suoi dischi e delle sue performance ‘live’: anche se ad onor del vero era ormai da parecchio che il sassofonista, notevolmente appesantito da 40 anni di attività e non più agile nei movimenti, nelle performance della E Street Band non fungeva più da alter ego scenografico di Springsteen, un ruolo ‘storico’ scritto nel dna della E-Street Band, occupato negli ultimi anni dal chitarrista Little Steven.
Un’amicizia quella di Bruce e Clarence di quelle vere e inossidabili, che non diresti possa esserci ancora tra due uomini, che ti fa piangere solo a pensarci, maturata attraverso mille vicende esistenziali e musicali in Asbury Park, New Jersey, dove è stato esposto uno striscione con su scritto ‘Riposa in pace Big Man!’.
Ricordo di aver letto anni fa, nel bellissimo e consigliato “Glory Days: Bruce Springsteen in the 80’s” (1988, Sperling & Kufper) di Dave Marsh, la sofferta genesi della copertina del seminale “Born To Run” che ritrae Bruce e Clarence in una storica posa, scelta in una foltissima rosa di provini: se c’è una foto che rappresenta l’essenza dell’epopea springstiana è propria quella leggendaria di Eric Meola, simbolo non solo di un’amicizia a prova di tempesta, ma icona rivelatrice dei due eterni poli espressivi e artistici entro cui da sempre si è giocata l’epica di Springsteen, il bianco ed il nero, l’enfasi declamatoria del songwriter rock bianco e la robusta iniezione di animalità della musica nera, del rhythm & blues, del soul. Ecco è pensando a quella foto che io ricorderò sempre Clarence Clemons.
Wally Boffoli
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