giovedì 1 novembre 2007

Politica / Antipolitica/ LIBERTA' E PARTECIPAZIONE (a proposito delle primarie per il P.D.) di Enrico Campofreda

Questo magazine é essenzialmente musicale e rock nella fattispecie.
Ma poiché non si vive di solo rock, e chi gestisce http://www.musicbx.blogpot.com/ pur non avendo tessere di partito e non svolgendo un'ortodossa' attività politica, ha gli occhi aperti su ciò che ci succede intorno, ritiene entrare di tanto in tanto ed in occasioni particolari in questo terreno 'minato!
Trattasi in tal caso delle 'primarie' per il Partito Democratico....questo pezzo di Enrico Campofreda mi é parso particolarmente significativo, soprattutto ora che 'la festa' é finita ed un leader c'é!
Il pezzo é pubblicato su gentile concessione del sito http://www.mercantedivenezia.org/ e dell'autore Enrico -Campofreda che ringraziamo sentitamente per la lucidità della sua analisi.
Permettetimi per concludere come 'libero pensatore di sinistra' una nota personale che a molti probabilmente parrà banale o addirittura squallida: se l'idea del P.D. é nato in ambito 'politico' e da esso fortemente voluto attraverso 'le primarie' perché far pagare al cittadino quell'euro per farlo votare? Sbaglio o in caso di diniego egli non poteva votare? Perché far pagare al cittadino le spese per una campagna che non é stato lui a decidere?
Naturalmente si tratta solo di un punto di vista e sarebbero gradite repliche o commenti in qualsiasi direzione! (Wally)
***********************************************************************************************************************

Sinistra 19=============> LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE

Se c'è una nota stonata in un successo così sonante, seppur annunciato, come l'elezione di Walter Veltroni a segretario del Partito Democratico sta proprio nella voglia di leadership che dilaga anche nel centrosinistra. Lo si discute da anni e in questo la Destra ha sicuramente vinto, imponendo un'ossessione prima che un sistema e un uomo. L'uomo della provvidenza e il partito leaderistico e personalizzato, pur in quel rinnovamento auspicabile in una Sinistra che voglia scrollarsi di dosso le ragnatele di burocrazie d'apparato, sono geni mica tanto coniugati con la democrazia.
Perché nel voto di tre milioni e fischia d'italiani come li definisce Fassino c'è sicuramente un'esigenza sana del Paese che desidera camminare e costruire, ma c'è pure un meccanismo di delega che dovrebbe preoccupare.
Sgombriamo il terreno da fraintendimenti: non s'afferma che avere un capo sia faccenda riprovevole, né si rimpiange la nomina del segretario in fumose assise di Comitati Centrali o in corridoi borgiani, però pensare che col voto e con l'euro versato si sia messa nelle sante mani d'un salvatore la sorte della nazione è cosa quantomeno bizzarra e infantile. C'è stata un'epoca in cui i soggetti vivi della società, i lavoratori nelle fabbriche, i cittadini nei quartieri ponevano problemi e cercavano soluzioni che Parlamento e partiti non gli offrivano.
Usavano le strutture esistenti - consigli, comitati - o le creavano ex novo. I loro desideri di realizzare, decidere, cambiare erano espliciti; non si facevano necessariamente impastoiare da leader, che esistevano anche allora, ma erano proposti e imposti dal basso e suscettibili di sostegno o bocciature dirette. Ovviamente non parliamo dei segretari di partito ovattati nel mondo dei propri apparati, diciamo che quell'epoca conobbe però una parentesi di democrazia diretta.

"La libertà è partecipazione" cantava Gaber e credo che la riflessione valga sempre. Ora i tre milioni e fischia rappresentano una splendida partecipazione che però ha un programma e seguirà una strada già scritte: delegare al grande capo (un altro!) e al suo entourage la propria parte attiva. Poiché il Partito nascente, al di là delle fusioni da brivido fra Diesse e Margherita, si prefigge un modello leggero, un po' radicale, popolar-chic, smaccatamente americano, opinionistico, assolutamente interclassista, partecipativo solo per eleggere i professionisti che s'occuperanno di politica mentre a milioni rimarranno davanti al televisore o potranno recarsi verso urne preconfezionate, convention e feste organizzate.
Se fossi stato - e non lo sono stato - uno dei tre milioni, con tutto il rispetto per il loro voto, mi sentirei un poco parco buoi. Si viene invitati a indicare un capo e a riporre in lui speranze per le sorti migliori e progressive e amen. Finisce lì?
Si spererebbe di no, si spererebbe in un partito nuovo che facesse politica vecchia, quella buona non da ladri craxiani, quella che s'occupava dei bisogni: scuole, case, lavoro, sanità, stato sociale. Forse Veltroni in qualche talk show fra le cento altre cose parlerà anche di queste ma un po' così, en passant perché la politica postmoderna e l'odierno vivere impongono altre lustrini.

E il cittadino che deve delegare e consumare necessita di stordirsi davanti a mille offerte per delegare di più e meglio. Se il popolo italiano è quello che nell'Occidente ha più introiettato il modo di pensare americano non poteva ricevere regalo migliore dell' American party veltroniano. Che ha sempre inseguito il kennedysmo più del berlinguerismo ma che oggi si presenta in tutto il suo ingombrante orientamento antipolitico.
L'American party, il partito-festa è l'antipolitica come lo è stato il partito-azienda berlusconiano. A forza di cancellare ideologie, rinnegare origini, fare tabula rasa di com'eravamo restano un presente e un passato prossimo fra i peggiori.
Restano certi "ismi". Il presenzialismo, la voglia di presidenzialismo, l'individualismo, una real politik che odora d'opportunismo, l'affarismo, il piacionismo, l'edonismo, il buonismo e quell'ipocrisia che fa l'elemosina alla povertà del mondo anziché emanciparla, liberarla, sradicarla.
Come faceva l'idolo JFK poi vittima del sistema che l'aveva generato e che lui difendeva.

Meditino i tre milioni e fischia se questa è la via.

Enrico Campofreda, 15 ottobre 2007

http://www.mercantedivenezia.org/

mercoledì 31 ottobre 2007

Recensioni / Esteri / The DT'S : Nice 'n' ruff-Hard Soul Hits! Vol.1 (Estrus / Get Hip Rec.) -Filthy Habits (Get Hip Rec.) by Pasquale 'Wally' Boffoli


Due i titoli incandescenti dei DT’S pubblicati da poco dalla Get Hip Recordings.
Il primo é NICE ‘N’ RUFF, HARD SOUL HITS VOL.1, già uscito di recente per la Estrus come il loro debutto Hard Fixed.
Non a caso perché i DT’S sono la formazione/creazione più recente in cui è impegnato il chitarrista
Dave Crider, boss da sempre della grande Estrus Records di Bellingham (WA), ex leader di bands come Watts e dei seminali Mono Men che negli anni ’90 ha siglato tra le pagine più crude e selvagge del punk-garage americano.
Crider lavora ai DT’S già da qualche anno: me ne parlò ampiamente in un’intervista che ci rilasciò a fine anni ’90. Sua compagna di viaggio in quest’avventura la sua vecchia amica d’esordi e bagordi
Diana Young-Blanchard, grande ammiratrice ed esegeta dell’indimenticabile ed indimenticata Janis Joplin. Ed i DT’S in effetti mettono a fuoco in Nice ‘n’ ruff una sorta di versione punk-garage dei Big Brother & Holding Company della Joplin!
Una miscela calda, viscerale e fulminante di r&b d’estrazione sixties-hippie e rock stradaiolo che di quello ha perso le originarie fattezze naif meravigliose a favore di un sound iper-elettrico urbano e saturo! Ed é quasi imbarazzante per come Diana Young-Blanchard ricordi nelle sue performances lo stile isterico, stridulo ed urgente della famosa lead-singer texana, anche se non ne raggiunge l’intensità sconvolgente!
Coadiuvata dal chitarrismo fradicio di elettricità cattiva di Crider e da una serrata sezione ritmica (Phil Carter alla batteria e Scott Greene bass & sax), ma anche dalla trumpet di Dave Weldon ed i keyboards di Patti Bell infila in Hard Soul Hits Vol.1 dieci covers che abbracciano la tradizione soul/r&b/rock dei ’60 e ’70: si va dalle sanguigne Stax-roots di Wilson Pickett in Ninety nine & a half (won’t do), Booker & Mg.s di The Hunter e Big Bird al soul-rock meno conosciuto di Willie Williamson (Crazy ‘bout you baby) e Sykes (Driving Wheel) giungendo sul versante rock a versioni
al fulmicotone di Pagan Baby dei C.C.Revival di John Fogerty, What’s next to the moon degli AC/DC, Don’t Slander Me del ‘maestro’ acido Rocky Erickson e non poteva mancare una cover di Janis, una straordinaria Move Over.
E’ tutto molto aggressivo e diretto, senza fronzoli, merito anche della produzione tecnica di un rude maestro della consolle, il veterano Jack Endino.

Immutata in Filthy Habits la line-up dei DT’S di Nice’n’ruff, anche la supervisione tecnica di Endino. La grossa novità è che i 10 brani contenuti stavolta sono tutti di loro pugno.
La statura interpretativa è decisamente cresciuta e maturata e il livello compositivo è ottimo!
Davvero inutile citare un brano piuttosto che un altro dei dieci contenuti perché tutto questo lavoro è carico di un feeling talmente elettrizzante da connotarsi come uno dei lavori più eccitanti e micidiali in assoluto dell’attuale scena garage internazionale e conferma l’estrema bontà della formula adottata dai DT’S.
In Filthy Habits si passa da spietati assalti alla baionetta punk/r&b a luciferini ed insidiosi torbidi mood rallentati. Si integrano perfettamente ottimizzando un giusto e sano equilibrio tra soul ed hard di cui non so quale altra band oggi sia capace con un tasso emotivo ed esplosivo così alti.
Un must, un disco che riesce nell’ardua prova di conciliare passato e presente, e che non lascia prigionieri vivi!

http://www.gethip.com/
http://www.estrus.com/bands/dts/


PASQUALE 'WALLY' BOFFOLI

Recensioni / Esteri / PAUL COLLINS BEAT : Flying High (Lucinda Rec-Get Hip Recordings/2007) ; la leggenda continua...by Pasquale 'Wally' Boffoli

Pioniere del power-pop a stelle e strisce, ovvero di quel filone rock che a partire dalla metà degli anni ’70 univa all’elettricità d’estrazione punk una predilezione spiccata per melodie ariose e corali e per arrangiamenti pimpantemente pop, PAUL COLLINS ha attraversato con energia seminale i ’70 prima con The Nerves (nei quali militava anche Peter Case futuro Plimsouls) e poi gli ’80 con i celeberrimi The Beat, dei quali è essenziale ricordare almeno tre capolavori power-pop, The Beat (1979), The kids are the same (1981) e Long time gone (1985).
Nei ’90 Collins fa della Spagna dove può contare su uno zoccolo duro di fans la sua nuova patria e dopo alcuni album solisti molto country-oriented come Paul Collins (1992), From Town To Town (1993) e Live In Spain (1997) e Paul Collins (2000) mette a punto una nuova line-up di The Beat forte di ottimi musicisti spagnoli come Gines Martinez (drums) e Carlos Guardado (bass) oltre Octavio Vinck alla lead guitar ed incide nel 2004 per la Lucinda Rec. un album molto ispirato, Flying High che oggi viene ristampato dalla Get Hip di Pittsburgh.
Quasi si stenta a riconoscerlo, con quella pelata e quegli occhiali da manager ma il disco parla chiaro: alcuni episodi resuscitano alla grande l’energia elettrizzante e contagiosa dei Beat, come Rock’n’roll shoes, Helen, All over town, Silly love, che offre un’entusiasmante e ruvida performance chitarristica di Vinck, ma che il tempo sia trascorso da quegli anni gloriosi si sente e Collins dà il meglio di sé in ballate dagli accenti country-folk, malinconiche e dall'ispirazione pensosa : la commovente Bobby, Afton place, I’m on fire, Will you be a woman, More than yesterday (un mid-tempo da antologia) sono godibilissime e mature prove di un uomo-artista che mette sul piatto tutte le sue emozioni più intime acquistando alla grande in intensità espressiva ed interpretativa.
Suggestioni spagnoleggianti sparse qua e là tra i solchi, e non poteva essere altrimenti, soprattutto nell’uso delle chitarre acustiche ed una Paco & Juan palpitante che pare un outtake dei primissimi Dire Straits: c’è qualcosa di Knopfler anche nella voce di Paul.
Ma è la finale Flying High a nobilitare come nessun’altra song questo disco: ” …we could be forever / flying high !”: Paul Collins , la voce rotta dall’emozione, sublima la leggerezza degli spensierati inizi di carriera in una toccante, vissuta e vibrante performance vocale che riesce a stringerti il cuore.
Grazie Paul…ma non farti aspettare !

http://www.paulcollinsbeat.com/
http://www.myspace.com/paulcollins
http://www.gethip.com/

PASQUALE BOFFOLI

martedì 30 ottobre 2007

Recensioni / Italiani / Il blues di LUIGI TEMPERA : 'Walking with my devils' (Crotalo ed.) by Bob Cillo

Nuova recensione di Bob Cillo per MusicBox....l'argomento? Elementare Watson....il blues !

*********************************************************************************************************************

Questo “Walking With My Devils”, edito dalle Edizioni Musicali Crotalo, è l’esordio discografico da solista dello stimato chitarrista blues torinese Luigi Tempera.
La prima cosa che salta all’occhio curiosando con il jewel box in mano è che la track list riporta esclusivamente composizioni autografe, scelta non comune in ambito blues e percorso sempre arduo e coraggioso rispetto a quello più rassicurante di alternare brani originali con standard e remakes. Tuttavia questa si rivela fin dai primi solchi (come si diceva una volta) una scelta vincente.
L’ouverture Son of a Jam” ci introduce in un suono avvolgente e leggero con un' ampia componente acustica caratterizzata da una sezione ritmica di spazzole e basso acustico e dai delicati colori di armonica di Fabio Bommarito.
Anche quando nel terzo brano “I’m not Sure” fa capolino l’elettrica, i toni rimangono piacevolmente pacati e segnati da sonorità jazzate; qui emerge la voce calda e presente di Tempera che si distingue nel panorama blues nazionale sia per espressività che per pronuncia e dizione impeccabili.
Particolarmente affascinante è la title track che vede la collaborazione di Andrea Scagliarini all’armonica e di Marcella Ghiani ai cori.
Episodi a sé stanti sono i due brani “Jazzy” e “Magda” dove Luigi riporta alla mente il primo Sergio Caputo sperimentando un connubio tra vena cantautorale con liriche in italiano e sonorità jazzy.
A parte questi due episodi isolati i brani composti da Luigi sono blues diretti, sempre freschi, brillanti e godibili, senza elaborazioni contorte o passaggi cervellotici eppure mai scontati e banali: un invidiabile equilibrio, evidente segno di una maturità compositiva raggiunta grazie ad anni di esperienza.
Dal punto di vista chitarristico, Luigi mantiene un approccio con lo strumento da musicista “a tutto tondo” non cedendo mai alla tentazione di ostentare tecnica e virtuosismi fini a sé stessi.
Questo è tanto più da apprezzare se proviene da un musicista che come lui svolge regolarmente attività didattica.
Tutto il lavoro è improntato da arrangiamenti sobri e minimali, scevri da inutili orpelli e valorizzati da una produzione dei suoni equilibrata e pulita.
Dunque “Walking With My Devils” è un lavoro sincero animato da un’autentica vena creativa e caratterizzato da una decisa impronta personale; autenticità e creatività di cui c’è un gran bisogno in un panorama blues tristemente affollato da “tribute bands” senza personalità.
Questo CD testimonia la coerenza di un musicista che ha scelto di vivere proponendo il proprio blues, a dispetto della “puzza sotto il naso” dei musicisti “più colti” e senza cedere ai facili richiami del pop.
Dunque se vi capita di incrociare sulla vostra strada un concerto di Luigi Tempera, non perdetelo e magari portate a casa una copia di questo lavoro, vi farà compagnia quando avrete voglia di ascoltare del blues DOC made in Italy.

http://www.luigitempera.it/ BOB CILLO

lunedì 29 ottobre 2007

Memories / Beatles graffiti: parla Armando Di Cillis / La Fonte Delle Muse, 26/10/07, Paolo Lepore / Jazz Studio Orchestra live ! ----by Wally



Il 26 ottobre mi son recato in quel della Fonte Delle Muse qui a Bari e devo dire che il concerto del maestro Paolo Lepore, che ha aperto la Rassegna di Concerti Jazz novembre-dicembre 2007 dell'associazione omonima in memoria di Mariella Carbonara, giovane vocalist locale venuta meno nel Dicembre 2006, é stato davvero piacevole e rilassante, con un repertorio a base di colonne sonore, soprattutto di Ennio Morricone ed una godibilissima suite tratta dal repertorio di Duke Ellington (nell'arrangiamento di Sal Nistico).
Pregevoli i chiaroscuri della sua Jazz Studio Orchestra, nella quale suonano tutti i più giovani (più o meno) e dotati jazzisti baresi e non, prodottisi in soli entusiasmanti.
Noi THE FLOWERS, apriremo la rassegna il 9 Novembre, unici rockers (ma dal tiro a volte jazzy!) in programma con una personale celebrazione del 40ennale della 'Summer of love'. (Wally)

*****************************************************************************************************************************

La sera del 26 ho conosciuto (era al mio tavolo insieme a Ciro Neglia, il direttore artistico della Fonte Nino Losito e la deliziosa sig.ra Tina Mercuri, dalla quale vorrei e dovrei...sigh! prendere lezioni di canto!) l'architetto Armando Di Cillis, un amabile persona non più tanto giovane. musicista anche lui (Jazzidea) che ci ha amabilmente narrato per tutta la sera (alternandosi al pacato mood della J.S.O.), tra un'orecchietta, uno spaghetto ed un bicchiere di vino di quando militava al basso negli anni '60 nella band di Pino Donaggio ed in particolare quando suonarono di spalla ai BEATLES al velodromo Vigorelli di Milano nel lontano 1965, il 24 Giugno .
Uno dei tre concerti (Milano, -Genova e Roma) dell'unica tournée italiana organizzata nel 1965 (quando le notizie le leggevamo su Ciao Big !) come ci ha detto Armando da Leo Wachter.
E' stata un racconto davvero interessante ed appassionante...io e Ciro eravamo elettrizzati ed attentissimi...ci ha narrato nei particolari dei preparativi del concerto, dell'amplificazione e dell'atmosfera fremente che si respirava; in realtà loro, i New Dada, e gli altri gruppi spalla, credo 6, suonarono solo un brano a testa!
Quando i Fab Four arrivarono, ci ha raccontato l'Armando, UNO CHE C'ERA, attaccarono gli spinotti delle chitarre ad una mega (allora) amplificazione che faceva impallidire quella dei gruppi-spalla e partirono in quarta .
C'erano anche esponenti importanti della musica italiana tra i quali il maestro Armando Trovajoli lì vicino al palco, che a quello start senza esitazioni rimasero fulminati !
Armando ci ha raccontato di come, tra le urla isteriche dei fans Paul, John, George e Ringo suonassero quasi a memoria e d'istinto, di come durante I Feel Fine John, che aveva qualche difficoltà con il famoso riff iniziale, si fece sostituire per poco da George...giusto il tempo di mettere a posto la sua chitarra, e tante altre cose come la loro paura di suonare e Roma all'Adriano il 27 Giugno successivo!

Grazie Armando, UNO CHE C'ERA !



PASQUALE 'WALLY' BOFFOLI