Distorsioni ha il piacere di avere per questa panoramica su alcuni dei dischi fondamentali della Power Pop Story un autore d'eccezione, Luca Re, il cantante storico dei Sick Rose, seminale garage-band italiana e più di recente il front-man anche dei Teenrama, progetto collaterale della band concentrato su un repertorio power-pop. I Teenrama hanno suonato il 15 maggio 2011 di spalla alla nuova line-up dei gloriosi Beat di Paul Collins, all'United Club di Torino: un cerchio quindi che si chiude perfettamente. Luca Re ci ha onorati di un suo appassionato excursus su un genere che ha la rara capacità di rinnovare pelle ad ogni nuova stagione rock! (Wally Boffoli)
Scrivere un articolo propedeutico sul
power pop è un’impresa non facile. Si tratta infatti di definire in maniera semplice e concisa uno dei generi più sfuggenti degli ultimi 40 anni di r’n’r. Rimando chi volesse approfondire la materia agli articoli apparsi sul numero monografico del marzo 1978 di Bomp, dove Greg Shaw per la prima volta teorizza un “genere” e il lungo excursus, a cura di Luca Frazzi e co., apparso a metà anni ’90 sulla italianissima Bassa Fedeltà. Io mi limito ad alcuni cenni introduttivi e passo quindi direttamente a consigliare l’ascolto di 10 dischi, a mio avviso fondamentali, che, attraverso un approccio sostanzialmente pragmatico, aiuteranno il neofita ad avvicinarsi a un universo sonoro ricco di sorprese eccitanti. Se il rhythm & blues è l’ala
sinistra del r’n’r, il pop è la sua ala destra, “conservatore” nella migliore accezione del termine! Sono pop i Turtles, gli Hollies, i Beatles pre Sgt Pepper, la surf music, la Motown, gli Who pre Tommy, il Merseybeat e i Monkees. Non sono pop Jimi Hendrix, i Cream,
l’acid rock e tutte le mutazioni musicali in ambito rock a partire dalla fine degli anni ‘60. Il power pop, dopo i fasti degli anni ’60 dove la melodia e la potenza fanno la fortuna di band come Move, Easybeats e Creation, riemerge proprio nei primi anni ‘70 come reazione a un momento musicale che pretende di dare una risposta ai misteri del cosmo attraverso assoli interminabili, suite che occupano intere facciate di LP e strumentazioni imponenti. In contrasto a tutto questo, soprattutto negli Stati Uniti, gente come Raspeberries e Big Star ricomincia a scrivere canzoni di 3 minuti che raccontano di prime volte sul sedile posteriore dell’auto e di altri pruriti adolescenziali. Purtroppo la maggior parte della critica boccia queste band, che nella maggior parte dei casi vengono relegate ai margini dell’industria discografica e scompaiono dopo un LP o due. Vediamo quali album hanno lasciato una traccia indelebile e ancora oggi ispirano centinaia di power popper in tutto il mondo, pronti a imbracciare una Rickenbacker e a cimentarsi con la scrittura di brani che in pochi minuti racchiudano l' essenza del rock and roll!
1) Badfinger: “Straight up” (1971)
Viene giudicato quasi unanimemente il miglior disco dei Badfinger e loro rappresentano l’anello di congiunzione perfetto tra la musica pop anni ’60 e quello che negli anni ’70 verrà definito
power pop. Nati nel ’64 come Ivys, approdano alla Apple nel ’69 ed esordiscono con
Come and Get it un brano di Paul Mc Cartney. Da subito vengono definiti gli eredi dei Beatles e questo creerà non pochi problemi alla carriera dei quattro gallesi. Su
“Straight Up” il legame con i Beatles si intensifica. Il disco viene registrato ad Abbey Road inizialmente con George Harrison in veste di produttore. Dopo il suo abbandono del progetto per impegni legati al concerto per il Bangladesh gli subentrerà Todd Rundgren, noto per il suo ossessivo ispirarsi al quartetto di Liverpool. Il disco però brilla di luce propria e la sua forza sono le canzoni perfette che Ham, Evans e Molland riescono a comporre per questo terzo LP della band. Su tutte
Baby Blue che, uscita anche su 45 giri, riuscirà ad arrivare fino al 14° posto delle classifiche americane. Su questo disco sono presenti tutti gli ingredienti classici del power pop, grandi melodie, suoni di chitarra impeccabili e ritornelli che non riesci a toglierti dalla testa!
2) Big Star: “Radio City” (1974)
A mio avviso l’album di power pop definitivo! Più ancora che nel suo predecessore, è evidentissima l’influenza della British invasion sulla scrittura di Alex Chilton, Beatles e Kinks in primis. In questo disco è lui l’ assoluto padrone, la band ridotta a un trio esprime al meglio tutte le sue potenzialità. Dal punto di vista commerciale l’album è un fiasco, ma la sua influenza su intere generazioni di musicisti è enorme. Il suono è assolutamente perfetto, brani in apparenza semplici nascondono in realtà arrangiamenti per niente scontati, è soprattutto la vitalità che sprigiona che me lo fa preferire a
“N. 1 Record” e poi
September Gurls è di diritto una delle 100 più belle canzoni di sempre.
3) Flamin’ Groovies: “Shake some action” (1976)
E' il 5° disco della band di San Francisco e, oltre alla dipartita del co- leader Roy Loney, sancisce la svolta power pop a scapito dell’energetico r'n'r che fino a questo punto aveva caratterizzato il suono della band. Cyril Jordan si lascia totalmente attrarre dall’universo sonoro dei Beatles pre Sgt. Pepper e dei Byrds, scrivendo uno degli inni power pop definitivi:
Shake Some Action. A partire dalla copertina che immortala la band con un look decisamente sixties oriented, è tutto l’ album, registrato in Inghilterra e prodotto da Dave Edmunds, che rinnova i fasti e le sonorità di 10 anni prima. Oltre a
Shake some Action è
You tore me down che cattura immediatamente l’attenzione per la scrittura perfetta. Tutto l’ album è comunque di altissimo livello, con omaggi diretti agli eroi di sempre attraverso cover di Lennon McCartey e Chuck Berry. Nel ’76 i Groovies anticipano tutti e pongono le basi per quel recupero dei sessanta che dopo il ciclone punk diventerà sempre più esplicito.
4) Cheap Trick: “Heaven tonight” (1978)
Siamo al cospetto della prima bands in ambito power pop ad assaporare il successo vero, milioni di dischi venduti e folle oceaniche che riempiono i loro show negli stadi. I Cheap Trick li ami o li odi ma, nel ’78 loro riescono a mettere d’accordo punk, hard rocker e tutti gli orfani di Lennon /McCartney e British invasion. Incredibile ma vero, tutti questi ingredienti sono presenti nella loro musica (aggiungerei una spruzzatina di glam tra Marc Bolan e Ziggy Stardust e sporadiche ventate psichedeliche) e danno vita a un suono personalissimo in grado di influenzare nel tempo gente come Pixies, Smashing Pumpkins e Hanson! Il disco si apre con l’anthemica
Surrender e prosegue ricollegandosi direttamente al power pop originario dei sixties attraverso la cover dei Move
California Man.
“Heaven Tonight” riesce a coniugare l’irruenza e l’aggressività dell’omonimo disco d’esordio al pop patinato di
“In colour”. In seguito difficilmente i Cheap Trick riusciranno a raggiungere l’equilibrio perfetto di questo disco.
5) Knack: “Get the Knack” (1979)
Seconda band che assapora il successo, quello vero! Sei milioni di copie vendute in tutto il mondo e il singolo power pop per eccellenza
My Sharona che resta in cima alle classifiche così tante settimane da permettere agli autori, Berton Averre e il compianto Doug Fieger, di vivere di rendita per il resto dei loro giorni. L’ immagine dei Knack si richiama direttamente ai Beatles di
“Meet the Beatles” e le cravattine e i completi attillati diventano i tratti estetici dominanti della seconda esplosione power pop di fine anni ‘70. Il “giro” di Los Angeles snobba i Knack, considerandoli un gruppo creato in studio da abilissimi session men che hanno fiutato il prossimo trend frequentando i locali del Sunset Boulevard. Ma non è così, l’amore per i sixties è sincero e Doug Fieger si è fatto le ossa suonando a inizio carriera prima con gli Sky prodotti da Jimmy Miller e poi nei Sunset Bombers, che mischiavano già punk, hard rock e pop dei Sixties (grandiosa la loro cover di
I can’t control myself dei Troggs). Il disco evita qualunque tipo di critica, perfetto nella scelte delle cover (
Heartbeat già portata al successo da Buddy Holly), perfetto nel suono e nell’esecuzione (lo registrarono praticamente live in 10 giorni) e perfetto nella scrittura con brani devastanti come
Let me out e
Frustrated e ballate come
Oh Tara. La lunghissima carriera dei Knack dimostrerà proprio la loro totale dedizione al power pop capace di portarli ad incidere ancora negli anni 90 un album capolavoro come
“Zoom”.
6) Paul Collins Beat: “The Beat” (1979)
Dopo le esperienze con Nerves e Breakaways, Paul Collins passa dalla batteria alla chitarra ed esordisce insieme ai Beat con un disco che avrebbe potuto farlo diventare una star planetaria al pari dei Knack. I brani da
I don’t fit in a
You won’t be happy, da
R’n’R girl a
Walking out on love sono forse addirittura superiori a quelli di Fieger/Averre, ma manca il singolo trainante o forse la Columbia è incapace di svecchiarsi e presentarsi come etichetta “new wave”. Sta di fatto che le vendite non decollano e nonostante live show micidiali la band, soprattutto in Europa, non riesce a sfondare. Poi la carriera di Paul è tutta in discesa fino alla parziale ripresa degli ultimi anni. Ha sfiorato il successo ma non ce l’ ha fatta. Per tutti i power popper Paul rimane l’eroe perdente, duro e puro ed è giusto che nel suo ultimo LP, da non molto uscito, si auto proclami
“The King of Power Pop”! La sua onestà e la capacità di scrivere ancora canzoni perfette lo rendono tra i personaggi chiave di tutto il fenomeno.
7) 20/20: “20/20” (1979)
Altro disco fondamentale uscito nell’anno d’ oro del power pop, disco che apre nuovi orizzonti al genere mescolando la solita melodia a intrusioni elettroniche discrete ma per certi versi destabilizzanti.
Nel variegato panorama della scena di Los Angeles alla fine dei ’70, i 20/20 erano sicuramente una delle delle migliori band e il loro esordio a 33 giri ne rappresenta l’apice della carriera. I loro primi singoli, pubblicati su Bomp!, erano tutti dei gioiellini fantastici di sixties pop (si possono ascoltare sulle compilation “Bomp! Roots of Powerpop”) – ma per l’album d’esordio la band vira verso suoni più moderni e vagamente new wave. La maggior parte delle canzoni contenute in questo esordio, a partire dall’anthem Yellow Pills, presenta cori perfetti e riff accattivanti, insomma tutti trademark del grande power pop. Per tutti i fan di Plimsouls, Beat, Cheap Trick e Knack disco imprescindibile!
8) Romantics: “The Romantics” (1980)
L’album di debutto della band di Detroit suona, nei suoi momenti migliori, come l’album definitivo che Shel Talmy non ha mai prodotto. Il power pop fortemente influenzato dalla British Invasion del quartetto non brilla sicuramente per originalità, ma questo non è certo un problema per tutti i fan di questo genere musicale. Riff semplici e ritornelli che rimangono in testa fin dal primo ascolto! Questo disco rappresenta l’incrocio perfetto tra lo stile classico dei mid sixties e il volume e l’ attitudine punk della fine dei '70. Tutti i pezzi originali scritti dai chitarristi Wally Palmar e Mike Skill e dal batterista Jimmy Marinos sono un incrocio perfetto degli stili fondamentali dell’epoca d’oro del pop (pensate a una fusione di Kinks e Easybeats con un approccio melodico alla Hollies). La produzione di Peter Solley è semplice ma intelligente e mette in primo piano l’energia e le melodie accattivanti. I Romantics dopo questo primo disco, pur avendo altri notevoli successi, non riusciranno mai più a collezionare una serie di canzoni così perfette.
What I Like About You è l’hit single incontrastato di questa raccolta, ma pezzi come
When I Look in Your Eyes,
Tell It to Carrie e
Girl Next Door rendono davvero difficile la scelta. I Romantics con questo disco non hanno inventato niente di nuovo, ma sicuramente, quando si parla di energia contagiosa e attitudine da party, come band non hanno rivali. Questo disco ancora oggi, suonato a una festa di teenager, sa scatenare il ballo.
9) Plimsouls: “Everywhere at once” (1983)
Anche Peter Case, leader dei Plimsouls, si è fatto le ossa come Paul Collins nei Nerves, due soli EP all’attivo ma band fondamentale per capire l’esplosione power pop californiana della seconda metà dei ’70. E anche lui, come Paul Collins, cambiando strumento raggiunge la piena maturità musicale, creando con i suoi Plimsouls capolavori assoluti del genere. Al primo straordinario LP della band preferisco
“Everywhere at once” perché esce su Geffen, perché gode di una produzione stellare e poi perché vede la luce in piena esplosione Paysley Underground, alle cui sonorità a tratti si avvicina per quei riflessi neopsichedelici che arricchiscono gli ingredienti classici del power pop. Spesso i Plimsouls rifiutano questa etichetta, ma la loro musica rappresenta davvero la quintessenza del genere. R’n’R, R &B, melodie perfette, chitarre ed un ‘energia straripante che contagia ed entusiasma. (
A million miles away)
10) DM3: “Road to Rome” (1996) Spesso la seconda uscita degli australiani DM3 viene indicata come uno dei migliori LP di power pop della seconda metà degli anni 90. Periodo in cui soprattutto in Australia il genere vive una nuova esplosione di gruppi. A mio giudizio il disco è di diritto tra i 10 migliori dischi power pop di tutti i tempi, soprattutto per quella sua capacità di attualizzare un suono rendendolo nuovamente contemporaneo. “Road to Rome” è a modo suo un disco "classico" Il solidissimo song writing di Dom Mariani, maturato con le esperienze di Stems e Someloves e la produzione affidata a Mitch Easter (Db's), fanno la differenza. La band gira a mille e il disco pur essendo personale e non troppo derivativo può ricordare un incrocio tra Plimsouls, Badfinger e Who. La furia grunge è appena passata e qui il power pop ancora una volta sa rinnovarsi, integrando nuove sfaccettature. Gli amplificatori saturi caratterizzano brani come Please Don't Lie o Soultop, dal riff quasi hard rock. Luca Re