Il luogo comune piu' diffuso, sta sottoterra. Ho proprio tirato in ballo un luogo comune la mattina del concerto, dicendo che le musiche dei Kings of Convenience si sarebbero adattate bene a una giornata piovigginosa di tempo 'atlantico' tipica della francese Bretagna (tempo arrivato su Torino la sera prima con al seguito lo strascico di nuvole veloci). Luogo comune sotterrato dal pomeriggio ventoso, che scoprendo il cielo aveva portato una serata limpidissima e fresca anche nell'area del concerto, sul cui palco Eirik Glambek Bøe ed Erlend Øye sono saliti 10 minuti prima dell'inizio previsto (suscitando sorpresa tra il pubblico, solo in parte già sistemato nelle sedie).
E' un luogo comune anche che i nordici siano freddi emotivamente, perché i Kings erano saliti per invece presentare scherzosamente la band di supporto, Ophelia Hope, quartetto guidato dalla voce della loro concittadina Ingrid Ophelia e completato da chitarra acustica, basso e batteria provenienti da parti diverse del mondo, tra cui l'Italia (il bassista Davide Bertolini). Un set di mezz'ora il loro, con suoni limpidi e canzoni delicate, incorniciate da xilofono e tastiere tintinnanti, intonato con l'atmosfera lieve della serata.
Il luogo comune dei nordici abituati alle basse temperature viene sotterrato invece quando a inizio concerto Eirik, il bruno dei due, si presenta con addosso un giubbotto (in Italia, a luglio!) e quando dopo qualche minuto lo cede poi al compagno, che si lamenta pubblicamente per freddo alle mani e non solo. Freddo che evidentemente Erlend sente di più, impegnato com'è a lavorare di fino con le dita sugli arpeggi minimalisti delle corde in metallo, che l'amplificazione pulita fa poi galleggiare esaltando i complessi intrecci con la ritmica precisa, continua e percussiva di quelle in nylon dell'altra chitarra, colpita da Eirik medesimo con regolarità e forza tali da riscaldargli, evidentemente a sufficienza, le mani e il resto.
Eseguite con basi strumentali piu' rarefatte e scarne di quelle delle versioni registrate, Love is no big truth, Cayman Islands, I Don't know what can, I save you from, tra le altre, fanno risaltare maggiormente il tono discreto delle voci, le strutture armoniche elaborate degli accompagnamenti e, in fin dei conti, l'aspetto evocativo (noioso, direbbe qualcuno) del repertorio dei KoC. Un inizio di concerto cauto, seguito pero' dopo non molto da primi segnali di calore per il tramite di battute e inviti al pubblico ad avvicinarsi, prima solo emotivamente (“schioccate le dita, non battete le mani, è più' elegante”), poi con tutto il resto: così dopo una Sing to me softly al piano, i Kings of Convenience chiedono se ci sia qualcuno che vuole andare sotto il palco, ottenendo il risultato di svuotare le sedie del pubblico più distante e decretare la fine del concerto da seduti di quello delle prime file. Ma meglio così.
Dopo una Mrs. Cold che in versione 'severa' guadagna, Erlend e Eirik, arrivati a meta' serata, fanno entrare “la band che suona con noi”: Davide Bertolini al contrabbasso (produttore artistico dei loro dischi e amico, oltreché bassista degli Ophelia Hope) e Tobias Helt alla viola, responsabile dei riff e dei pizzicati che fanno riconoscere al volo i loro pezzi piu' famosi.
Da quel momento si animano palco e platea: il contrabbasso pulsa deciso rinforzando la ritmica di Eirik (diventata piu' percussiva), Erlend arpeggia più energicamente o anche lui rafforza ritmicamente con chitarra e pianoforte (oppure si dimena e balla, sobillando il pubblico), la viola infila temi, contrappunti alle voci e anche assoli. Risultato e' che Stay out of trouble finisce, appunto, con un suo lungo solo, Misread diventa scarno rock acustico sincopato e senza batteria, Me in you si quieta solo nell'intervallo a base di schiocchi di dita collettivi.
Toxic girl, un po' più rilassata del solito, prelude sia a una versione lunga di Boat behind, con assoli di viola e contrabbasso, sia all'ingresso del batterista degli Ophelia Hope per una vivace I'd rather dance with you, dove Erlend si dedica alla danza dinoccolata del video che ha vinto gli MTV Awards nel 2004.
Come nella prima parte dell'esibizione, anche nella seconda, pur con un segno opposto, il gruppo (sempre di questo si tratta) presenta i propri pezzi in una veste meno pop e autocompiacente, un po’ diversa da quella che tutti già conoscono. Forse per il gusto che provano i musicisti nel non suonare sempre allo stesso modo, forse rendendosi conto che ad anni di distanza dalla loro scrittura, eseguirli uguali significherebbe negare anche solo un minimo di evoluzione nel gusto, nella tecnica e nella prospettiva musicale. Evoluzione che invece in qualche modo viene fuori nell’ultimo cd, dove sono un po’ meno le occasioni di ascolto facile e in cui compaiono nuove soluzioni, a volte magari non del tutto convincenti ma che provano a superare gli schemi più accattivanti tipici del passato.
I bis che seguono, in duo (Homesick, Know how) più un terzo dall'ultimo cd con la band, non aggiungono altro. Ma aiutano a confermare nell'opinione, come il resto del concerto, che il luogo comune più diffuso stia davvero sottoterra: non e' detto che i nordici siano freddi di carattere o che qui in Italia abbiano per forza caldo. E neppure che i Kings of Convenience siano noiosi o che la loro musica sia da associare a una giornata piovigginosa, di Bretagna o torinese.
Fotografie e live report di Claudio Decastelli