PrologoIl termine
‘punk', nella fattispecie riferito al rock, è sottoposto da sempre ad un processo di archetipizzazione, soprattutto da parte di addetti ai lavori, giornalisti, critici.
Non credo di essere molto lontano dalla realtà dicendo che se si mettono da parte precise e note coordinate temporali e geografiche (quasi sempre necessarie in sede di scrittura e critica!) svariate band e
‘loners’ in momenti e luoghi diversi della storia del rock possono fregiarsi di tale attributo artistico ed esistenziale, inteso soprattutto come attitudine selvaggia e poco incline ai compromessi!
Il variegato panorama beat anglosassone della prima metà dei sixties è quello che ci sta più a cuore in questa sede: per i neofiti suggerisco
“Nuggets II”, cofanetto di 4 cd edito dalla
Rhino Records, imperdibile caleidoscopico feticcio contenente le incredibili, attualissime intuizioni beat/punk ante-litteram di quegli anni inimitabili!
Grosso modo distinguerei (col senno di poi di chi le ha vissuto in prima persona in tempo reale) i gruppi degli
early sixties inglesi in due tronconi principali, i
‘Melodisti’, cioè quelli che puntavano tutto sulle armonie vocali e sulla ricerca della pop-song perfetta:
Hollies, Herman’s Hermits, Moody Blues, Manfred Mann, Kinks (inseribili questi tra l’altro perfettamente anche nel filone mod insieme a
Small Faces e
Who) oltre naturalmente ai
Beatles; ed i
‘Punks’, band dall’approccio beat rude e selvaggio al patrimonio blues, r&b e r&r dei maestri d’oltremanica:
Pretty Things, Them, Rolling Stones, Troggs, ma soprattutto gli
Animals di
Eric Burdon!
Burdon era un estremista tra i cantanti bianchi di allora, un metro e sessanta scarsi di rabbia vocale concentrata, ed ebbe l’enorme importanza di sviscerare sino ad estreme conseguenze espressive gli insegnamenti di
John Lee Hooker, Bo Diddley, Chuck Berry, Ray Charles: erano loro gli interpreti dei ‘preziosi’ dischi contenuti nelle casse che i marinai provenienti dall’America scaricavano tra il 1962-63 nel porto di Newcastle Upon Tyne, sulla costa inglese, a 70 km. dalla frontiera scozzese, città natale di Eric,
Alan Price (piano e organo),
Chas Chandler (basso),
Hilton
Valentine (chitarra) e
John Steele (drums).
Newcastle in quegli anni resta isolata dal pop corrente che sconvolge Liverpool e aggredisce la capitale!
Ecco perché gli ‘animali’ (mai nome fu più appropriato!) si fanno artefici di un sound autoctono, altamente energetico, basato molto sulle tastiere di Price ma in primo luogo sulla voce/personalità grezza, ribelle ed aggressiva di Eric Burdon.
Memories (a personal book)Era l’estate del ’65 o giù di lì, avevo appena cambiato uno stupendo mangiadischi celeste modello
‘beach party’ con il mio primo vero giradischi (non ricordo il marchio) che avrei qualche tempo dopo sostituito con lo storico
‘Selezione Reader’s Digest', il massimo che allora poteva offrire la tecnica!
Una stagione fantastica: consumavo letteralmente con il mio amato mangiadischi celeste una serie arrapantissima di 45 giri:
Wild Thing e
With a girl like you dei
Troggs,
Black is Black dei
Los Bravos,
Summer in the City dei
Lovin’ Spoonful,
Domani di
Sandie Shaw,
Gimme Some Lovin' e
I’m a Man dello
Spencer Davis Group; non so cosa darei per averli ancora in mio possesso!
A volte disertavo il pranzo o la cena pur di non distaccarmi da loro: le uniche vibrazioni erotiche poi, per noi tredicenni/quattordicenni, provenivano da quei piccoli pezzi rotondi di vinile nero idolatrati
‘with a hole in the middle’ quando giravano naturalmente!!!
Le ragazzine allora non erano così disponibili e disinibite per cui il
do it yourself andava alla grande.
Al flash di 2 minuti e mezzo prestò subentrò quello a lunga distanza del microsolco a 33 giri, che per noi era un serio problema economico perché dovevamo risparmiare i soldi di papà per un mesetto per potercene comprare uno!
Il mio primo Long Playing fu
“The Best Of The Animals” (Columbia GB, 1966), con una bella sagoma di
Eric Burdon in copertina: conteneva hits che già conoscevo per averli sentiti in radio a
Bandiera Gialla da
Arbore e
Boncompagni,
It’s my life e We’ve gotta get out of this place (dai riff incisivi e metallici), l’immortale
The House of the rising sun; ascoltai invece per la prima volta
I’m Crying, Baby let me take you home, Bring it on home to me, Don’t let me be misunderstood, tutti brani divenuti classici.
E ancora
Club A go-go, I’m going to change the world (rovente inno al cambiamento),
Gonna Send to Back to Walker: tutti avevano alle mie orecchie vergini di allora la stessa vertiginosa intensità!
It's My LifeWe've Gotta Get Out of this PlaceDon't Let Me Be MisunderstoodI'm CryingERIC IS HERE! THE
ANIMALS 1964-1965Eric Burdon sprigionava davvero un feeling animalesco: in quegli anni la potenza del suo soul proletario, le sue interpretazioni sofferte e sudate, la sua vasta gamma espressiva erano già ben definite, ed indubbiamente superiori alle prestazioni vocali dei vari
Jagger, Lennon, Phil May; forse solo
Van Morrison, selvaggio ed irrefrenabile leader dei
Them, poteva tenergli testa.
Scrivono
Nick Logan e
Bob Woffinden nella loro
“The Illustrated New Musical Express Enciclopedia of Rock” del 1976:
"Gli ingredienti principali del successo degli Animals erano l’eccezionale potenza ed emotività della voce di Burdon e gli ottimi ed ispirati arrangiamenti di Alan Price. I testi delle loro canzoni erano caratterizzati da un crudo realismo popolare. Con un suono rude, genuinamente originale e la loro immagine ‘punk’ ottennero successo anche fuori dell’Inghilterra grazie a numerose tournées negli States".
Non credo di esagerare dicendo che
It’s my life e
We’ve gotta get out of this place furono nella prima metà dei ’60 potenti inni generazionali, espressioni di rabbia e frustrazione giovanili altrettanto significativi e seminali delle stesse
Satistaction, Get out of my cloud (
Stones) e
My Generation (
Who), anche se non ne raggiunsero lo stesso enorme successo mondiale!
Nel giro che bazzicavo in quei giorni stentarono a girare i primi due albums originali degli Animals,
“The Animals” (1964) e
“Animals Tracks” (1965) usciti in GB per la Columbia e negli USA per la MGM; il
best di cui sopra quindi rappresentò per molti di noi la Bibbia per un po’
Questi due microsolchi erano zeppi di covers,
Boom Boom, I’m Mad Again e Dimples (J.L.Hooker),
Around and Around e Memphis (
Chuck Berry),
The Right Time(
Ray Charles),
I’m in love again (
Fats Domino),
Roadrunner (Bo Diddley),
Bring it on home to me (Sam Cooke).
"Gli Animals avevano una scarsa tecnica musicale, giusto la conoscenza sufficiente degli accordi per poter riprodurre in scena i loro dischi il più fedelmente possibile; solo Alan Price possedeva una cultura musicale estesa che gli permise di realizzare i luminosi arrangiamenti delle prime registrazioni del ’64-’65. Ma possedevano una qualità rara: l’energia!
Chi li ha visti dal vivo all’epoca può testimoniare: essi sì che ne possedevano, come i Rolling Stones, i Flamin’ Groovies, i Dr. Feelgood. E non sono questi nomi associati a caso agli Animals. Il materiale americano, preferibilmente ‘nero’, era di gran lunga il loro preferito ma riuscivano a reinventarlo creando brani indimenticabili, classici immortali della rock-music (House of Rising Sun, brano di Bob Dylan su tutti; ma anche Baby let me take you home, libero adattamento di Price di Baby let me follow you down, sempre di Dylan e sempre dal suo primo album" (Rock&Roll review, from RAK compilation, 1978).
DimplesBoom BoomThe House Of Rising SunI'm Going to Change The World
Baby Let Me Take You Home1966 (1): ANIMALISMSIl ruolo di "
Bibbia" fu di lì a poco rivestito dal nuovo album del ’66 per la nuova etichetta, la storica Decca,
“Animalisms”.
Barry Jenkins era seduto dietro i tamburi al posto di Alan Steel e
Dave Rowberry ormai era divenuto il sostituto del genio musicale Alan Price.
"Animalisms" era ancora zeppo di adattamenti di classici neri: c’erano
Sweet Little Sixteen di Chuck Berry,
Maudie di J.L.Hooker; con uno sbottonamento verso il soul ed il r&b,
One Monkey Don’t Stop No Show di
Joe Tex, brillante e quasi rappata,
I Put A Spell on you, convulsa, del voodoo- bluesman più pazzo in circolazione,
Screamin’ Jay Hawkins.
Il blues è sempre in primo piano, con il superlativo t
our de force vocale in
crescendo di Burdon in
Gin House Blues di
Troy Henderson, divenuta all’epoca una sorta di banco di prova per chi si cimentava come lead-singer tanto l’interpretazione di Burdon era pregna di tensione emotiva!
Ma
"Animalisms" conteneva anche un
hit-single come
Outcast di
Campbell e due originali degli Animals quali
She’ll return it e soprattutto lo stupendo slow
You’re on my mind, che mostravano graduali cambiamenti nel
sound, soprattutto la seconda
song: i toni sono più pacati, si respira una
loneliness particolare, il blues appare come interiorizzato da Eric, che fa presagire ‘venti di cambiamento’.
One Monkey Don't Stop No ShowMaudieYou're On My MindGin House BluesI Put A Spell On You1966 (2): A POWER OF A SINGLE Al 1966 è legata anche l’incisione di alcuni single, stupendi, le ultime felicissime vibrazioni che
Burdon ci regalò con gli
Animals in questa stagione di passaggio.
Inside looking out, dal riff indianeggiante, vero inno corale di rabbia repressa, potentissima, sulle sofferenze e speranze della vita in prigione: Burdon non conosce compromessi, forse non toccherà più vertici così alti di crudezza espressiva! Sarà ripresa esattamente 30 anni dopo dai
Lord High Fixers di
Tim Kerr, tra i più importanti alfieri del
garage lo-fi americano, e sviscerata con raddoppiato livore!
Don’t bring me down riuscì ad essere all’epoca più
Pop-olare grazie a una felice
diffusione radiofonica e perché più accattivante: presentava un’ottima costruzione, con un ansimante crescendo iniziale di organo che eiaculava in un riff assassino di fuzz-guitar assolutamente indimenticabile; Burdon ha toni supplichevoli da amante frustrato, poiché è l’amore non ricambiato il tema di questa song di
Goffin-King divenuta una classico senza tempo!
All’inizio degli ’80 è stata coverizzata da
David Johansen, ex bambola di New York, nel suo
“Live it-Up”, attraverso un Animals-medley che suona come celebrazione ufficiale della sua idolatria per una band che rappresentò uno dei suoi primi amori. Ma anche
Tom Petty la reinterpretò nel suo live
“Pack Up the Plantation”.
La side B del 45 giri era
Cheating, lenta ed ipnotica, non certo inferiore alla side A: non era una novità in quegli anni!
Il terzo, storico single Decca fu
See See Rider, uscito sul mercato quando Eric Burdon aveva già dato forfait e gli Animals non esistevano ormai più. Si trattava di un magistrale e personale arrangiamento di Rowberry di un traditional blues americano,
basato su di un massiccio lavoro chitarristico e recante un fulminante solo distorto: Burdon come al solito spadroneggia, violentando la tradizione blues con sadismo!
Ancora una volta non si può distinguere tra side A e B poiché l’altro brano presente,
Help Me Girl è un altro capolavoro tout court. Si tratta di una ballata
after hour intensa ed accorata, sottolineata da un organo struggente e da caldi sassofoni, nella quale Burdon ci ricasca: quasi un amaro destino il suo, pregare una donna dal suo abisso di solitudine!
Ma il blues è proprio questo, e Burdon è stato ed è uno dei suoi più grandi interpreti bianchi.
I sapidi sentori jazzy di
Help me Girl concludono in maniera incredibilmente cool questo periodo aureo, la prima metà dei
Sixties, della storia degli Animals: gli avvicendamenti nella formazione e i nuovi orientamenti musicali non accomodanti di Eric portano allo scioglimento del gruppo. L’estrema ricettività artistica e umana del nostro l’espone irrimediabilmente alle nuove vibrazioni psichedeliche americane.
When I was young è già registrata con i
New Animals: Burdon sta per spiccare il volo oltreoceano per inaugurare una nuova
fase straordinaria della sua via crucis artistica. Il brano è decisamente un giro di boa, nella sua e nella nostra vita, con le sue sonorità esotiche e ‘fumate’
stordenti: nuovi strumenti aprono e conducono le danze, in primis il violino di
John Weider, ma la stessa chitarra (
Danny McCulloch) assume inediti timbri arabeggianti.
Il brano respira una straordinaria tensione, inaugurata dal celeberrimo rombo d’aereo iniziale che tanto scioccò allora: Burdon, cadenze vocali da sciamano, ritorna mentalmente sui luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza, apre nuove porte; il viaggio nel nuovo suono acido è iniziato, e il furioso punk-beat degli esordi è ormai un pallido ricordo: il rock&roll ed il blues sono divenuti stratificazioni
del suo subconscio artistico, l’ ‘
Are You Experienced?’ necessario per materializzare nuovi ectoplasmi sonori!
A Girl Named Sandoz side B, è pura lava hendrixiana (Jimi diventerà vero fratello di sangue per Eric): il suono é oscuro, introspettivo, roba da brividi, con chitarre psichedeliche che s’aggirano felpate e minacciose a dettar legge.
Sono nati i
New Animals ma come si dice: questa é un'altra storia!
Wally Boffoli
Inside Looking OutDon't Bring Me DownHelp Me GirlSee See RiderA Girl Named SandozWhen i Was YoungEric Burdon Legendary blues-rock singer of Animals Eric Burdon on Facebook