sabato 20 novembre 2010

SHORT REVIEWS - PIETER NOOTEN: "Here Is Why" (Rocket Girl/Goodfellas, 2010)

Pieter Nooten si é fatto le ossa nell’ambiente rock a partire dai tardi anni ’70: batteria, basso, keyboards. Negli anni ’80 suona con gli Clan Of Xymox (dark wave, goth-rock) registrando due album dove affina la sua concezione trascendentale della musica; nel 1990 incide con Michael Brook l’acclamatissimo "Sleep With The Fishes".
Vent’anni dopo "Here Is Why": come definire quella che viene chiamata Nooten’s music, contenuta in questo album davvero inclassificabile, dal fascino laptop/tastieristico sfuggente e struggente, ricco di mille malie, di seducenti voci femminili transumanti (Yvette Winkler), di celli profondi (Lucas Stam) che accarezzano le nostre provate sinapsi? Minimalismo, ambient, elettronica, dream-pop secondo etichette di comodo di volta in volta usate: c’è tutto questo in pillole in "Here Is Why" di Pieter Nooten, Amsterdam, intriso di un austero amore tutto nordico per la musica barocca del 17° secolo (Coldwater): Nooten afferma di essere influenzato più che dal pop moderno, dalla profondità e dalla bellezza di una semplice fuga di Bach.
Wally Boffoli

venerdì 19 novembre 2010

LIVE REPORT : The Fuzztones + Sonic Daze @ Istambul Cafè, Squinzano (Lecce), 16 Novembre 2010

Concerto sold-out quello di stasera, pur essendo martedì, per l'arrivo dei Fuzztones,unica data in Puglia inserita nel lungo tour europeo.
Loro a festeggiare i 30 anni di attività e a presentare il nuovo disco "Preaching to Perverted", personalmente a gustarmeli per la decima volta dal vivo. Tanta era l'attesa, si respirava l'aria del grande evento e, grazie anche all'ottima organizzazione, così è stato.
Temperatura bollente all'interno del locale con tanta gente, pochi i semplici curiosi e molti gli estimatori di garage punk, stipata in ogni angolo.
Ad accendere la miccia ci pensano già in apertura i baresi Sonic Daze capaci di tirar fuori in una mezz'ora scarsa di set un ottimo suono alla DMZ risultando così degli ottimi e adeguati apripista.
E poi la deflagrazione, il momento tanto atteso da una regione di tanti appassionati e, purtroppo, pochi concerti. The Fuzztones.
Si parte con la classica 1,2,5 degli Haunted con Rudi Protrudi all'armonica che dimostra subito buona forma a dispetto delle 58 primavere e qualche acciacco fisico patito nei mesi scorsi.
Da subito il pubblico risponde alla grande, scatenandosi sotto il piccolo palco a stretto contatto con la band, che tira fuori il meglio di sè sviscerando il loro sound, massiccio e ipnotico al contempo, ben rodato dalle numerose date del tour.
E così si continua tra originali e covers, da sempre facenti parte del Dna del gruppo: Ward 81, Bad News Travel Fast, Gotta Get Some, Highway 69, Romilar D e She's Wicked alternatesi ai nuovi brani dell'album in uscita.
Fra questi ultimi di particolare impatto mi sono sembrati Invisible, brano molto psych, Between the Lines, elettrizzante cavalcata garage e quello che si propone come uno dei nuovi classici della band fin dal titolo, This Game Called Girl.
Avanti per un'ora e mezza senza respiro con Rudi al solito padrone della scena con al collo una PWG a goccia, Rob Louwres, ex Q65 e Link Wray, a percuotere selvaggiamente le pelli, Vince Dante ottimo finisseur ad incidere sui suoni con la sua Vox Phantom, un Fez Wrecker molto divertitosi, come mi ha confermato alla fine (ma si vedeva), a riempire con le sue linee di basso (anche questo Vox) e poi Lei, la dominatrice assoluta ormai del suono dei Fuzztones, Lana Loveland all'organo Vox Continental.
Alla fine, stremato e soddisfatto, il pubblico non si è quasi accorto dell'assenza delle Sonics songs (Cinderella, Strychnine,The Witch) dalla scaletta e anche se almeno una dose di Strychnine è stato l'unico desiderio non esaudito per l'ora oramai tarda, mi piace pensare che ciò ha permesso a tutti di rimanere con la voglia di ascoltare ancora e prima possibile certi suoni dal vivo.
Un'ottima serata quindi, passata con una band che raramente delude e che impersonifica al meglio i tratti salienti di un genere musicale immortale e che annovera estimatori e aficionados in tutto il mondo.
Garage o Muerte !!!

Aldo Galiandro
Foto di Aldo Galiandro

The Fuzztones - Dendermonde 2010-10-01 - Ward 81
Fuzztones Strychnine
FUZZTONES Halloween - Don't Speak Ill Of The Dead
FUZZTONES Halloween 2010 - Black Lightnin' Light
Fuzztones live, Monaco, 3 Novembre 2010
The Fuzztones - Cinderella - Helldorado (Spain)

giovedì 18 novembre 2010

STRANGLERS: "Rattus Norvegicus" (United Artists, 1977)

Nessuno parla più degli Stranglers. Ne’ nel bene ne’ nel male.
Così è molto plausibile pensare non manchino a nessuno.
Proprio ora che tutti provano a suonare come loro, come i Sound o come i Chameleons, delle loro ombre non c’è quasi traccia sulle riviste, nemmeno quelle online. Curioso.
Certo curiosi gli Stranglers lo sono stati anche loro e per niente simpatici.
Forse addirittura la band meno simpatica della storia della new wave inglese.
Razzisti e sessisti non solo a parole ma anche a fatti, tanto da mettere le mani sulle tette delle femministe che spesso manifestavano ai loro concerti e molestarle fino a vederle scappare. E per farsi rappresentare non scelgono una linguaccia come gli Stones e nemmeno un dirigibile come i Led Zeppelin ma un sorcio. Un "Rattus Norvegicus".
Che detto così ha pure un suo sapore epicamente nobile da saga nordica, ma che altro non è se non un topo di fogna. A lui dedicano il loro primo album, nel 1977.
Un disco strano, che suona come nessun altro uscito in quell’ anno lì.
Perché, al di là dell’ immagine pubblica sinistra ed oltraggiosa, gli strangolatori suonano come i Doors. Che nell’anno del doppio sette non è proprio un complimento. Per gli standard dell’epoca un assolo sovrapposto di chitarra e tastiere come quello di Sometimes che parte dopo appena 1 minuto e mezzo dal primo solco è noioso quanto quello di Light my fire.
Difficile dar loro torto ma è su questo barocchismo ricercato ma un po’ pacchiano che gli Stranglers costruiscono il proprio stile, più avanti rappresentato dalla terribile ballata Princess of the streets, dalle smaniose scale di synth e di sax che affollano Grip o dagli otto minuti convulsi di Down in the sewer. Le cose migliori restano Goodbye Toulouse suonata coi nervi a fior di pelle e cantata da Hugh Cornwell con un’ insolenza amorevole, il reggae balordo di Peaches, la succinta London Lady che Peter Perrett in parte userà come canovaccio per l'inarrivabile Another Girl, Another Planet e le boccacce beefheartiane di Ugly.
Gli Stranglers di Rattus Norvegicus volevano essere odiati da tutti, anche dai punk.
E il tempo darà loro ragione.
Franco Lys Dimauro



Hangin' Around
Down In the Sewer
Goodbye Toulouse
Sometimes
Princess of the Streets
London Lady
Peaches
Get a Grip on Yourself
Ugly

Stranglers Official Website

L'ALTRA EUROPA: Elettronica, Chill Out, Alternative Pop, Progressive da un pianeta sconosciuto / Ungheria: Yonderboi, Zagar

Yonderboi

La musica elettronica come gran parte dei suoni 'affini', salvo rare eccezioni, trova il suo più concreto sviluppo nell’Europa dell’Est solo dopo la caduta del Muro.
L’isolamento culturale, più o meno accentuato a seconda delle diverse realtà nazionali, le difficoltà oggettive di produrre musica alternativa e controcorrente, un'obiettiva arretratezza tecnologica erano state per molto tempo un limite per uno sviluppo armonioso e costante delle diverse espressioni musicali. Pur in un clima certamente non particolarmente favorevole come quello descritto, si andavano sviluppando idee, invenzioni, progetti che rimanevano solo in attesa del momento giusto per poter trovare un adeguato terreno fertile.
L’Ungheria, assieme a poche altre realtà, ha da sempre rappresentato uno dei Paesi dell’area socialista maggiormente capaci di sviluppare tendenze, innovazioni, esperimenti che ancora all’epoca delle Democrazie Popolari costituivano, per tutta quella parte che rientrava nel recinto dell’altra Europa, un punto di riferimento che suscitava entusiasmo quando non invidia fuori dalle frontiere e una sostanziale tolleranza da parte degli organi di potere.
Caduto il Muro e tutti i recinti che in qualche modo potevano condizionare un adeguata circolazione delle idee e delle proposte musicali fu tutto un fiorire di iniziative, concerti, bands che nascevano da un giorno all’altro, proposte di grande spessore destinate ad imporsi all’attenzione del grande pubblico grazie anche ad una nuova capacità di produzione dell’industria discografica.
Da una realtà in grande fermento ecco dunque emergere artisti e gruppi del tutto sorprendenti e che da subito furono motivo di attenzione e ammirazione.
E’ il caso di Yonderboi, pseudonimo di László Fogarasi Junior, originario di un piccolo villaggio a sud di Budapest il quale ha iniziato a prediligere e ad occuparsi di musica elettronica fin da giovanissimo.
Nel 1998, dopo alcuni demo ed un primo singolo Yonderboi incide Pink Solidism una versione strumentale e del tutto personale di Riders on the storm dei Doors, brano che trova posto in una raccolta. E’ l’inizio di un percorso artistico del tutto inaspettato.
Straordinario talento, fin dal primo, acclamato, disco Shallow and Profound“ Yonderboi ha contribuito ad imprimere al panorama musicale alternativo ungherese una svolta fondamentale. La sapiente mistura di down tempo, lounge, trip-hop diede la stura a forme e suoni del tutto innovativi che fecero di quell’opera, apparsa agli inizi del 2000, uno fra i dischi più premiati in assoluto (un sondaggio lo mise al primo posto su 50 dei migliori album ungheresi di sempre!) e fecero guadagnare a Yonderboi (appena diciottenne!) addirittura la Croce d’Argento della Repubblica Ungherese in considerazione dell’eccezionale contributo alla cultura del suo Paese!
Il disco fu composto ed eseguito con la partecipazione di alcuni amici e straordinari musicisti: Balàzs Zsàger, DJ Bootsie, Andor Kovàcs e la vocalist Edine Kutzora, cosa che di fatto diede vita ad una band: lo Yonderboi Quintet.

Yonderboi - Riders on the storm – Pink Solidism (Shallow and Profound: 2000/Mole Listening Pearls)

Carattere schivo e riservato, Yonderboi non ha inteso fin dall’inizio lasciarsi travolgere dal prematuro successo riservandosi tempi e luoghi per le sue composizioni rifuggendo da tutti gli schemi che sono usuali dello star system.Ciò ha influito non poco sulla sua produzione, nel complesso piuttosto scarna ma sempre qualitativamente su un livello di eccellenza.

Yonderboi - Pabadam(Shallow & Profound: 2000/Mole Listening Pearls)

E’ del 2005 il secondo album di Yonderboi, "Splendid Isolation", ormai artista affermato e autore di musiche adoperate nei campi più svariati, dalla pubblicità ai giochi per console.
I suoni virano verso un deciso trip hop urbano, numerose influenze condizionano i ritmi, i contatti di Yonderboi con il mondo occidentale diventano evidenti.

Yonderboi - Were you thinking of me (Splendid Isolation: 2005/Mole Listening Pearls)

Riascoltando l’album non ho potuto trattenermi dal proporre ancora un estratto particolarmente significativo che dà la misura di un talento che certamente meriterebbe un ascolto molto più accurato, cosa cui invito tutti coloro che leggono.

Yonderboi - Eyes for you ( Splendid isolation: 2005/Mole Listening Pearls)

Chiusa l’esperienza di Yonderboi Quintet (dopo due anni ininterrotti di esibizioni dal vivo seguiti alla pubblicazione dell’album “Shallow and Profound“), tre dei membri di quella band (Balàzs Zsàger, DJ Bootsie e Andor Kovàcs) andarono a costituire una nuova formazione, gli Zagar che avrebbe parimenti lasciato un segno profondo nell’evoluzione della musica elettronica in Ungheria.


Zagar

Žagar nasce all’inizio del 2001 anche se questo non porterà immediatamente al concretizzarsi di un progetto discografico che vedrà la luce solo l’anno successivo. L’album, che vede la collaborazione di numerosi artisti della scena musicale ungherese (tra cui va posto l’accento sulla presenza del cantante György Ligeti su cui andrebbe aperto un capitolo a parte) confermò fin da questa prima prova l’eccellente livello qualitativo raggiunto dalla band con un dispiegarsi di suoni elettronici misti a sonorità trip-hop, down tempo che ne fanno un vero e proprio gioiello e un capisaldo del genere 'made in Hungary'.

Zagar - Those seventies (Local Broadcast: 2002/UCMG/Ugar)


Dallo stesso album ancora un magnifico, entusiasmante estratto, stimolo per un ascolto complessivo di un album di assoluto spessore.

Zagar - Cosmic Disaster (Local Broadcast : 2002/UCMG/Ugar)

La band acquista rapidamente grande notorietà anche fuori dai confini nazionali e si specializza nelle musiche da film . Il secondo album costituisce infatti la colonna sonora di “Eastern sugar“ (titolo originale “Szezon“) ma le musiche dei Žagar diventano anche la colonna sonora di celebri serials d’oltreoceano come CSI Crime Investigation o CSI New York.

L’ultimo album dei Žagar, "Cannot Walk Fly Instead", è stato pubblicato nel 2007 e va a confermare una raggiunta maturità artistica che conferisce al progetto caratteristiche che spaziano dall’elettronica all’indie rock ed evidenti richiami jazz.

Zagar - Wings of Love (Cannot walk fly instead: 2007/CLS Records Hungary)

Una citazione doverosa va fatta per il secondo album dei Žagar che, come poc’anzi già sottolineato, contiene la colonna sonora di una pellicola ungherese di Ferenc Török (“Szezon“) e che sul mercato occidentale ha preso il titolo di "Eastern sugar", film che non mi consta abbia avuto alcuna distribuzione in Italia. L’album merita un ascolto per la pregevolissima prova fornita dai Žagar che dimostrano una straordinaria capacità di spaziare fra generi e sonorità a riprova di un talento multiforme e non confinato in generi specifici. Un esempio ne è il brano che ho scelto e di cui lascio all’ascoltatore attento e dall’orecchio smaliziato indovinare influenze e radici
Fra i miei preferiti in assoluto degli Žagar!

Zagar - Where an Other Sun Shines (Szezon.Eastern sugar:2004/Fillcell Studio/Universal Studio Hungary)


Roberto Melfi

LIVE EVENTS: The Fuzztones: 30th Years Jubilee Tour

Ritornano in Italia in occasione del loro trentesimo anno di attivita' i Fuzztones di Rudi Protrudi. Per l'occasione presentano il loro nuovo album "Preaching to the Perverted" in uscita a gennaio (ma non è esclusa una vendita per chi viene al loro show) assieme ai loro classici piu' conosciuti. Quindi se volete rivivere in una serata le atmosfere piu' selvagge dei sixities queste le date:

16 novembre, LECCE - Istambul Cafe'
17 novembre, PISTICCI (MATERA) -TBA
18 novembre - REGGIO CALABRIA - Unipop
19-novembre, PALERMO - Candelai
20 novembre, CATANIA - Mercati generali
23 novembre, ROMA - Init
24 novembre, LA SPEZIA - Shake
25 novembre, PESARO - Fuzz
26 novembre, BASSANO DEL GRAPPA - Shindy Club
27 novembre, BRESCIA - Vilnile 45

Marco "marcxramone" Colasanti

mercoledì 17 novembre 2010

PAOLO CONTE: "Nelson" (Platinum, 2010)

Se tracciate una linea che colleghi Parigi a Napoli vi troverete, quasi a metà strada, a sfiorare le città di Genova e quella di Torino. Una un po’ più a sinistra, l’ altra leggermente sulla destra. Al centro di quell’ immaginario incrocio, nell’ intersecarsi di quelle due linee irreali ed ipotetiche sta seduto l’ Avvocato, leggermente curvato sul suo pianoforte.
Il suo viso un groviglio di rughe. Le sue falangi piegate a martelletto. La sua gola un nodo di catarro.
Non è mai andato via da lì, neppure quando gli operai della TAV minacciavano di seppellirlo assieme alle macerie dello sbancamento per la realizzazione della Tortona/Genova. E’ rimasto lì anche dopo la partenza dell’ amico Renzo Fantini. Lo aveva accompagnato alla stazione ferroviaria di Asti un po' perplesso dopo aver visto che la tabella degli Arrivi non prevedeva nessun rientro per quel vagone su cui l’ amico era salito salutandolo con un sorriso che sapeva di rimpianto e dolore infinito. Pensava fosse un modo furbo per scongiurare l’ ovvietà dei ritardi.
Invece era un treno di sola andata. Come quello che passa sui binari incolti dei nostri sogni, ma per una destinazione lontana dalla linea dei tropici. Molto, molto più lontana. Lui si è riaccucciato al suo pianoforte e ha rimesso la testa storta e le dita a martello. E ha suonato per lui e per il suo cane Nelson.
Ha lasciato l’ affanno del cambiamento che aveva condiviso con Fantini sugli ultimi dischi e ha deciso di tornare ad essere il brontolone romantico che crede nella solitudine degli amori disperati, guardando una volta a Parigi e una volta a Napoli, lungo quella linea di cui vi parlavo. E’ tornato a parlare di vecchie orchestre e di città 'bagnate e fradice', di smoking che puzzano di tabacco e 'donne d’ inverno' ed è tornato a parlarne con le viscere. Come se fosse stato anatomicamente costruito a rovescio.
Nelson vibra di lusinghe già provate.
C’ è aria di ritorno a casa, di già sentito, profumo di quotidianità rassicurante, di foto ricordo appese alle pareti e poggiate sui sofà. Come quando sul reggae zoppo di Bodyguard for myself sembra materializzarsi il fantasma di Bartali o il ricordo di Max che emerge una volta sciolto il cerone di Clown.
La sperimentazione è sottile e misurata, appena accennata tra le pieghe elettroniche di Sarah e dentro il mambo scuro di Suonno, è tutt’ o suonno che ci riporta alla memoria la celebre epigrafe di Walter Chiari, calibrata nell’ ottica di un disco che non vuole disegnare nuove prospettive ma godere di quella che io definisco l’ “arte dei tramonti”: il gusto tutto poetico del vedere spegnersi la luce del giorno con la consapevolezza arcana che ogni replica di quello spettacolo è un giorno in meno che ci resta da vivere.


Franco Lys Dimauro



Paolo Conte presenta Nelson
Clown
L’Orchestrina
Tra le tue braccia
Nina
Sotto la luna bruna
Bodyguard for myself

INTERVISTA - ITALIAN ROCK CONNECTION: Marcello Capra (Flash, Procession)

Salvatore D'Urso: La prima cosa che mi viene in mente, quando intervisto un musicista storico della nostra città, sono le immagini di quella Torino a cavallo tra gli anni 60 e i 70; personalmente le ho vissute con gli occhi di un bambino, ma persino io faccio fatica a descriverne i contorni,perchè ritengo che in quegli anni si respirasse una atmosfera del tutto particolare che non si è più ripetuta, sei d'accordo?
Marcello Capra: Nel 65/66 ho cominciato prima a cantare canzoni beat italiane, poi a strimpellare una chitarrina Eko; Torino era Fiat, il Valentino, cantieri che nascevano sui prati di periferia togliendoci spazi vitali per il calcio, poi le feste studentesche, la scuola si marinava sovente per suonare nelle cantine o il cinema a limonare con le prime fanciulle, se ci stavano. Questa era la mia visione da adolescente con una grandissima voglia di imparare dai piu' vecchi, accordi e assoli, poi c'erano i 45 e i 33 giri, che distruggevamo per ricavare qualche riff, ascolti collettivi per un godimento condiviso.
Diversi furono gli anni successivi, quando le prime crepe del boom economico cominciavano ad essere solchi pieni di dolore e frustrazione per tanti, ma proprio in quei primi '70, la musica era formidabile! Oltre oceano e manica nascevano bands eccezionali a cui fare riferimento, locali come il Mack1, il Wom Wom, il Fire, Kilt, dove si celebravano Beatles gia' sciolti, Bowie, Cream, Hendrix e poi tutti gli altri grandi dell' Hard Rock, senza dimenticare la Psichedelia californiana. Io avevo gia' scelto di fare il musicista on the road e fino ai primi anni 80, compreso il periodo al conservatorio, ho vissuto di musica, lezioni di strumento, collaborazioni; poi l'aria cambio, divento' insopportabile per miei valori di uomo e di suonatore.


Riordinando un po' i vari percorsi, cosa ci puoi dire della prima formazione con cui affrontasti il pubblico: chi erano i Flash e da quale realtà nascevano?
Il nucleo originario dei Flash si crea intorno a due amici d'infanzia che abitano nella stessa casa, io e Marco Astarita, abbiamo insieme iniziato a suonare, nella cantina adibita a magazzino di mobili di mio padre, nel quartiere di Santa Rita a Torino. Si uniscono a noi nel '66 Paolo Andreotti al basso e Franco Avidano alla chitarra ritmica e voce, con loro iniziamo a suonare tutti i sabati pomeriggio nelle feste studentesche al Faro danze, poi in altri locali storici della citta, come la Greffa sopra il teatro Carignano, la sala Sanpaoli in piazza Castello, l'Augusteo per approdare al Piper ex sala Reposi, dove ci viene richiesto un lungo brano 'psichedelico' che realizziamo per la durata di 35 minuti, dal titolo Venusian Sunset in una struttura di cubi bianchi, ricoperti da luci ed effetti molto speciali, per il periodo.
In seguito, per motivi di studio, ci lasciamo con Paolo e Franco e incontriamo Angelo Girardi, che era gia' un bassista molto bravo e decidiamo una svolta in trio sul tipo Cream, Angelo ci presenta un cantante famoso che aveva vinto un Cantagiro nelle nuove proposte e aveva partecipato piu' volte ad una trasmissione RAI "Settevoci", Mariolino Barberis, diventiamo il suo gruppo e prima del suo repertorio, in tante piazze e locali del Piemonte, suoniamo le nostre covers. Nel '69 partecipiamo al concorso EuroDavoli e arriviamo nelle semifinali a Recco,dove siamo notati dai managers della Davoli, i quali poi ci invitano a fare un provino a Parma nel loro studio di registrazione, dove incidiamo una nostra personalissima interpretazione di Im so glad dei Cream, poi arriva l'anno 1970 ed io con Angelo ci iscriviamo al conservatorio di Torino studiando il contrabbasso, mentre per mantenerci agli studi, iniziamo a suonare nei night-club.


Io credo che il Beat sia stato il momento musicale più importante della storia moderna, perchè in esso sono confluite tutte le culture e le sonorità precedenti e allo stesso tempo ha preannunciato tutto quello che sarebbe venuto dopo; in quanto alla sua evoluzione, parlaci della formazione dei Procession e dei loro esordi sulle scene.
Dopo un anno molto faticoso di studi al conservatorio e di nottate a lavorare nei night, io e Angelo decidiamo, dopo un'audizione nella sala prove ricavata da un altro mobilificio, di formare una band con Gianfranco Gaza vocalist e Ivan Fontanella drummer.
Proprio il primo giorno del 1971, dopo un capodanno terminato all'alba, nel pomeriggio a casa mia, ci troviamo, decidiamo un repertorio di covers e il nome che doveva ricordare le nostre scelte musicali improntate all'hard rock (Led Zeppelin, Free,Black Sabbath, Deep Purple). Iniziamo da subito prove giornaliere tutti i pomeriggi fino a tarda sera per 70 giorni circa, esordiamo in un locale di Genova poi ad Aosta, il nostro set era molto coinvolgente, avevamo gia' un nutrito numero di fans, che venivano anche ad assistere alle prove, per tutto il '71 e l'inizio '72 suonammo in molti locali come gruppo di attrazione. Nella primavera decidiamo una svolta artistica, suonare brani di nostra creazione con l'inserimento di Roby Munciguerra guitars e Giancarlo Capello drummer. Cambiamo manager, da Appiano a Pino Tuccimei di Roma, gia' molto noto, essendo promoter di gruppi come The Trip e Osanna; ci vengono proposti dalla sua compagna Marina Comin, dei testi in italiano, che lei prepara ascoltandoci piu' volte e fotografandoci molto. Nasce "Frontiera", lo incidiamo nell'ottobre '72 a Roma in due studi differenti per le parti elettriche e le acustiche, Gianni Dell'Orso lo produce per una nuova etichetta ELP distribuita da RCA.
Presentazione ufficiale al Piper di Roma, anteprima al grandioso festival di Villa Pamphili, poi concerti in tutta Italia, giravamo con un furgone Ford ed un tecnico per suono e luci.
Abbiamo conosciuto tanti musicisti noti e meno incontrandoli in festival pop, perche' ricordo che ancora il termine progressive non si usava, il bello di quel periodo era che ogni gruppo ricercava una sua originalita', noi ad esempio siamo stati tra i primissimi ad utilizzare nei live le chitarre acustiche, le Ovations ancora non esistevano. Il mio sogno termino' quando ricevetti la cartolina di arruolamento per il servizio militare, fu un vero trauma, persi tutto per 15 lunghi mesi.


In quel tuo periodo militare,i Procession continuarono ed incisero un secondo album per la Fonit-Cetra dal titolo "Fiaba"; poi credo che le sorti del gruppo cambiarono e ognuno prese strade diverse. L'età d'oro dei festival all'aperto, tuttavia seguitò per alcuni anni: quali di questi raduni ricordi ancora? Quali erano i sentimenti di partecipazione del pubblico giovanile negli anni '70?
Mi accorsi dopo il militare, che a parte lo scioglimento dei Procession, qualcosa era gia' cambiato nell'aria, i festival cominciavano a risentire di una certa stanchezza e le prime contestazioni politiche, che ebbero il culmine penso, nel Parco Lambro del '76, dove un numero imponente di cosiddetti 'autoriduttori' si diede ai tristemente famosi 'espropri proletari', gente incazzatissima che della musica importava poco; o meglio se la band o l'artista di turno non era abbastanza solidale, allora lo si contestava molto duramente, un clima di fanatismo e di intolleranza, alimentato da gente molto politicizzata in una sola direzione. Nella seconda parte dei '70, anche alcuni artisti dell'epoca precedente, cominciarono a produrre lavori meno creativi, si comincio' ad affermare una buona schiera di cantautori, poi nel '77 gli indiani metropolitani e le prime tostissime band punk.
Comunque fino alla fine dei '70, come nella mia esperienza, i periodi musicali cambiavano molto rapidamente, ed anche io presi indirizzi diversi, ma decisamente controcorrente, quando il punk inperversava, io lavoravo ad "Aria Mediterranea", musica strumentale con sapori folk e classicheggianti oltre una ricerca di temi ed armonie piu' vicine alla nostra cultura italica, coltivavo sempre di piu' l'interesse verso la chitarra acustica. Il rock era diventato gia' qualcosa da presentare nella sua storia migliore, con spettacoli come Songraffiti insieme ad Enzo Maolucci, le musiche di Tito Schipa Jr, i tours con John Martyn e Dave Cousins, rigorosamente unplugged.


Infatti questo fu il periodo che io ricordo meglio, anche per ragioni anagrafiche; amavo molto le canzoni dure e metropolitane di Maolucci, così come la musica eterea e solare che fuoriusciva dal tuo album Aria Mediterranea.
Credo che quel disco, pubblicato nel 1978 per una piccola etichetta torinese, abbia aperto il percorso che stai tuttora attraversando:vuoi parlarci dei tuoi ultimi album, usciti nell'arco di questi decenni?

Ancora un disco con l'elettrica nell'82 per Tito Schipa Junior autore e pianista, poi un salto di un decennio dagli studi e dai palchi, nel '92 registro 10 inediti, che saranno pubblicati nel '94, insieme alla ristampa di "Aria Mediterranea" dalla Mellow Records con il titolo "Imaginations", una partecipazione con il brano Combat ad una compilations edita da Kaliphonia. In questi lavori suono acustica ed elettrica.
Nel 98 inizia un sodalizio con Toast Records che portera' alla pubblicazione di 4 progetti suonati in solo alla chitarra acustica con un altro cd autoprodotto al di fuori di Toast...poi quest'anno un importantissimo cambio di scuderia, con la produzione del grande Beppe Crovella per la sua Electromantic,con "Preludio ad una nuova alba", 15 tracce di cui in 2 ho ripreso l'elettrica e una con la collaborazione di Laura Ennas voce.
Sono gia' al lavoro per una prossima pubblicazione, nel frattempo sono stato chiamato a partecipare ad un progetto con 12 musicisti di 7 nazionalita' differenti, prodotto da Electromantic Music. Mi definisco un chitarrautore, dall'eta' di 17 anni ho cominciato a comporre musiche alla chitarra acustica, ascoltando John Renbourn trovai le prime ispirazioni, poi l'ascolto di grandi musicisti di ogni genere musicale. Ho tratto stimoli a proseguire, non mi sono fatto influenzare dalle mode passeggere e tiro dritto seguendo la mia tecnica personale e le idee che arrivano, quando non me le aspetto, magari dopo un viaggio, un libro o un incontro.


Fuori dalle mode e dagli schemi sicuramente: un lungo percorso di sperimentazione e creatività che ancora perdura. Vorresti dare un'ultima indicazione (o consiglio se vogliamo chiamarlo così) a chi ci sta leggendo, soprattutto ai giovani musicisti?
Continuo a raccontare quello che e' successo a me, perche' non ho ricette o schemi da proporre, ma forse qualche indicazione di percorso: per esempio io come tantissimi ho sentito presto che la musica doveva essere la mia strada, andavo nelle balere e mi piazzavo davanti all'orchestra senza perdermi una battuta, nelle feste mi dedicavo a cambiare i dischi, davanti ad un jukebox spendevo tante monetine, ascoltavo di tutto, con le mie preferenze naturalmente. Poi la guitar e' diventata una palestra ma anche un rifugio accogliente, dove fantasticare; fondamentale e' stato suonare con tanti altri molto piu' bravi di me che mi hanno guidato in vari generi musicali, ho suonato classico e jazz con il contrabbasso, musiche popolari e popolaresche con la grande e compianta Raffaella De Vita, blues, rock, canzone d'autore, avevo uno spirito aperto verso ogni espressione artistica come la pittura, il teatro, la poesia.
Ognuno deve seguire le sue inclinazioni, non arrendersi ai primi ostacoli, superarli e ritornarci in un altro momento, evitare il plagio e l'omologazione; anche se puo' sembrare da sfigati non seguire il branco, dopo ti ritorna una sensazione di liberta' unica da descrivere, amare gli strumenti che si suonano, perche' vibrano insieme alla tua mente e al tuo cuore. Grazie Salvatore!

intervista a cura di Salvatore D'Urso


il gruppo BEAT E PROGRESSIVE IN ITALIA su Facebook


Procession:Uomini ed Illusioni (1972, Frontiera)
Procession: Ancora una notte (1972, Frontiera)
Marcello Capra: Danza Turchese (Live Conegliano Veneto 03/07/09)
Aria Mediterranea, Marcello Capra

CHOCOLATE GENIUS INC.: Swansongs (Ponderosa Music & Art/One Little Indians, 2010)


Ascolti le straziate (strazianti), commoventi Enough For You e She Smiles (Gently) e credi di aver scoperto un nuovo artista ‘soul’ americano con radici importanti in Stevie Wonder e Paul Young, anche se già in quei due brani hai ravvisato accenti e mood indie-friendly: subito dopo scopri che Marc Anthony Thompson (Chocolate Genius Incorporated è il suo alter-ego artistico) è al suo quarto album e si esibisce in due date novembrine in Italia in occasione della pubblicazione per la Ponderosa Music & Art di questo "Swansongs" edito in origine dalla One Little Indians.
Anche Kiss Me è piacevolmente rilassata e conciliante, ma Lump è narcotica e malata: Marc più che cantare biascica con voce estenuata giorni della settimana e ‘fottuti’ accadimenti, e dal black soul scivola pericolosamente verso il trip-hop morboso di Tricky ed il songwriting indolente e tutto bianco di Lou, ma anche di certi scrittori rock ‘depressi’ delle recenti decadi.
Marc Anthony Thompson è nativo di Panama, cresciuto in California ma trapiantato in New York, dove ha collaborato con artisti importanti d’avanguardia (segno della sua ecletticità d’interprete ed autore) come Van Dyke Parks, Cibomatto, Medeski Martin & Wood, Marc Ribot: Medesky,Wood, Ribot insieme a Jane Scarpantoni e Vernon Reid fanno anche parte della sua supporting-band.
"Swansongs" è il capitolo finale della trilogia-work in progress Chocolate Genius Inc. iniziata nel 1998 dopo una lunga stasi creativa succeduta all’incisione di due album negli anni ’80.
Polansky e When i lay you down sono intrise di umori gospel e subito dopo ti innamori perdutamente della decadente How Write My Songs, nobilitata da un sax malinconico.
Mr.Wonderful e Like a Nurse sono due episodi a sé, rivelatori della sfaccettata personalità di Chocolate Genius: liberi spoken words su aleatori tappeti ambient, ‘quotidiane’ annotazioni strumentali. Con Sit & Spin e la dolente finale Ready Now Marc conferma le sue particolari, suadenti qualità di grande interprete, per le quali non pochi hanno parlato di movimento neo-soul.
Enjoy!

Studio 360: Chocolate Genius performs "Sit & Spin"
SWANSONGS - Trailer by CHOCOLATE GENIUS, INC.
Chocolate Genius Inc - Enough For You - A Take Away Show

Ponderosa Music & Art
Chocolate Genius Inc.

LIVE EVENTS: Chocolate Genius Inc., 27 e 29 novembre, Milano - Roma

Marc Anthony Thompson, alias Chocolate Genius Incorporated, si esibisce per due date in Italia in occasione della pubblicazione, per la Ponderosa Music & Art, del suo quarto album, "Swansongs": l'occasione buona per saggiare dal vivo le intriganti qualità di interprete e autore di questo musicista di colore contenute nel disco. Il suo è 'soul'  contemporaneo di illustri ascendenze Stevie Wonder  su tutti, che muta superbamente pescando nello slow-songwriting di artisti quali Lou Reed e nel trip-hop di maestri contemporanei come Tricky.
(Wally Boffoli)


sabato 27 novembre, ROMA – Casa del Jazz
lunedi' 29 novembre, MILANO – Salumeria della Musica

martedì 16 novembre 2010

MOVIES: "Heimat 2 – Cronaca di una giovinezza", di Edgar Reitz (intro)

Bisogna prendersi del tempo per vedere l’opera cinematografica “Heimat 2 – Cronaca di una giovinezza”, di Edgar Reitz. E’ un film che si sviluppa in 13 episodi (13 film) per un totale di 25 ore e 32 minuti e, sebbene la trama sia di suo già appassionante, necessita comunque di appropriata riflessione per ogni episodio conclusosi. Riflessione che proveremo a fare insieme proponendo una lettura critica di ognuna delle 13 parti.
Movies vi proporrà Heimat 2 a varie riprese, iniziando da questa introduzione sulle sue tematiche essenziali.
Creato per la televisione, é andato in onda, nel 2005 e nel 2007, su Rai 3, in notturna, nella rassegna "Fuori orario - Cose (mai) viste" curata da Enrico Ghezzi. E' passato anche su Sky Cult.


Heimat 2: Per tutti quelli che amano i sixties

Heimat in tedesco significa 'patria', 'casa' e con questa serie di episodi continua un progetto cinematografico iniziato da Reitz di ricerca e documentazione che inerisce allo spaccato sociale tedesco del 1900. Una prima serie di episodi, intitolato Heimat 1, si dipana attraverso la saga di tre generazioni raccontate dagli albori del secolo al 1959. In un successivo terzo volume, non rinunciando alla formula della saga, il regista racconta gli anni della caduta del muro di Berlino. La seconda serie, quella a cui ci stiamo interessando, si sviluppa nei 10 anni sixteen. A tergo della bella confezione in DVD della Dolme Home Video, l’opera viene così sintetizzata: “Un vasto romanzo per immagini della generazione tedesca degli anni ’60, piena di sogni e utopie. Un variopinto gruppo di ventenni innamorati della vita, della musica e dell’arte alla ricerca di una “seconda patria” dove realizzare le proprie aspirazioni. Un terreno incerto dove il lavoro, le amicizie e gli amori si intrecciano alle speranze, alle sconfitte e al desiderio assoluto di libertà”. Si … ma non basta questa descrizione. C’è da dire molto altro.

Si … prendetevi il tempo necessario. Non rinunciatevi. Se leggete questa magazine nutrite la passione per quel periodo magico che è il decennio sixties e mai come questa volta e come in questo 'ipermetraggio' ho trovato una trasposizione cinematografica così intelligente, esauriente e puntigliosa da rispettare il pathos che richiede un’opera di fantasia e il presupposto documentaristico che vuole avere il regista rivolgendo le sue telecamere nella Germania della contestazione e del fermento sociale e artistico del decennio in esame. Trasposizione intelligente, certamente … ma non ruffiana! Non occhieggia a nessuno, Reitz, nel mentre che dipana la trama dove i personaggi si distinguono più per la loro diversa forza piuttosto che per i sogni e gli ideali. Non c’è veramente un lieto fine.
Non c’è un personaggio o una categoria che vinca. Piuttosto ci sono personaggi che si bruciano e altri che crescono e maturano in un presupposto storico importante e assolutamente ben tratteggiato ma che resta ancora materia collante di una società che segue un suo corso, influenzando e facendosi influenzare dall’uomo abbandonato alle sue tristezze o alla sua intraprendenza. E’ in questo quadro che può essere vista la scelta di Reitz di dedicare ad ogni episodio un approfondimento particolare a uno dei personaggi che attraversano la saga.

Il film inizia con una panoramica della società tedesca rurale e cittadina nel 1960 e introducendo il personaggio principale, Hermann Simon, che altri non è che l’alter ego del suo autore, già comparso peraltro nella prima serie di Heimat. Ma presto i personaggi che gireranno intorno al protagonista diventeranno tantissimi: Il sensibilissimo cileno Juan, la problematica Helga, la complessa Clarissa, donna dei sogni e degli incubi di Hermann, il disperato e sfortunato Ansgar.

Il film non è adatto a chiunque. Non ha effetti speciali eclatanti ma utilizza piccoli grandi stratagemmi visivi e farcisce la storia di enciclopedici riferimenti che spaziano dalla musica sperimentale al cinema di Truffaut e Antonioni, dalle citazioni di filosofi come Spinoza o Hoederlin agli avvenimenti storici e sportivi. E’ un film adatto per chi ama e ama leggere i libri con a fianco una enciclopedia, andare a fondo al significato di un dipinto, cogliere i suoni e cercare la logica della sequenza dei detti suoni in un pezzo musicale. E’ un film consigliato a chi voglia approfondire la propria cultura senza rinunciare a farsi struggere dalla “Sehnsucht”, nostalgia, parola che spesso appare nei primi episodi e che inevitabilmente s’inculca nell’animo dell’appassionato spettatore.
(to be continued ...)

Marcello Rizza

Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza (Steve Erquiaga - Nocturne in E Minor, Op. 72, No. 1, by Fryderyk Chopin)

LIVE REPORT: Il Tempio delle Clessidre + Il Biglietto per l'Inferno.folk (Genova, Teatro Albatros, 31/10/2010)

Una pioggia a dir poco torrenziale accoglie, domenica 31 ottobre, il folto pubblico accorso al piccolo, ma moderno e ben curato, Teatro Albatros di Genova per assistere al concerto che vedrà avvicendarsi sul palco Il Tempio delle Clessidre e Il Biglietto per l’Inferno.folk.
L’evento è organizzato dalla Black Widow Records, etichetta storicamente impegnata nella diffusione del rock progressivo, soprattutto italiano.

Il Tempio delle Clessidre

Aprono la serata i musicisti del Tempio delle Clessidre, che eseguiranno nel corso della loro esibizione quasi integralmente il loro album di recentissima pubblicazione, passando dai momenti più complessi, come Faldistorum e Danza Esoterica di Datura, a quadretti più intimisti, come la delicata Boccadasse (dal nome di un quartiere di Genova, la loro città). Le complesse tessiture che caratterizzano ogni brano del disco vengono riproposte dal vivo con sicurezza e precisione, dando la piacevole sensazione all’ascoltatore che ogni cosa sia al suo posto.
Il sound del Tempio delle Clessidre è un ponte tra passato e presente: le veloci linee di basso di Fabio Gremo e il drumming nervoso di Paolo Tixi sono ampiamente debitori di un metal-prog attuale ad alto tasso virtuosistico di stampo americano, mentre le tastiere di Elisa Montaldo e la chitarra di Giulio Canepa attingono a sonorità vintage che richiamano alla mente Marcello Todaro del Banco del Mutuo Soccorso e Tony Pagliuca de Le Orme (quest'ultimo soprattutto nell’introduzione) su tutti.
Ma il vero ponte tra passato e presente è costituito dal cantante Stefano ‘Lupo’ Galifi, che gli amanti del genere ricorderanno negli anni ’70 nelle fila dello storico Museo Rosenbach. In omaggio alla band d’origine del Lupo, il Tempio delle Clessidre esegue con perizia tutta la storica suite “Zarathusthra”, rigorosamente in tonalità originale, e la voce di Galifi si mostra, come del resto nel corso di tutto il concerto, calda e sicura, indice di un continuo lavoro di studio e di ricerca condotto nel corso degli anni.


Il Biglietto per l'Inferno. folk

Chi ricorda “Zarathusthra” facilmente ricorderà anche il nome del Biglietto per l’Inferno, band di Lecco che fu protagonista di alcuni tra i più grandi pop festival (all’epoca si chiamavano così…) italiani degli anni ’70 e che nel 1974 pubblicò uno splendido album per la Trident Records, a cui avrebbe dovuto far seguito un altro Lp, uscito soltanto postumo in tempi molto recenti.
Oggi Il Biglietto per l'Inferno si ripropone in una inedita formula ‘folk’, con strumenti della tradizione popolare italiana e della musica etnica un po’ di tutta Europa ad affiancare l’armamentario più tipicamente rock. L’idea, assaporata sul palco, si rivela vincente: alleggerisce un po’ i toni, forse eccessivamente drammatici, che caratterizzavano le atmosfere della line-up storica e poiché, come scriveva Carlo Levi, "il futuro ha un cuore antico", paradossalmente questa ricerca della tradizione ringiovanisce un po’ lo stile della band e lo rende più attuale.
Sul palco, dei membri storici ritroviamo soltanto il tastierista Giuseppe ‘Pilly’ Cossa e il batterista Mauro Gnecchi, mentre l’altro tastierista-simbolo della band, Giuseppe ‘Baffo’ Banfi (che negli anni ’80 ebbe buona fortuna in Germania nel settore della ricerca e sperimentazione elettronica e della ‘kosmitsche musik’) è accreditato nelle note relative alla formazione ma non è presente alla serata genovese. La nuova formazione è completata da Enrico Fagnoni: contrabbasso, basso elettrico e acustico, Ranieri ‘Ragno’ Fumagalli: cornamuse, flauti e ocarine, Franco Giaffreda: chitarra elettrica e acustica, Carlo Redi: violino e mandolino, Mariolina Sala: voce, Renata Tomasella: piffero, flauti, ocarine e voce.
Il rinnovato Biglietto presenta il recente album "Tra l’assurdo e la ragione" in cui tutti i classici della band vengono rivisitati con i nuovi arrangiamenti, assieme a qualche brano inedito.
La cantante Mariolina Sala non fa rimpiangere la storica figura di Claudio Canali (che nel frattempo ha lasciato la musica e ha abbracciato un nuovo percorso religioso, facendosi frate) e, anzi, ha la brillante idea di trasformare le singole canzoni in una sorta di musical, alternandosi tra il ruolo di attrice e quello di cantante, con dei bei monologhi che fanno da trait-d’union tra i vari brani e una presenza scenica caratterizzata da una continua e costante dinamicità.
Ma se brani come Confessione, riarrangiati, esplodono in un tripudio di enfasi e ritrovano nuova vita e nuova grinta, al tempo stesso dispiace un po’, a chi ha amato tanto un titolo come L’amico Suicida (per chi scrive uno dei vertici del prog italiano dei ’70), con i suoi chiaroscuri, i crescendo, i cambi di tempo e di situazione repentini, ritrovare questa canzone destrutturata ed articolata oggi in una parte recitata e una solo strumentale.
L’impatto globale dato dal nuovo sound è comunque eccellente, e non può che far venire voglia agli ascoltatori di sentire al più presto un album fatto di composizioni tutte nuove.


Alberto Sgarlato
fotografie di Alberto Sgarlato

Il Tempio delle Clessidre - live 23/01/2009
Biglietto per l'Inferno.folk live

lunedì 15 novembre 2010

LIVE REPORT: Glen Matlock (Roma, Init, 07-11-2010)

Le premesse (negative) c'erano tutte. I video solisti di Glen su YouTube, il flyer del concerto con scritto un Sex Pistols gigante, un Glen Matlock piccolo piccolo, e infine un album, "Born Running", non eccelso ma che si lasciava ascoltare.
Ma noi fregandocene arriviamo all'Init di buona lena e troviamo fuori il buon Glen che tutto tirato gigioneggia con alcuni fan dimostrandosi molto cordiale e disponibilissimo. Non c'è molta gente, quasi tutti ormai di una certa eta', e qualche ragazzotto venuto sicuramente per il nome e desideroso di ascoltare del buon punk-rock.
Ma non fu così : il buon Glen inizia e gia' si avverte un'atmosfera non delle migliori, piu' si va avanti e peggio sara'!
Per carita' il gruppo fa' il suo dovere con un Javier Weyler (The Stereophonics) alla batteria e la vecchia volpe James Stevenson alla chitarra (Chelsea, Generation X, Gene Loves Gezebel). Il problema e' proprio lui, il povero Glen: semplicemente non sa cantare. Se ne accorge anche il pubblico che a meta' concerto si dimezza.
Rimangono i pochi amici.
Il buon Glen snocciola quasi tutto il nuovo album, inframmezzato da (I'm not your) Stepping Stone di Paul Revere & the Raiders, qualche pezzo vecchiotto tratto da "Open Mind" del 2000 e "Who's He Think He Is When He's At Home" del 1996.
Infine per chiudere in ‘bellezza’ ci offre un’orrida versione di Pretty Vacant.


Marco (Marcxramone) Colasanti
foto e video di Marco Colasanti

GLEN MATLOCK-rattle your cage-somewhere somehow-init-07-11-2010
GLEN MATLOCK-pretty vacant-init-07-11-2010