Nel 1970, anno di grandi fermenti musicali internazionali, mentre sull’Isola di Wight si contendevano (letteralmente, come rivelano gli aneddoti narrati dagli stessi musicisti) il palco
Hendrix, Jethro Tull, Miles Davis, i neo-costituiti
Emerson Lake and Palmer e tanti altri grandi, in Italia, a Roma, per la precisione, si avvicendava sul palco di Caracalla tutta la crème di quel movimento
che all’epoca fu semplicemente battezzato ‘nuovo pop italiano’ e che negli anni conquistò una planetaria popolarità, dal Giappone al Sud America, con il nome di
Italian Progressive Rock.
Venerdì 5 e sabato 6 novembre 2010, le
Edizioni Musicali Aereostella di
Iaia De Capitani hanno voluto commemorare il quarantennale di quello straordinario evento con una due-giorni di progressive rock presso il Teatro Tendastrisce di Roma, la
Roma ProgExhibition Festival. Tra il foltissimo pubblico accorso, anche delegazioni, con bandiere e striscioni, dagli USA, dal Messico, dalla Costarica, dal Giappone e da quasi tutte le nazioni europee.
5 Novembre
L’arduo compito di rompere il ghiaccio è affidato ai
Synesthesia, in rappresentanza di quel recente filone che fonde certe atmosfere del prog con la violenza del power-metal. Il connubio esalta i più giovani tra i presenti ma fa un po’ storcere il naso ai vecchi puristi.
Dopo di loro salgono sul palco i genovesi
La Maschera di Cera, band nata all’inizio di questo decennio ma con l’intento di
riproporre in maniera fedele nelle proprie originali composizioni le sonorità (e persino la grafica e il packaging) dei grandi concept album prog dell’epoca. La loro performance è potente e grintosa, in particolar modo da parte del front-man
Alessandro Corvaglia, che si scatena con grande teatralità, ma purtroppo la band è in assoluto quella più penalizzata in termini di suoni. Soprattutto le tastiere di
Agostino Macor, sempre molto attento nel ricreare timbriche vintage, sono soffocate quando invece meriterebbero di emergere con vigore.
Iniziano le band storiche: i primi sono
The Trip, che propongono materiale dai due loro album più famosi, cioè
“Caronte” e
“Atlantide”. Sul palco ritroviamo il tastierista
Joe Vescovi, il cantante (e originariamente bassista, ma oggi purtroppo vittima di problemi articolari)
Wegg Andersen e il
drummer
Furio Chirico (anche degli
Arti & Mestieri), oltre a due giovani comprimari alla chitarra e al basso, rispettivamente
Fabrizio Chiarelli e
Angelo Perini.
L’esibizione, seppur penalizzata da qualche inconveniente tecnico iniziale (inevitabile nei festival, quando molte band devono condividere una stessa strumentazione sul palco), è talmente emozionante da far sgorgare più di una lacrima tra chi, nel pubblico, li aveva amati in gioventù e da lasciare a bocca aperta i più giovani. Serpeggia, però, un po’ di delusione, per non aver visto chiamare sul palco dalla band, neanche per un saluto, il primo drummer
Pino Sinnone, che pure era presente tra il pubblico.
Dopo i Trip salgono sul palco
Tony Pagliuca (tastiere),
Aldo Tagliapietra (voce, basso, chitarra 12 corde) e
Tolo Marton (chitarra) che, pur essendo tutti membri
storici de
Le Orme, non possono esibirsi con questo nome per una questione di diritti (probabilmente dovuta a qualche attrito con il batterista
Michi Dei Rossi, che detiene il nome e lo utilizza con un’altra line-up). Anche in questo caso il materiale eseguito è quello degli album più amati ma, soprattutto, più progressivi nelle sonorità, come
“Collage” e
“Felona & Sorona". Proprio nei momenti finali di
Felona & Sorona i musicisti vengono affiancati sul palco da
David Cross, violinista elettrico dei
King Crimson, che dà un ulteriore valore aggiunto in termini di sonorità magiche a una già ottima esibizione.
"Le Orme" (concedeteci di chiamarle così), dal canto loro, ricambiano il favore eseguendo
Exiles insieme a Cross. La calda, corposa voce di Tagliapietra, assai simile a tratti a quella dei vari cantanti avvicendatisi nella band guidata da
Robert Fripp, è davvero assai a suo agio nel repertorio crimsoniano, ed il risultato non lascia adito a perplessità.
Chiude la prima serata la
Premiata Forneria Marconi. All’inizio i musicisti sono visibilmente indispettiti da alcuni inconvenienti tecnici, in particolare all’ampli del basso, ma come abbiamo già detto in un festival fa tutto parte del gioco.
Di Cioccio salta e corre su e giù per il palco come un ragazzino ma,
diversamente a molti show recenti, siede più spesso alla batteria (che condivide con l’ottimo
Pietro Monterisi) e lascia a
Franco Mussida la maggior parte delle parti cantate, riservandosi piccoli e delicati momenti intimisti come
Harlequin, Out of the Roudabout e la blueseggiante
Maestro della Voce, dedicata al compianto
Demetrio Stratos che, nell’intro affidata al basso, viene anche ricordato da
Patrick Djivas con una citazione da
Luglio Agosto Settembre (nero).
Ma il momento sicuramente più emozionante per i fans, che si alzano in una standing ovation, é quando la PFM divide il palco con
Ian Anderson, dei
Jethro Tull. Il flautista/cantante/chitarrista inglese fa il suo tradizionale ingresso sul palco in posa da fauno (con la gamba destra alzata e appoggiata al ginocchio sinistro) e manda in visibilio la platea. Tutti sono emozionati, a cominciare dallo stesso Mussida che, con voce rotta dalla commozione, ricorda:
“Avevo 22 anni quando saltai sulla sedia esattamente come voi, vedendoli per la prima volta dal vivo. Immaginate come mi sento in questo istante”. Con Ian la PFM esegue una irrinunciabile
Bourée, poi
My God (dall’album
“Aqualung”) ma, soprattutto, una spettacolare versione della
Carrozza di Hans nella quale Anderson al flauto non si risparmia. Un momento indimenticabile per tutto il pubblico presente.
6 Novembre
L’apertura è affidata ai
Periferia del Mondo, band molto giovane ma che può già vantare collaborazioni illustri (da
Mauro Pagani a
Rodolfo Maltese, e molti altri) nei propri album. Il loro sound
è una riuscita contaminazione tra prog-rock dalle forti aperture romantiche, jazz-rock e influenze etniche arabeggianti e mediorientali, con in primo piano i molti fiati (sax alto, tenore e soprano, clarinetto, flauto) del cantante
Alessandro Papotto. Il pubblico mostra di apprezzare la solida e rodata band come merita.
Dopo di loro, salgono sul palco gli
Abash, che danno una ulteriore sterzata al sound della serata verso atmosfere multietniche, con
forti influenze anche della musica popolare del Sud Italia. Purtroppo anche nel loro caso tante finezze a livello di sonorità, come certi piccoli tocchi di percussioni sapientemente posti a colorare qua e là, si perdono un po’ nell’impasto generale dei suoni, ma il loro show è comunque trascinante e coinvolgente.
È la volta di una band che nel 1972 lasciò una traccia tangibile, con l’album
“Per un mondo di cristallo”, nella scena prog romana: la
(Nuova) Raccomandata con Ricevuta di Ritorno. La voce del
cantante nonché ‘pittore volante’ (come recita il titolo del nuovo album)
Luciano Regoli è ancora più potente, alta, brillante e versatile che negli anni ’70, frutto di un lungo periodo di studio e di esercizio. Con lui sul palco, della vecchia formazione, troviamo
Nanni Civitenga, che all’epoca del primo album era il chitarrista e oggi è invece un bassista dalle quotazioni molto elevate (ha lavorato, tra gli altri, con Ennio Morricone).
Il loro ospite sul palco è
Thijs Van Leer,
flautista e organista dei
Focus, con il quale eseguono
The house of the King, di certo il brano più famoso della band olandese (fu usato anche dalla Rai come sigla) e
Palco di Marionette, dall’album dei RRR “Per un mondo di cristallo”. Ma oltre a Van Leer un altro ospite, totalmente a sorpresa e ingiustamente non citato sui manifesti, divide il palco con la Raccomandata: è
Claudio Simonetti, dei
Goblin, che delizia il pubblico con un’introduzione pianistica
d’alta scuola, in cui cita anche alcuni dei suoi temi più famosi (
Profondo Rosso su tutti), prima di porsi totalmente al servizio della band con risultati notevoli, anche nelle interazioni con il mattacchione Van Leer, che intervalla le sue performances ad alto livello tecnico con bizzarre gag ironiche.
Salgono sul palco gli
Osanna e, senza nulla voler togliere a nessuna delle straordinare band avvicendatesi nel corso del festival, sono forse il miglior live-act di prog-rock italiano di sempre: potenti, trascinanti, travolgenti, energici come un fiume in piena, precisi e perfetti come una macchina, un ben oliato macchinario in cui ogni suono è al suo posto e non può essere che lì.
Gli Osanna, poi, hanno un ulteriore valore aggiunto: i due straordinari ospiti che li affiancano sul palco,
David Jackson dei
Van Der Graaf Generator (sax sopranino, soprano, alto, tenore, flauto e tin whistle) e
Gianni Leone del
Balletto di Bronzo (all’organo Hammond) non sono due star di passaggio che si sono preparati un paio di pezzi, sono ormai da parecchio tempo due membri effettivi della band e sanno interagire con gli altri musicisti in ogni dettaglio. E il pubblico dà prova di apprezzare tutto ciò con un’ovazione tra le più esplosive di questi due giorni.
Chiude la rassegna il
Banco del Mutuo Soccorso, con la formazione rinforzata da
Papotto, dei
Periferia del Mondo,
che integra perfettamente
le sue parti di fiati con gli arrangiamenti storici della band. Il
Banco, però, come è spesso nello stile di questa formazione dal vivo, sceglie di chiudere il festival con una punta di malinconia, che traspare dagli amari monologhi di
Di Giacomo e di
Nocenzi sul tema
Come eravamo, chi siamo, cosa saremo.
Francesco ‘Big’ Di Giacomo denuncia apertamente alcuni problemi vocali, ma ciononostante la sua performance è egregia. Il repertorio, come da tradizione, è soprattutto quello dei primi tre album, con poche incursioni leggermente più recenti, come
Il Ragno (dall’Lp
“Come in un’ultima cena”), mentre in generale è
“Darwin” l’album più saccheggiato.
L’ospite speciale del Banco è
John Wetton, bassista-cantante che ha militato in alcune tra le più grandi formazioni degli anni ’70:
King Crimson, Family, Uriah Heep, Uk, Roxy Music, Asia e collaborazioni con diversi artisti, da
Phil Manzanera, a
Martin Orford, a
Peter Banks, e non solo. Con Wetton il
BMS esegue
Leave me alone (edizione inglese della famosa
Non mi rompete, dall’album
"Io sono nato libero”) e
Starless dei
King Crimson.
Conclusioni
Non una semplice rassegna di concerti, ma un evento con qualcosa di unico che resterà nel cuore di ogni vero amante del rock progressivo italiano e mondiale. Meravigliosa l’atmosfera che si respirava non soltanto sul palco, ma anche prima e dopo le due serate, grazie anche alla straordinaria disponibilità verso i fan dimostrata dalla maggior parte degli artisti italiani e internazionali coinvolti.
Ottima, infine, l’idea di alleviare i tempi morti del cambio palco con interviste e presentazioni di libri, condotte dal giornalista
Donato Zoppo o dalla stessa
Iaia De Capitani. Molte e interessanti le opere letterarie citate, tra cui il bel giallo
“Com’era nero il vinile" di
Glauco Cartocci, il volume antologico a molteplici firme
“Prog 40”, dedicato ai quarant’anni di storia di questo genere musicale in ogni sua accezione e sfumatura, e un’autobiografia di
Bill Brudford.
Alberto Sgarlato
Fotografie di
Alberto Sgarlato
Tagliapietra, Pagliuca, Marton + David Cross - Exiles (King Crimson) - Prog Exhibition
[06.11.10] BMS @ Prog Exhibition 2010, Roma - Canto nomade per un prigioniero politico
Banco del Mutuo Soccorso feat. John Wetton - Starless
[06.11.10] Thijs van Leer @ Prog Exhibition 2010, Roma - House of the king
THE TRIP - caronte I - 5-11-10 Rome prog exhibition
Pfm + Ian Anderson - La Carrozza di Hans - Prog Exhibition
Pfm + Ian Anderson - My God - Prog Exhibition
Pfm + Ian Anderson - Bouree - Prog Exhibition
Theme One Osanna-David Jackson Prog Exhibition Roma 6-11-2010
Osanna Prog Exhibition Roma 6-11-2010