mercoledì 22 giugno 2011

DAVID SYLVIAN: “Died in the wool” (Manafon Variations) (2011, Samadhisound)

David Alan Batt, al secolo David Sylvian, inglese del Kent, classe 1958, figlio di un imbianchino e di una casalinga, viene educato in quel di Londra e ben presto si innamora di artisti tipicamente glam quali David Bowie ed i Roxy Music. Coinvolto come tutti i suoi coetanei dal ciclone new-wave forma i Japan, con grandi strumentisti, e questo sarà costante nella sua carriera, quali Mick Karn, recentemente scomparso e Richard Barbieri tra gli altri.
Arrivato rapidamente ad avere un nutrito seguito di appassionati grazie ad ottimi album quali "Quiet Life" (1978), "Gentlemen take Polaroids"(1980) e "Tin Drum"(1981) decide improvvisamente e misteriosamente di abbandonare il gruppo all'apice del successo, sommerso forse da improvvisa celebrità e col rischio di diventare un icona dandy. Si parla pure del coinvolgimento di tale Yuka Fujii ex girl-friend di Karn, soffiata sembra da Sylvian all'amico Mick, fotografa e designer, molto influente nel successivo sviluppo della carriera del nostro: suoi infatti i disegni di copertina di molti albums del nostro. David si imbarca così in una splendida carriera solistica, caratterizzata da varie collaborazioni con la crema dei musicisti avanguardistici e non, Ryuichi Sakamoto, Robert Fripp, 2 favolosi disco studio+live per loro, John Hassel, Holger Czukay, ex Can, Bill Frisell, Marc Ribot e molti altri ancora.
I suoi dischi migliori sono certamente i primi, o perlomeno i più accessibili, incisi in prevalenza per la famosa etichetta Virgin; dal 2003 in poi David fonda una propria etichetta personale, la Samadhi Sound con cui cambia radicalmente il suono avvicinandosi a forme avanguardistiche che faranno storcere il naso a molti dei suoi estimatori e non. Questo ultimo "Died in the Wool", suo 19imo disco in studio è nello stile tipico dell'ultimo Sylvian, introspettivo e claustrofobico: il titolo infatti riporta Manafon Variations, ovvero la continuazione del precedente lavoro del nostro di cui riprende alcuni titoli, sei per l'esattezza, riarrangiandoli e modificandoli nel suono grazie al lavoro di Dan Fukujura, compositore contemporaneo, di Jan Bang ed Erik Honorè, della chitarre frippiane di Christian Fennesz e delle tastiere di Stael Storlokken.
Il nome Manafon come spiega David 'è il nome di un villaggio in Galles, col tempo la parola per me è diventata sinonimo di immaginazione poetica, di mente creativa, di fonte perenne, un posto dove la conoscenza intuitiva scivola nel flusso dell'inconscio'.



Il disco si presenta in 2 cd, il secondo contiene un unico lungo pezzo, When We Return You Won’t Recognise Us, dal nome dell'omonima piece registrata da David per la Biennale delle Canarie 2008-2009, una suite sullo stile del Brian Eno di "Music for Airports" ed in generale della serie Ambient. E' lapalissiano che Sylvian da quando ha fondato la sua personale label si è progressivamente allontanato dal tipico suono che caratterizzava i suoi lavori, non tanto con i Japan - qui ormai siamo a distanze siderali da loro - ma i primi dischi soprattutto, che sì comprendevano fior di musicisti dell'area avanguardistica-sperimentale (come detto prima), però avevano linee melodiche abbastanza accessibili, pur non risultando banali o scontati. Le prime due tracce del disco, Small metal gods e Died in the wool sono molto simili, lentissime e sussurrate, la terza invece, la splendida I Should not dare ci riporta al Sylvian che conosciamo, un pezzo davvero emotivamente molto intenso e lo stesso si può dire di A certain slant of light, davvero molto bella e intensa. L'album prosegue trascinandosi in lentissime litanie, che vedono rarissimi e scarni accompagnamenti di tromba e del quartetto d'archi che domina il lavoro, insomma una lunga sequenza di brani di non facile impatto: il disco si può tranquillamente catalogare come musica contemporanea o ambient se preferite, dimenticandosi totalmente del David Sylvian di 30 anni fa.
Lo stesso inglese al riguardo ha dichiarato 'mi piacciono le sfide, è qualcosa che cerco nei miei lavori e nella scelta dei miei collaboratori': difficile quindi giudicare un lavoro simile, difficile anche consigliarlo spassionatamente, se le vostre orecchie non sono allenate ad un certo tipo di musica un disco così può creare sconcerto ed imbarazzo, soprattutto perché proviene da un artista molto conosciuto, un uomo che ha deciso di esplorare ed ampliare più possibile i suoi orizzonti musicali. Personalmente ammiro molto la scelta dell'artista inglese di rimettersi continuamente in gioco, non cullarsi sugli allori dei successi precedenti e mantenere una integrità artistica ben definita, cosa fondamentale di questi tempi in cui tanti suoi colleghi badano soltanto a sfornare lavori per accontentare i fans o accattivarsi nuovi seguaci. Il mio giudizio in conclusione è positivo nonostante la totale osticità dell'opera; lo stesso artista ha dichiarato una volta 'Con la mia musica vorrei spalancare il cuore dei miei ascoltatori, che si abbandonassero completamente': ecco forse la chiave per penetrare un disco come "Died in the Wool".
Ricardo Martillos

I SHOULD NOT DARE
A CERTAIN SLANT OF LIGHT
SMALL METAL GODS

DAVID SILVIAN .IT

DAVID SILVIAN OFFICIAL SITE

SAMADHISOUND

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