venerdì 3 dicembre 2010

ERIC CLAPTON: 461 Ocean Boulevard (1974, Polygram)

Si doveva proprio stare bene sul Viale Oceanico 461 di Miami, a giudicare dall’aria distesa con cui Eric Clapton ci guarda dalla bella foto in copertina, un leggero controluce che evoca rilassatezza e tranquillità. Lasciatasi alle spalle la dipendenza dall’eroina, nel cui gorgo il Nostro era caduto anche per le vicissitudini sentimentali legate alla figura di Pattie Boyd, moglie dell’amico George Harrison e poi dello stesso Clapton, il chitarrista dà alle stampe un album piacevole, forse anche sopravvalutato, proprio perché segna un insperato ritorno in buona forma del Nostro, dopo anni bui in cui era dato se non per perso, almeno per disperso.
Tecnicamente Clapton indugia nell’uso dello slide, sia all’elettrica che all’acustica. Forse gli mancava musicalmente Duane Allman, suo compagno di avventure nei Derek And The Dominoes (è’ un classico: quando ti manca una persona tendi a imitarla).
Il disco ebbe un buon successo grazie soprattutto alla cover di I Shot The Sheriff di Bob Marley. Il ritmo in levare del reggae portò fortuna a Clapton e a moltissimi altri che in quegli anni cominciarono a piazzare almeno un brano reggae in ogni loro disco. Dagli Stones a Dylan nessuno se lo è fatto mancare (vogliamo poi parlare anche dei Police?).
Il brano è introdotto, perché suona proprio come un’introduzione, da Get Ready. Chissà all’epoca che effetto fece sentire il re del blues bianco approcciare quelle sonorità. Belle le chitarre acustiche in Please Be With Me e di rilievo la coda finale di Let It Grow (eccelsa ed emozionante si permette di aggiungere Wally, una di quelle cose che ti marchiano a vita!), con quel giro di tre misure avvolgente: sono quelle piccole (piccole?) finezze musicali che rendono memorabile l’ascolto; oggi se ne sentono gran poche.
Buon lavoro, ma non imprescindibile. Diverso il discorso per “Slowhand", che arriverà qualche anno dopo. Ma quella è già un’altra storia.
Motherless Children
I Can't Hold Out


Clapton 'Indiscrezioni': il salotto buono di Ruben

Per sua stessa ammissione, Eric Clapton è un pigro. Perché tiri fuori le palle, deve avere dietro un gruppo che lo prenda 'a calci in culo' come si deve. Allora ce n'è per pochi.
Se volete sentire come suona realmente, lasciate perdere i suoi dischi solisti - a parte "Slowhand" e "461 Ocean Boulevard" e recuperate il doppio cd "DEREK AND THE DOMINOS - LIVE AT THE FILLMORE (Fillmore East 1970, Polydor,1994)". Lì si sente COME suona. Tra le altre doti, ha una capacità non comune negli assolo di suonare ‘sul tempo’. Anni fa si trovò ad essere accompagnato da un'orchestra - la performance venne catturata nel live "24 Nights" - e raccontò di essersi trovato non poco a disagio all'inizio, perché gli archi ‘attaccano’ un po' in ritardo rispetto al tempo.
Santana invece, per citarne uno, è un mago nell’approccio meno puntuale sul beat: tra ‘anticipi’ e ‘ritardi’, quando fa un assolo letteralmente fluttua all'interno del tempo del brano. By the way, narrano le cronache che un giorno Santana volesse convertire Clapton alle sue pratiche spiritual-religiose e il buon Eric gli abbia risposto: "Pregherò insieme a te, se tu ti ubriacherai con me". Non so come sia andata a finire, ma dubito che il serissimo Carlos abbia accettato.
Clapton ha scritto poche canzoni davvero memorabili. Ma quelle belle sono veramente belle.

Derek & the Dominos Live Crossroads
Derek & the Dominos Live - Have You Ever Loved a Woman
Derek & the Dominos live - Presence of the Lord

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