domenica 25 ottobre 2009
Porcupine Tree: The Incident (2009 / Roadrunner Rec.) by Pupi Bracali
Per chi non lo sapesse, l'ultimo CD dei Porcupine Tree è doppio. Il primo dischetto racchiude la monumentale suite (55, 17 minuti) The Incident, che da il titolo a questo nuovo lavoro dei nostri porcospini preferiti; suite che è stata paragonata da critici entusiasti alle grandi opere prog (e non solo) del passato che avevano come in questo caso un filo conduttore frazionato in segmenti.
Il suono è quello a cui ci hanno abituati Wilson e compagni nelle loro ultime uscite: schitarrate taglienti e quasi hard si alternano a momenti acustici morbidi e dolcissimi.
In più questa volta fanno tutto da soli: nessuna ospitata dei grossi nomi presenti nei precedenti e più recenti album a significare un’autarchia totale e decisionista.
La differenza, essenziale, tra questa e le famose suites del passato che non cito ma che tutti immagineranno, è che queste ultime avevano una colorazione molto più variegata con gli assoli lunghi alcuni minuti dei vari strumenti che si alternavano gioiosamente durante lo svolgimento del brano.
Qui questo non avviene: la suite è monolitica e di un solo colore benché contenga momenti di assoluta classe e alcuni brani bellissimi. Barbieri è un tastierista “tappetista” e non certo un solista che si sbizzarisce con fughe o monologhi particolari. Uno degli attimi più belli di quest’opera è un suo tocco di piano, un piccolo riff lento e atmosferico che però dura troppo poco sfumando nel cantato e nella chitarra acustica di Wilson che ovviamente domina da par suo la situazione (il primissimo album dei Porcupine è in realtà un solo dell’occhialuto musicista).
Ogni tanto fanno capolino i suggestivi cori che nei dischi precedenti hanno ricevuto accostamenti con la west coast californiana, ma sono brevi fuggevoli momenti in un’opera che più che una vera suite sembra un enorme unico brano molto simile a se stesso in tutta la sua chilometrica lunghezza.
Come già detto i momenti godibili ci sono: dei quattordici segmenti che formano la suite almeno la metà sono molto belli, ma a me non basta per gridare al capolavoro; da uno dei miei gruppi preferiti pretendo un po’ di più di una suite monocorde che pur godibile nella sua interezza non aggiunge nulla alla musica della band, anzi, si pone un gradino sotto (ma solo un gradino beninteso) ad album come “Stupid dream”, “In absentia”, “Lightbulb sun” questi sì veri capolavori come anche il recente e magnifico “Deadwing” ( sul penultimo “Fear of blank planet” pur godibilissimo non mi pronuncio considerandolo un “esperimento” di Wilson).
Il secondo CD contiene invece quattro buone, ma non troppo emozionanti, canzoni per la durata di una ventina di minuti che in verità con il loro livello standardizzato sulla falsa riga di tutto l’album nulla aggiungono all’economia sonora della band.
La produzione di Wilson con la supervisione del batterista Garrison (che come strumentista non si fa certo notare con il suo drumming poco estroso e lineare) è come al solito superlativa con suoni perfetti, netti e precisi. (anche questo: un pregio o un limite?)
E per concludere orribilmente con un frasario risaputo e calcistico si può dire che almeno in quest'occasione i Porcupine Tree vincono ma non convincono.
Li aspettiamo al varco nella prova dal vivo il 4 novembre all’Alcatraz di Milano.
Io oltre a tutti i loro album e un paio di DVD, ho già il biglietto.
Maurizio Pupi Bracali
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