualche grossa padellata di cacca di bue pur di approfittare delle amicizie nel giro giusto, NdLYS), risentito oggi saltando giù dal carro dei colpevolisti “Last days at the Ranch”, col suo carico di chitarre scorazzanti, mandolini e pianoforte elettrico (suonato da Chris Cavacas dei Green on Red) conserva un suo fascino e una sua dignità che gli permettono di difendere con orgoglio il suo posto tra i dischi che costruirono l’epopea del Paisley Underground e della restaurazione dei suoni della vecchia America, fatti di musiche rassicuranti e familiari eppure percorse da una urgenza giovane figlia di quell’attitudine punk condivisa da tutti i gruppi della scena che resero queste periferie springsteeniane così appassionate e romantiche.
Poi, anche quest’ Impero sarebbe crollato.Ora è il momento di scavare.

Franco “Lys” Dimauro

Tracklist: In My Hometown / You're Coming with Me / Ten Cent Wager / Loser (Uhlenkott/Gomez) / Robert's Lament (Lloyd) / Greed, Hate and Drinking (Uhlenkott/Alison Anders) / Vicki Seventy (Uhlenkott/Gomez) / Open Wide / Rest in Peace / Last Days (Uhlenkott/Gomez) / Sarah Gets a Haircut (Lloyd) / Roll Them Down Closed

The Romans

giovedì 27 gennaio 2011

STATUS QUO: “Ma Kelly’s Greasy Spoon “ (1970, Pye Records)

Dopo gli inizi psichedelici degli anni ’60 gli Status Quo, all’alba dei ’70’s danno una totale sterzata verso il boogie rock a forti tinte blues. Ancora lontani dai rock’n’roll commerciali multiplatino a cui ci abitueranno, la band sforna un disco godibile dalla prima all’ultima canzone, non dimenticando sortite pop folk beatlesiane come Everything, retaggio di un comunque felice passato.
Per il resto la band si muove come un treno instancabile con il suo boogie potente e progressivo: impossibile resistere alla boogie suite Is it really me/gotta go home, dove la band si lancia in una serie di giri chitarristici omaggiando John Lee Hooker e i Fleetwood Mac di Peter Green (e lasciando un piccolo spazio all’organo vox di Roy Lynes), con cui hanno in comune lo standard Lazy poker blues.
A differenza dei Mac Mk I , i Quo sono molto più grezzi e diretti, con il tipico incedere delle Fender pilotate da Francis Rossi e Rick Parfitt. Spring, summer and Wednesdays è un altro bell’esempio di boogie sound dove fa capolino lo slide: la voce di Rossi non sarà certamente blues ma aggiunge quel sapore pop che li rende subito riconoscibili.
Decisamente hard rock I need your love: partenza con accordi discendenti (e il pensiero che i Kc & the Sunshine Band abbiano rubato qualcosa per la loro ‘please don’t go’) e poi l’esplosione di boogie nell’intermezzo. C’è un senso di rimpianto nel sentire questa versione della band, sapendo poi cosa è venuto più avanti, importante quindi gustarsi questo piccolo gioiello nascosto dove la band era ancora nella categoria dei “brutti, sporchi e cattivi” .


Gianluca Merlin 


Studio di registrazione: Pye Studios , Londra (GB)
Produttore: John Schroeder

Francis Rossi (chitarra solista, voce)
Rick Parfitt (chitarra ritmica, voce)
Alan Lancaster (basso, voce)
Roy Lynes (organo, pianoforte)
John Coghlan (percussioni)

Tracklist:
1. Spinning Wheel Blues
2. Daughter
3. Everything
4. Shy Fly
5. (April) Spring, Summer and Wednesdays
6. Junior's Wailing
7. Lakky Lady
8. Need your love
9. Lazy Poker blues
10. Is it really me/Gotta go home

SIXTIES ITALIAN PSYCHO-BEAT: Story and Selection

Questa seconda selection inerente il Beat Italiano riguarda in particolare l'evoluzione Psichedelica del fenomeno: infatti, come in altre nazioni, lo sviluppo della cosmologia "hippy" e dei profumi lisergici prese quota anche in Italia,più o meno verso la fine del 1966.In quegli anni molte formazioni animate da grande coraggio (poichè il livello medio culturale della nostra penisola era molto più oscurantista di altri paesi) iniziarono ad esplorare quei sentieri; la cosa sorprendente furono i risultati, alcuni abbastanza limitati all'imitazione di modelli anglo-americani ma altri decisamente personali.

Astrali, Bisce, Chetro e Co., Chewing Gum, Fantom's

Molto personali furono gli Astrali (Un altro viaggio allucinogeno-intro, 1967, nati nella provincia di Torino a seguito del movimento underground e controculturale rappresentato da riviste come 'Pianeta fresco' (a cui presero parte Fernanda Pivano e altri poeti beat) e da una filosofia anarchica estrema: il brano strumentale è tratto da un nastro autoprodotto nell'inverno 1967 e mai venuto alla luce (se non grazie a chi scrive, ma in epoca successiva) che mette a fuoco le loro peculiarità: il gruppo andava in scena senza vestiti, con i corpi imbrattati di terra e foglie secche, oppure con abiti di cartone pressato e catrame (per simboleggiare la distruzione della natura da parte dell'uomo moderno).
Da Milano arrivavano invece Le Bisce, che per inaugurare l'apertura di un locale 'horror nel centro del capoluogo lombardo, incisero nel 1966 un brano davvero originale, da poter annoverare come un antesignano delle atmosfere gotiche e dar: non a caso il titolo era La danza della morte, 1966, dal sapore macabro e dissacrante.
Chetro & Co. erano un duo romano fondato da Ettore De Carolis, vicini al mondo del cinema e della cultura tanto che per incidere il loro particolare 45 giri (nel 1968) furono appoggiati da Pier Paolo Pasolini, che compose per loro il testo della straordinaria canzone Danze della sera, la quale come sottotitolo recava ‘suite in modo psichedelico’ e nello stesso anno ebbero una piccola parte nel film 'Diabolik diretto da Mario Bava (appaiono scena in cui la polizia irrompe nel locale dove si svolge l'happening allucinogeno.
I Chewing Gum erano di stanza a Firenze, ma il loro vero nome era Black Angels: i discografici vollero imporgli l'etichetta di Chewing Gum per accodarli al nascente fenomeno della 'bubblegum music', non rendendosi conto che il loro sound era qualcosa di molto più acido e deragliante: basti sentire la straordinaria Senti questa chitarra per rendersene conto (era chiara l'influenza di Hendrix fin dalle prime note). Torniamo ai Fantom's ed a Torino un altra volta, presentando un brano del loro repertorio fine 60: Katya è una canzone eterea e sognante che venne registrata verso il 1969 ed incisa dalla Polydor quasi un anno dopo. L'atmosfera onirica e freakedelica viaggia su binari addirittura mistici ed orientaleggianti.


Funamboli, New Trolls, Orme, Stelle di Mario Schifano, Stormy Six

Ma il clima si surriscalda subito con un brano dei Funamboli (originari di Vigevano) che fece scalpore nel 1966: La protesta ha un ritmo serrato e duro, sui testi che denunciano l'aperta opposizione del movimento beat a tutta la società dominante, parole talmente pesanti da mettere in croce qualsiasi benpensante ipocrita ancora oggi, figuriamoci in quei tempi.
I New Trolls non hanno bisogno di presentazioni: Sensazioni è la prima incisione dello storico gruppo ligure, avvenuta nel 1967; ascoltare quei suoni chitarristici ‘spaziali’ resta tuttora qualcosa di incredibile, che non conosce tempo.
Stesso dicasi per Le Orme, veneziani d.o.c., con il brano I miei sogni dapprima inciso a 45 giri e subito dopo incluso nel primo storico album "Ad gloriam" del 1968.
Altro gruppo seminale Le Stelle di Mario Schifano, ensemble formato da musicisti veneti e romani: fin dal nome collegati all'opera pittorica del grande artista Pop: malgrado vengano spesso collegati all'esperienza di Andy Warhol con i Velvet Underground, si può dire che musicalmente quanto esce dal loro unico LP "Dedicato a..." (registrato a Torino verso la fine del 1967) è abbastanza distante dal versante americano.
Tutta l'opera è costruita sul concetto di ‘viaggio’ oltre le barriere del tempo e dell'arte; la natura Pop della formazione veniva sottolineata dal loro show multimediale, con luci accecanti e televisori sempre accesi ai lati del palco (da un lato le stelle colorate dal maestro e dall'altro il mondo consumistico e massificante del video).
Chiudono la carrellata i milanesi Stormy Six, con un pezzo chiamato Sotto i portici di marmo e tratto dal loro primo album "Le idee di oggi per la musica di domani" (1969) in cui emerge la voce mistica e soave di Claudio Rocchi ed il suo stile singolare: poi continuerà da solista una volta uscito dal gruppo (del resto Claudio aveva idee diverse da Franco Fabbri, che li avrebbe poi indirizzati sul versante della canzone politica ed impegnata).
La Psichedelia fu un movimento vasto anche in Italia, ma a differenza di altri paesi, non costituì un perno discograficamente rilevante: infatti molti gruppi durarono lo spazio di pochi anni e non furono pochi quelli che neppure riuscirono ad avere un contratto decente.
I produttori non nutrivano grandi speranze su certe sonorità, preferendo a queste i ritmi più danzerecci del soul, della bubblegum music ed altri generi meno cerebrali (pur se validissimi). Ci fu comunque una ulteriore evoluzione di questi suoni nella stagione successiva, nei primi anni '70, quando comparvero le prime case indipendenti e si fece strada il grande movimento definito Pop e Progressive, ma questo lo vedremo in seguito.

Salvatore D’Urso