Meet the Residents (1974, Ralph Records)
Il mito dei Residents fatto di avanguardia e performance ironiche e intellettuali è forse il frutto della disillusione degli anni '70. Questi agitatori un pò Fluxus irrompono sulla scena scomodando addirittura i Fab Four, che appaiono in questo primo lavoro (Ralph, 1974) con volti sfigurati e ritoccati con le stesse modalità usate dal surrealista Salvador Dalì. Fin da subito svelano i loro intenti musicali alternando esperimenti sonori a facili canzoncine pop, fino a riletture poco ortodosse di classici del mondo anni '50 e '60. Ne esce un teatrino stranulato che è un insieme tra gioco e provocazione.
Secondo il loro parere la musica non è sbocciata a partire dagli anni '50 ma è collassata sotto il mercimonio dell'easy listening e del controllo delle case discografiche. Agli americani precursori di generi quale il be bop e rock &roll, sono ritornati indietro, in forma rielaborata e rimasticata, una serie di detriti del loro lavoro e della loro cultura originaria che essi a loro volta hanno continuato a riciclare in una sorta di circolo vizioso.
La risposta dei Residents è stata quella di portare all'esasperazione goliardica questo trend per esorcizzarlo e renderlo palesemente grottesco.
"Meet the Residents" nella sua prima facciata cattura tutta la nostra attenzione perchè le loro stranezze ci inducono la curiosità di sapere cosa verrà fuori di inaspettato. Ma poi masticando ripetutamente le sue sonorità ci rendiamo conto che la stranezza può venire fuori da ogni cosa "seriosa" resa buffa dalla nostra fantasia, come per la copertina, e tutto può diventare melodia allegra ed orecchiabile. Sono ben nove brani suddivisi in quattro medley. Nella seconda facciata, interamente strumentale, ci sono tre lunghi brani. Rilevanti gli strumenti a fiato, le percussioni
(Rest Aria, Smelly Tongues) ed un pianoforte con suono esasperato probabilmente da un fuzzbox: Spotted Pinto Bead.
I suoni sono sporchi e stridenti e la produzione mono lo rende volutamente un album fatto in casa, pur se straripante di idee e sonorità travolgenti e brillanti che di certo non fanno annoiare e mettono in luce una grande esperienza nell'assemblaggio.
Le innovazioni sonore del "White Album" e di "Trout Mask Replica" di Captain Beefheart sono filtrate in uno spazio profondo, ma dimenticate l'idea di cogliere i tagli o le citazioni (Seasoned Greetings), questo miasma ci trascina con sè in un ascolto che si rinnova sorprendentemente di volta in volta. In Boots, Nancy Sinatra ci disturba con il suo canto non professionale e psicotico, ne l'Infant Tango vi sono urla da demenza clinica per dare sfogo a tutto il fenomenale Pop Combo del North Carolina che farà inorridire i benpensanti della melodia, ma del resto siamo solo all'inizio!
The Third Reich' n'Roll (1976, Ralph Records)
Si è tanto vociferato sull'identità nascosta di questi arguti ed eclettici personaggi di San Francisco che la loro risposta in questo album è stato l'immancabile, pungente sberleffo: hanno indossato la divisa da punitori implacabili di un Reich fantoccio e buontempone, riesumato dagli incubi peggiori delle menti perbeniste e buoniste di intere generazioni adagiate su un ideale di libertà svogliata e di progresso accessibile al miglior offerente ed hanno buttato al macero con la solita, irriverente nonchalance, un intero repertorio di classici intoccabili. Un calderone impietoso che ad un più attento ascolto non è solo dissacrazione fine a sè stessa ma anche un palese omaggio, assemblato alla loro inconfondibile maniera, che dietro la coriacetà dei primi ascolti, nasconde una quantità impressionante di talento, estro e sottile senso ironico.
"The Third Reich n'Roll" (Ralph 1976) è a mio parere, tra i tanti memorabili lavori dei Residents, l'album meglio riuscito, in esso emerge non solo la grande abilità nel mescolare elettronica, sperimentazione, rumorismo e fantasia, ma l'altra originalissima dote del gruppo californiano che è la reinterpretazione distorta di brani celebri (alla loro scuola attinsero i Devo e i Pere Ubu). Questo insieme di caratteristiche raggiunge l'apice di alchimia ed equilibrio in questa gemma miliare che ci restituisce in toto il loro talento spogliato di ogni velleità ed ambizione, condito da una leggerezza e da un sarcasmo frizzante che fa trapelare tutto il loro sano divertimento per la manipolazione, per la parodia ma anche il loro viscerale amore per la plasmabile materia rock.
Adolf Hitler e la sua ideologia della rigidità intransigente, scimmiottato come marionetta grottesca per dar vita a questo musical postmoderno, articolato in due lunghe e allucinatissime suite: Swastikas On Parade (Part 1 - Part 2) e Hitler Was a Vegetarian (Part 1 - Part 2). La quantità di plagi e taglia/copia/incolla ravvisabili è veramente senza fine, il vecchio ordine musicale è letteralmente sovvertito ad un apparente disordine e ad una sconnessione che ancora una volta vuole essere la loro risposta artistica e creativa al non allineamento dello standard pop. La musica di consumo viene macinata da un distorsore fonetico che la rende abrasiva e ripugnante, ma in questo collage passano in una specie di marcia funebre e allo stesso tempo elogiativa, trent'anni di cultura, di mode, di avvenimenti, di stili musicali che hanno fatto epoca. Se ne dispiegano sotto questa lente deformante, non si sa se spietata o indulgente, tutte le contraddizioni, i pregi, le sfaccettature, le emozioni e il disincanto. Il loro primo, indiscusso concept album. Altra curiosità di questo lavoro: dopo la solita prima uscita di sole 1000 copie in vinile, seguirono 3 ristampe nello stesso anno; per la Euro Ralph incaricata della distribuzione in Germania, furono preparate 25000 copie contenute in un apposito sacchetto di velluto con i simboli nazisti auto-censurati a causa del divieto e dell'illegalità di menzionare o alludere al Terzo Raich. Di questo album è stato anche realizzato un cortometraggio che a tutti gli effetti può essere considerato un progenitore dei video musicali a venire.
Romina Baldoni
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