venerdì 26 ottobre 2007

Live-Report / Esteri/ ROBERT BELFOUR & DUKE GARWOOD, Londra 27 Aprile 2007, Spitz Blues Festival

Questo articolo di Bob Cillo, noto chitarrista e musicista barese blues-rock (Trinity, Backdoor Friends, Dirty Trainload..) é il suo debutto in questo magazine, più volte da me perorato.
Naturalmente non poteva trattarsi che di un pezzo riguardante un artista blues, in tal caso due attraverso un lungo ed esauriente live-report londinese sul giovane stupefacente Duke Garwood e Robert Belfour, anziano bluesman affiliato alla Fat Possum, l'etichetta americana che forse più di ogni altra bada ormai da parecchi anni alla salvaguardia del delta-blues originario più incontaminato ma apertissima anche a progetti di blues moderno 'deviato'.
Grazie Bob....un debutto alla grande .....benvenuto!

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ROBERT BELFOUR, IL CONCERTO PIÙ STRANO CHE IO ABBIA MAI VISTO

Lo Spitz è un piccolo club nel cuore di Londra dove ogni anno l’associazione “Not the Same Old Blues Crap”, (ovvero “Non la solita vecchia merda blues”) organizza un festival dedicato alle nuove tendenze del blues.
Il programma del festival è dunque incentrato su artisti con un’attitudine decisamente propensa alla sperimentazione di terreni insoliti ma con radici profondamente legate al blues.
Ospiti di onore dell’edizione 2007 sono stati due vecchi bluesman veraci come T-Model Ford e Robert Belfour, riconosciuti, insieme al compianto R.L. Burnside, come ispiratori della generazione di musicisti blues formatisi all’ascolto dei CD prodotti dalla “cult label” Fat Possum.
E’ la sera del 27 Aprile, dedicata a “the Wolfman”, mr. Robert Belfour.
Apre Duke Garwood, geniale musicista londinese che strega subito il pubblico creando con il solo aiuto della sua chitarra semi-acustica un’atmosfera tesa e pregna di emozioni magiche destinate a rimanere a lungo impresse nel mio animo. Non esito a definire il suo “Emerald Palace”, un album imperdibile, il miglior CD prodotto nel 2007 che mi sia capitato tra le mani. La sua non è una musica di facile ascolto e meriterebbe ben più profonde dissertazioni che risulterebbero prolisse in questa sede.
Mi limiterò a consigliarvi una ricerca su youtube.com, dove troverete delle brevi clip rubate durante i suoi live e naturalmente una incursione sulla sua pagina myspace(myspace.com/dukegarwood) dove troverete ben 4 brani di assaggio estratti da “Emerald Palace”.
E’ ora atteso sul palco mr. Belfour, headliner della serata.
Di sicuro un vecchio bluesman nero del Mississippi non ha bisogno di dimostrare nulla a nessuno e non necessita di entrate trionfali sul palco, ma la flemma di Belfour sembra un po’ eccessiva, quasi ostentata: zoppicando, con un bastone alla mano ed una grossa borsa a tracolla, guadagna lentamente la sedia al centro del palco. Anche lui come Garwood è solo con la sua chitarra, nessuna band di back-up.
Di sicuro effetto il suo abbigliamento, un completo giacca – pantaloni viola scuro indossato su una coloratissima camicia dalle fantasie psichedeliche con cravatta variopinta ed immancabile cappello.
Proprio mentre tutti aspettavano che il Wolfman facesse vibrare finalmente il primo accordo dalla sua chitarra acustica, ecco che dice: “no, un momento, aspettate: ho dimenticato qualcosa”. Inizia quindi a piegarsi per frugare, sempre con movimenti rilassati e flemmatici, nella borsa a tracolla poggiata per terra al lato della sua sedia; dopo un lungo tramestio, intervallato da frasi come “mannaggia, non ricordo dove l’ho messo”, tira fuori un asciugamani e spiega: “sapete io quando suono, sudo e quindi mi è indispensabile un asciugamani”!
Poggia finalmente le mani sulla chitarra ma scuote subito il capo: “No, non va, non va, è scordata”. Quindi indugia ancora in una spiegazione: “Sapete, io non uso gli accordatori, odio gli accordatori; uso soltanto le mie orecchie perché bisogna che la chitarra suoni giusta per me…” comincia poi a smanettare le meccaniche della chitarra in maniera più o meno casuale. Sono ormai passati diversi interminabili minuti da quando Belfour è entrato in sala, quando finalmente inizia a suonare.
Le interruzioni però sono frequenti, c’è qualcosa che ancora non lo convince, scuote il capo: l’accordatura della chitarra non è come lui la vuole e le regolazioni dell’amplificatore non lo soddisfano. “Devo fare in modo che tutto vada bene, devo rendere tutto giusto per voi e così invece non va bene…”, continua a manipolare le meccaniche ma adesso si aggiungono anche le manopole dell’ampli, mosse assolutamente a casaccio: basti pensare che muove anche le manopole del canale libero, su cui la chitarra non è attaccata e che quindi non hanno alcun effetto sul suono prodotto dallo strumento!
Inizia a sorgere il sospetto che il vecchio lupo stia giocando a qualche strano incomprensibile gioco perché tra smanettamenti ed inutili spiegazioni trascorre una buona metà dei brani in scaletta senza che lo show decolli.
Tra regolazioni di meccaniche e manopole le combinazioni sembrano infinite, e risulta difficile pensare che ormai Belfour riesca a trovare la “combinazione magica” che tanto sta cercando e per cui tutto debba suonare, come dice lui, “right”, nel modo giusto.
Ma ad un tratto qualcosa sembra cambiare; come in un dilatato sound check ogni brano comincia stranamente a suonare in maniera più convincente e coinvolgente del precedente.
Sembra che il nostro abbia avuto bisogno di un interminabile warm-up, man mano che lo show va avanti il Wolfman comincia a mostrare le zanne, liberando il suo inconfondibile suono acustico ma possente, ricco del pathos che solo un bluesman DOC sa infondere.
Comincia un’ascesa esponenziale ed inarrestabile, ma proprio quando Belfour cominciava a riscaldarsi per davvero, la scaletta del suo show giunge al termine e si congeda dal pubblico. Alle richieste di bis risponde placidamente: “Va bene, datemi un po’ di pausa per riposarmi, tra 20 minuti torno”.
Trascorrono più di 30 minuti e molti abbandonano la sala senza attendere l’annunciato bis. Londra, in confronto a molte nostre città, non è particolarmente “nottambula” e la sala perde una buona metà dell’audience.
Ma una strana sorpresa attende, quasi a premiarli, i fedelissimi rimasti in attesa del bis: quando rientra sul palco, il Wolfman fa sul serio. Non è più propenso a cincischiare con asciugamani, manopole e meccaniche, adesso finalmente tutto è sistemato, tutto è “right” e si comincia a suonare per davvero!
Tira fuori il suo inconfondibile stile chitarristico sicuro, pesante e percussivo, la sua voce calda e profonda; adesso le zanne sono pronte ad affondare nella carne.
In realtà sembra che il concerto sia stato solo un lungo sound-check e che con il bis sia iniziato in realtà il vero show. A dispetto delle probabilità matematiche sembra che Belfour abbia finalmente trovato la combinazione magica che cercava, ora è all’apice della sua vena interpretativa e adesso suona e canta in maniera davvero impressionante: quando si lancia in una cover di “Boogie Chillen” di John Lee Hooker, sembra di avere davanti la reincarnazione di “The Hook”, non esagero!
Adesso che l’incantesimo si è creato il pubblico non vuole più lasciarlo andare e lui non ha alcuna intenzione di sbattere la porta in faccia alla gente che lo acclama e continua a sfoderare brani micidiali con la presenza sonora di un’orchestra. A un tratto si alza, depone la chitarra nella custodia e fa per congedarsi ma gli applausi fragorosi lo commuovono, quasi gli fanno venire le lacrime agli occhi e lasciare il palco adesso gli sembra impossibile. Torna a sedersi, riprende il suo strumento ed attacca il jack, si continua!
Ormai Belfour è inarrestabile. Le luci sul palco si spengono e si accendono le luci in sala, il messaggio degli organizzatori è chiaro: si è sforato l’orario in cui è permesso fare musica senza rischiare denunce. Ma lui non ha alcuna intenzione di deludere il pubblico di fedelissimi che continua ad applaudirlo e ad incitarlo e continua imperterrito con l’entusiasmo di un ragazzino fino a quando manca poco che Rupert Orton, il direttore artistico del festival, vada a staccargli fisicamente il jack dalla chitarra!
Insomma è stato sicuramente il concerto più anti-convenzionale, informale e meno ortodosso che io abbia mai visto, ma è stata proprio questa anti-convenzionalità a rendere quella notte indimenticabile e ricca di magia.
La lezione è chiara: il blues, quello vero, nato nei cortili fangosi del Mississippi tra le baracche degli agricoltori di colore, non può essere irreggimentato in percorsi prestabiliti. Non può essere suonato con una chitarra accordata con accordatore elettronico o con ampli regolati da un fonico, non può attenersi ad orari, scalette e percorsi usuali. Quando la musica proviene veramente dal cuore è indisciplinata, nasce quando uno non se l’aspetta, non può essere eseguita “a comando” secondo schemi e canoni stabiliti in nome della “professionalità”.
Una risposta ai mega-concert in cui nulla è lasciato al caso, tutto deve essere organizzato nei minimi dettagli e pre-ordinato con perfetta efficienza; una risposta importante, nell’era dei brani “radiofonici” da tre minuti e della musica ascoltata attraverso le suonerie dei cellulari. Il blues vero, quello cresciuto dalla terra, è lontano anni luce da questo mondo ed è proprio per questo che oggi ancor di più ha ragione di esistere e di proclamare la sua diversità rifiutando facili omologazioni.
Se volete portare a casa una preziosa testimonianza della musica di Belfour, procuratevi il CD “Pushin My Luck”, edito dalla Fat Possum Records nel 2003, un autentico capolavoro.


BOB CILLO

martedì 23 ottobre 2007

Recensioni / Italiani / Nuove labels : La MK Records ed i TEARS AND RAGE



E' sempre un piacere per chi scrive parlare di nuove realtà, soprattutto se provengono dal Sud: in questo caso trattasi di una nuova etichetta, la cosentina MK Records, Musikart, che debutta sul mercato con due dischi molto diversi tra loro: Digli di no, ottimo hip hop, del rapper Mirko Filice, in arte Kiave e Welcome Inside, primo album dei Tears and Rage.
La predisposizione di questa nuova label é molto agguerrita, animata com'é dalla voglia di riscossa di artisti che sono stati penalizzati dal solo fatto di operare nel sud, decisa a rivalutare palchi e strutture meridionali.
E non hanno tutti i torti quelli della MKrecords: a pensarci bene (e non dico nulla di nuovo!) buona parte della migliore musica storicamente parlando é giunta dai sud di tutto il mondo...o sbaglio?
Altro merito non indifferente quello di offrirci un piccolo squarcio positivo e costruttivo di una regione italiana che in questo momento é al centro delle cronache per fatti non proprio piacevoli!



(Pasquale Wally Boffoli)



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TEARS AND RAGE : WELCOME INSIDE (2007 /MK records)


Prima produzione in assoluto della nuova label calabrese MKrecords, Musikart e debutto anche dei Tears and Rage, Welcome Inside inaugura direi alla grande il progetto cosentino: disco rock dai chiari ascendenti anni '70, che già dall'iniziale utopica Revolution in my head, con quella calda armonica e la chitarra/voce trascinanti di Joe Santelli rivendicano vibrazioni southern antiche e più recenti : Allmann Brothers... Black Crowes.. Ed anche se il messaggio di fondo del disco e della bio della band può risultare eccessivamente utopistico, perché ritengo sia piuttosto difficile per come siamo conciati sperare in una nuova 'summer of love', rimane la realtà di otto brani decisamente ispirati e suonati bene, intrisi di romanticismo 'rivoluzionario' fatto più di lacrime mi pare che di odio.
La rabbia si tocca con mano nella succitata Revolution in my head ma soprattutto nella concitata e battagliera Never.
Empty glass, I'v looked for your eyes, Welcome inside vivono di arcobaleni blues e dolci armonie decisamente figlie di un'estetica pacifista vecchia di 40 anni, ma più che mai vagheggiata dalle nuove generazioni.
Il mood liquido ed intrigante di questi brani in alcuni momenti mi ricorda il 'nuovo' romanticismo melodico di quel filone rock italiano che fa a capo a bands come Le Vibrazioni (ho detto una bestemmia?).
Ma la differenza qui la fa uno come Joe Santelli, davvero una grossa sorpresa per me: non tanto come (pur valido) vocalist quanto come strumentista e compositore. Il suo impeto esecutivo, la passionalità irrefrenabile che profonde nei suoi soli chitarristici, che siano duri o slide, gli permettono davvero di cavalcare il vento, parafrasando l'episodio più notevole in senso assoluto di Welcome Inside.
L'epica Ride the wind é figlia sia della magia armonica dei '60 che della durezza hard dei '70, pur con connotati vagamente stoner: si stenta a credere ascoltandola che a creare questi sei minuti e passa di inebriante bellezza rock senza tempo sia una band italiana!
I due strumentali, lirici e meditabondi, Lyn ed Empty glass part II sono un'ennesima conferma di quanta poesia siano capaci i keyboards e le corde (Joe Santelli) dei Tears & Rage.
Dalla Calabria uno dei dischi italiani di rock (revival?...direi di no!) più notevoli di fine 2007.
Bravi, avanti così!

http://www.mkrecords.it/
http://www.tearsandrage.com/
www.myspace.com/tearsandrage

PASQUALE 'Wally' BOFFOLI

domenica 21 ottobre 2007

News / Punk 77 - 07 : a compilation by Tre Accordi Rec./ Self

Punk 77-07: A Italian Tribute to thirty years of r'nr' swindle: questo il titolo del doppio cd col quale la Tre Accordi Records in accordo con la Self celebreranno i trent'anni di vita del movimento punk.
23 covers punk più o meno note ad opera di altrettante bands italiane.
Al doppio cd sarà allegata una rivista! Il tutto ad un prezzo decisamente abbordabile: meno di dieci euro.
Mentre scrivo praticamente dovreste già trovarlo in vendita nei negozi di dischi e nelle edicole e noi di Music Box non ci lasceremo sfuggire l'occasione per festeggiare questo anniversario decisamente importante prima che il 2007 volga al termine.
Recensione on-line nei prossimi giorni su Music Box.

http://www.treaccordi.com/
http://www.self.it/ita/default.php

Wally

Recensioni / Esteri / Il primitive-blues di C.W.STONEKING'S : KING HOKUM (Voodoo Rhythm Rec.-2005) by Pasquale 'Wally' Boffoli'



Tra le ultime produzioni della svizzera Voodoo Rhythm , King Hokum di C.W.Stoneking's é davvero cartina al tornasole della proverbiale estetica, in questo caso primitive-blues della label di Rev.Beat Man.
Non a caso lo slogan dell'etichetta é ' We make a junkie out of everybody'.
C.W.Stoneking's, americano svezzato in Australia dagli aborigeni ha suonato per molto tempo blues per le strade di Melbourne prima di forgiare il suo pathos che, ascoltando i polverosi solchi di King Hokum, si capisce pesca a piene mani nel profondo gotico (come sottolineano le info V.R.) blues rurale del sud americano degli anni '20 e '30.
Sembra impossibile nel nuovo millennio ascoltare qualcuno (bianco per giunta!) cantare come Robert Johnson o Leadbelly senza orpelli, accompagnandosi con una chitarra spoglia e cruda: flash di duro lavoro nei campi di cotone, invocazioni diaboliche e toni da predicatore del Vecchio Testamento.
E così i toni indolenti e gracchianti da vecchio grammofono di Way out in the world, Bad luck everywhere you go, Rich man's blues, Dodo blues resuscitano brandelli di blues ancestrale, lo stesso che con i suoi toni faringitici Tom Waits ci sputa in faccia da anni a sbronze avvenute, lo stesso che si può ascoltare anche nei dischi dell'americana Fat Possum.
Un arrapantissimo ritorno alle blues-roots mai troppo benedette, in adorabile solitudine quello di Stoneking’s; in alcuni episodi il nostro si fa accompagnare dalla Primitive Horn Orchestra con steel guitar, jug trombone e clarinetto come in Don’t go dancin’, Dodo blues, On a Christmas day, Handyman blues rievocando antiche funeral-marchs e le primissime forme di jazz; in You took my thing and put it in your place invece ingaggia un più che allusivo duetto erotico con una pimpante donnina.
Se amate la purezza incontaminata dei padri 'icone' forgiatori del blues d'inizio XX° secolo questo
disco vi farà vibrare.
In caso contrario é probabile vi parrà un'inutile anacronistica masturbazione musicale!

http://www.voodoorhythm.com/