sabato 12 marzo 2011

RADIOHEAD: "The King Of Limbs" (2011, XL) DISCO EVENTO - DUE RECENSIONI A CONFRONTO: Mazzoli, Dimauro)

“The King of Limbs”, non è solo , come ben saprete, l’ultimo disco dei Radiohead, gruppo inglese sopravvissuto agli anni novanta, sospeso musicalmente tra rock e elettronica. E’ un vero e proprio evento: per capirlo basta dare un’occhiata furtiva al mondo del web. Sulle webzine, su numerosi social networks (Facebook, Twitter) si rincorrono le prime indiscrezioni, su Youtube compare il video del primo estratto Lotus Flower, con protagonista assoluto della scena un inedito Thom Yorke, nei panni di un ballerino scatenato, quasi tarantolato. In fondo non c’è da stupirsi più di tanto, le premesse c’erano già tutte. Già all’epoca dell’uscita di “In Rainbows”, i Radiohead avevano spiazzato il pubblico, gli addetti ai lavori, i meccanismi discografici, rendendo disponibile il download del disco in uscita sul sito ufficiale. Dato il successo dell’operazione nel 2007, la band ci riprova oggi ai bagliori del 2011; c’è un solo un piccolo cambiamento di strategia, il prezzo del download non è a libera scelta del consumatore, ma è stato fissato un range di partenza, pari a 7 euro. Entriamo nel vivo del disco, per esplorare le viscere più profonde di “The King of Limbs”. L’album si apre con Bloom. Un inizio ambient: la drum machine è in primo piano, inebriante, ripetitiva, seduttiva. In lontananza, nello sfondo richiami classici, violini tra il vivace e il malinconico e un'apertura all’insegna della sfuggente melodia del pianoforte, interrotto da un turbine di echi elettronici. Atmosfere nebulose, oscure, enigmatiche imperversano fino a diventare ossessive, conturbanti. Vortici sonori in cui è facile perdersi. Rimbombano le armonie vocali tra ritmi elettrici altalenanti (Morning Mr. Magpie). Rari raggi di luce illuminano il paesaggio, come se la luna fosse scomparsa dall’orizzonte. Tra scenari orientaleggianti, scorci scricchiolanti, fugaci arpeggi di chitarra, si fa strada in un crescendo ricco di pathos lo stregante sospiro di Yorke (Little by little). Nel buio più profondo, i riff di chitarra intrappolati da sabbie mobili sono ormai ostaggio di synthetizer e drum machine, attori protagonisti del cromatismo sonoro del disco. Scie di suoni dall’andamento intermittente esplodono inaspettatamente a singhiozzi, tra mari e monti di decibel (Feral). Dimentichi dei presupposti elettronici descritti, dopo aver assaggiato con gioia le insidie ballerine del fiore di Loto (Lotus Flower), è tempo di lasciarsi cullare da ballate dal sapore dolce-amaro, spazio dunque a toni minimali. Nessun artificio elettronico questa volta, solo voce e chitarra/piano (Codex, Give up the ghost). Questi sono i nuovi Radiohead, in bilico tra la freddezza avvolgente di drum machine e la calda intimità acustica. (Separator)
Monica Mazzoli
TheKingOfLimbsRadiohead


La recensione di Franco Lys Dimauro

La cosa eccezionale è stata riuscire a correre più veloce di quanti li seguivano: fan, musicisti e recensori. Accelerare proprio quando tutti sembrano felici di stare al tuo fianco, in cima al mondo. Diventare prima inafferrabili, poi alieni.
Dalla terra tutti aspettano i segnali della loro astronave. Aspettano nuove canzoni che nessun terrestre potrà mai cantare. E stavolta ne arrivano otto, che piovono dapprima in download e poi si fissano come gocce di vernice su tele e fogli di carta, in una delle più belle confezioni con cui sia mai stato impacchettato un disco.
Otto brani immersi in questa placenta amniotica che è diventata la musica del quintetto inglese, un generatore di Van De Graaff perennemente attraversato da piccole scosse elettriche, in un alienante laboratorio musicale dove sussulti ritmici (i pattern dubstep di Bloom, l’ossessiva scansione di Morning Mr. Magpie, lo scrosciare ossessivo di Feral) e glaciali paesaggi lunari (il pianoforte smarrito di Codex, la chitarra e le voci sospese di Give up the ghost) disegnano architetture marziane e disturbanti mentre Thom Yorke continua a scannerizzare il dolore, con quel suo tono indisponente e piatto.
"The king of limbs" ci concede l'incanto di Little by little che è forse quanto di più vicino ad una canzone i Radiohead abbiano scritto da quando hanno deciso di lasciare la terra e di una Lotus Flower che è il prototipo di una canzone soul scritta su Alpha Centauri, a 4,36 anni luce da noi e la consueta soffocante maglia di fibre ottiche che avvolge la musica dei Radiohead dai tempi di "Kid A".
Franco Lys Dimauro

REISSUES – THE RESIDENTS: “Not Available" (1978, Ralph Records - 2011 Vynil, MDV Audio) + The Residents Connection

Da fine febbraio è finalmente presente nei negozi italiani la ristampa di "Not Available", il vinile più ambito e ricercato dai collezionisti e dagli appassionati dei Residents, infaticabili e attivissimi sperimentatori a tutto tondo che nel 2012 festeggeranno il loro quarantennale. Il disco riporta, come nella sua prima uscita del 1978 (Ralph Records) la stessa tracklist di cinque brani che suddividono la concept opera, estesa di ulteriori sette minuti. Altra accattivante novità che ci offre la ristampa del vinile, edita della MDV Audio con il supporto della Cryptic Corporation, è una keypass che permette di scaricare ulteriore materiale inedito relativo alla registrazione del disco, avvenuta nel 1974.


The Residents Connection

1. L'illuminazione dell'oscurità. Un percorso avanguardistico lungo quarant'anni tra profezie e dissacrazioni, anonimato e rumorismo. La Ralph Records, la Cryptic Corporation

La storia dei Residents si può definire veramente, fin dai suoi esordi nel 1969, come la parodia meglio riuscita dei mali esistenziali della nostra società, del conflitto interiore suscitato da un progresso impersonale e caotico che reca in sé i germi del regresso, la desolazione di un ritorno al primordiale più disumano e alienato. E’ una storia che valica i confini della musica per proiettarsi su un’esplicita denuncia sociale, antropologica e filosofica delle degenerazioni del nostro tempo, destinata però, come sparuto urlo profetico mal recepito, a rimanere inascoltata e incompresa, almeno fino a tutto il 1978. Prima di tutto perché questi personaggi, criptici e anonimi a tutt’oggi, non eressero mai l'ennesimo manifesto divulgativo della loro controcultura o del loro modo di essere alternativi, restarono veramente defilati dalle luci della ribalta, riuscirono a non fare proprie le contraddizioni di una società massificata e mediaticizzata. Attraverso l'abile mossa di creare una loro etichetta indipendente, appunto la Ralph Records (due le raccolte Ralph Records consigliatissime sulla scena avanguardistica di San Francisco fine anni '70 - inizi '80: "Subterranean Modern" (1979) e "Frank Johnson's Favorites" (1981) con brani dei Residents, Chrome, Tuxedo Moon, MX-80 Sound, Snakefinger etc.) con un'amministrazione sempre da loro orchestrata, la Cryptic Corporation, fin dal 1972 iniziarono a mettere in pratica il loro magistrale lavoro di dissociazione dalle leggi di mercato e dal business mediatico legato al mondo della musica. Loro furono l'incarnazione della 'teoria dell’oscurità' e del non apparire ma io aggiungerei anche dell’imprendibile e dell’ineffabile, poiché il loro isolamento fu il frutto della loro eccessiva coerenza e del saper vedere oltre. Dicevano di aver preso ispirazione dal guru Nicolas Senada, una figura storicamente mai delineata con chiarezza, forse un compositore bavarese le cui tracce si sono andate perdendo nel vortice impietoso del tempo, forse semplicemente un personaggio tirato in ballo ad hoc per supportare la loro vaticinante filosofia del rifiuto. Elaborarono un sottile e ingegnoso disegno di ripudio e di non allineamento che ancora oggi appare di difficile comprensione: not available, appunto, per le nostre menti intorpidite dai meccanismi della modernità.

2. I paradossi dei Residents
Iniziamo ad elencare alcuni proverbiali paradossi che la loro strategica e irriverente regia riuscì a tessere: siamo nel 1972, l’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, Frank Zappa ed altri illustri personaggi americani, si vedono recapitare un bizzarro ‘regalo di Natale’, un EP dal titolo "Santa Dog", una trovata che ha del geniale. La copertina raffigura un cane vestito da babbo natale, se si fa l’anagramma di Santa Dog può anche venir fuori Satan Dog: i semi della contraddizione sono stati gettati, il gioco degli opposti, il tutto e il contrario di tutto, il non sense che assume senso, la spazzatura che emerge dietro il sipario e il loro sapiente riciclaggio che altro non è che il riesumare i fantasmi che più ci fanno orrore e mai vorremmo vedere. Nixon avrà mai aperto il suo regalo? Non lo sapremo mai, di certo Zappa lo rispedì al mittente, un vero peccato per i suoi eredi poiché quel disco, tirato a poco meno di duecento esemplari, ora varrebbe una vera fortuna! Altra bizzarria della sorte vi fu nel 1970, dei demo fatti recapitare a un produttore della Warner Bros (la stessa che aveva saputo intuire il talento di Captain Beefheart!) furono sbrigativamente rimandati al mittente, anzi no, il mittente non era specificato, ai residenti dell’indirizzo indicato e fu così che oltre a fornirgli un’identità nella non identità, una residenza nel loro non risiedere, la leggenda immaginifica che li ha plasmati e gli ha dato forma, ha finito per farli risplendere di tutta la loro sagacia messa a tacere, del talento passato sotto il silenzio dell’indifferenza ottusa; mettendo alla gogna come mai il qualunquismo incapace di distinguere tra arte, originalità, scarto e falsi miti.

Not Available
In mezzo a questa storia stravagante, di defilata voce dell’ostinazione e incomunicabilità della comunicazione moderna, deve sicuramente ascriversi anche la sorte di "Not available". Il fuori catalogo dell'industria discografica, ripudiato dalla cultura mainstream e dalle saccenze che imponevano mode e stili, fu destinato a fare tendenza in misura inversamente proporzionale ai silenzi e al sottobanco che ne contraddistinsero la progettazione. Registrato nel 1974, per motivi inspiegabili e (tanto per cambiare) oscuri, fu dato alla stampa solo quattro anni dopo.
Nel rispetto della loro volontà di anonimato e per sbeffeggiare l'intero circuito della distribuzione che speculava sull'arte attribuendogli valore sulla base di giudizi sommari o semplicemente con l'intento di promuovere ciò che più rispondeva ai dettami di popolarità, sfornarono i loro primi dischi tutti in tiratura limitata, anzi limitatissima. Quando l'America e la macchina del consumo si accorgono di loro, la loro risposta è Not available.
"Not available" è il loro manifesto filosofico, la loro dichiarazione d'intenti: una strenua lotta al consumismo e all'omologazione messa in atto non fuggendo o rinnegando ciò che li determina ma esasperandoli, mostrandone il lato più orrido e urticante. Questi mostruosi bulbi oculari con tanto di tuba, che fuoriescono da impeccabili frac, vogliono rappresentare la nostra cecità, la mancanza di stimoli ricettivi causata da una tecnologia impersonale e fine a se stessa, la morbosità del voler essere all'avanguardia senza saper dominare il progresso, la regressione, la devoluzione fino allo stadio più rozzo e primitivo.
Le diecimila copie commercializzate sono praticamente diventate oggetto di culto, autentiche rarità per pochi eletti. Nel 1988 l'album fu nuovamente ristampato dalla Torso in CD e Vinile ma la distribuzione fu comunque esigua relativamente al vinile (si parla di sole 60000 copie).
Dal 1987 a causa di alcuni dissesti finanziari e per la serie di progetti laboriosi portati avanti e spesso non conclusi, la band dovette comunque assoggettarsi ai meccanismi del mercato che da sempre aveva condannato, cedendo una parte del controllo della label Ralph, che comunque continuò a rispondere ai criteri originari dei fondatori e supportare progetti di bands di tutto rispetto quali: Chrome, Mx-80 sound, Tuxedomoon, Renaldo and the Loaf, oltre naturalmente ai lavori del loro fedele collaboratore Philip Lithman, in arte Snakefinger. Per tutto questo tempo i Residents hanno continuato con inventiva e creatività a delineare l'apice dell'avanguardia musicale, ad esplorare le possibilità offerte in ambito multimediale, facendosi sempre più pionieri dell'autosponsorizzazione legata imprescindibilmente ai propri canali distributivi (ordini postali gestiti dalla Criptic e successivamente via web) permettendo la diffusione del loro materiale solo con il loro benestare. Un repertorio vastissimo di album, cortometraggi, video, progetti cinematografici e spettacoli itineranti.
Il suono che caratterizza Not Available è un capolavoro di manipolazioni fonetiche, un collage di suoni liberamente assemblati a mo' di opera sinfonica corale. Fin dal pezzo di apertura Edweena trapela un'atmosfera cupa e inquietante sapientemente offuscata con l'avallo macabro di mezzi meccanici e informatici usati 'a contrario', un fitto velo d'ombra sembra avvolgere sia la parte acustica che quella linguistica, un ascolto non facile e certamente 'indisponibile' per chi non si dispone ad accoglierlo con l'anima, per chi non sa cavalcarne le mille correnti emotive che lo caratterizzano.
Maglie ipnotiche di percussioni, voci, archi e fiati che sono spirali sensoriali altamente evocative, che ci portano in luoghi inesplorati e seducenti. Non importa più se le rime perdono senso o se l'ensemble non ha una logica ritmica e armoniosa, noi siamo risucchiati, siamo in balia di queste correnti perturbate. The making of a soul inizia con un delicatissimo passaggio di pianoforte e riporta equilibrio ai personaggi che si alternano nei loro smarrimenti, il triste, la bella, il bizzarro.
Fluttuano domande irrisolte che diradano il suono e ci portano in dimensioni di silenzio inquietanti: Ship's A'going down è un baratro tetro in cui siamo costretti a scendere, le voci sembrano lamenti di sofferenza di mali esistenziali implacabili. Con Never known questions la tensione approda in un paesaggio di lussureggiante riposo che reca in sè le vibrazioni funeste della rassegnazione, della sconfitta, ritornano i disturbi, la melodia rassicurante del piano a volte si spezza in suoni striduli. Segue uno sciame di 'ok, ok, ok, ok' quasi ossessivi, cosa possono essere? Una resa, un'illuminazione, una lucida accettazione? Tutto si traduce in una domanda ulteriore "To exist to show, or to be shown? Is a question never, never known". Epilogue è una sfumatura di libera interpretazione, una dissolvenza lenta intervallata da 'to exist/to exist/to exist', vi si colgono la tristezza di un congedo e la gioia di una condivisione per aver mostrato ognuno le proprie debolezze, i propri limiti e finitudini ed aver ritrovato proprio in essi la pienezza della propria umanità, un abbandono che è spiegamento d'ali di anime pure.


Altre novità dal fronte Residents
E' partito dal 5 marzo 2011 il loro tour mondiale che riproporrà, naturalmente in chiave rivista e corretta, lo spettacolo Talking Light che si concluderà a Londra il 14 maggio. Lo show è ispirato a storie di fantasmi ed è in piena fase evolutiva, l'anno scorso fu presentato dal 12 al 15 maggio anche in quattro date italiane, quest'anno è stato arricchito di ulteriori parti che sembrano voler spaziare su ulteriori riflessioni esistenziali, sull'invecchiamento e sulla morte. Sono disponibili per ordinazione on line il DVD 'Randy Ghost Stories' (dal mese di aprile) e un CD strumentale dal titolo "Dolor Generar". Le varie pieces in cui è suddiviso lo spettacolo (che di volta in volta possono variare o essere diversamente miscelate) sono anch'esse disponibili su ordinazione. Lonely teenager e Chuck's Ghost Music.
Inoltre ci aspetterà nei negozi dal 5 aprile, la ristampa in vinile dell'altro grande capolavoro, il primo, dei nostri illustri sconosciuti: "Meet the Residents", un invito ad incontrarli questa volta aperto a tutti, chi sarà in grado di farlo con gli occhi giusti?
Romina Baldoni



THE RESIDENTS

Not Available tracklist:
Part One: Edweena (9.32)
Part Two: The Making of a Soul (10:00)
Part Three: Ship's A' Going Down (6:40)
Part Four: Never Known Questions (7:01)
• Epilogue (2:28)

venerdì 11 marzo 2011

THE WITCHES: “A Haunted person’s guide to the Witches” (Jan 11 2011, Alive Records)

The Witches, qualcosa di più di una ex-rilevante novità dal sottobosco detroitiano, anche se non molto tenuti in considerazione quando si parla di Garage sounds. Giunti al loro quarto album nel 2006, la band capitanata da Troy Gregory eclettico poli-strumentista (che ha fatto parte di Killing Joke, Dirtbombs, Flotsam & Jetsam, Swans, Spiritualized, Prong..) non pubblicava più niente proprio da quel “Thriller”(Music for cats, 2006) anche se Troy oltre a proseguire nel suo progetto solista, se n’è uscito di recente partecipando a “That’s all I need” (2010, Bloodshot Records) di Andrè Williams. Momento propizio per richiamare l’attenzione su questa band con la pubblicazione di una sorta di guida introduttiva, “A haunted person’s guide to the Witches” appunto, che recupera alcuni titoli sparsi della loro discografia. Affiancato in questo progetto da altrettanti personaggi illustri come John Nash (LCD Soundsystem, Electric Six) e dalla produzione oltre che la partecipazione di Jim Diamond che con il suo Ghetto Recorder Studio è stato responsabile di quasi tutto quello che Detroit ha prodotto in ambito Garage rock negli ultimi vent’anni. The Witches rispolverano il migliore power-pop di fine sixties, attraverso dodici brani che a parte un paio di casi non superano lo standard dei 2/3 minuti, dettati dalla necessità d’immediatezza. Fin dall’iniziale Everyone the greatest che esprime la devozione a band come Flaming Groovies, Barracudas, Standells e Monkees così come pure per Creepin’ through your galaxy o la ruffiana Lost with the real gone, capace di virare in umori psych con The Haunted Regulars e (She got some kinda) Thing degne di Robyn Hitchcock. I confini si spostano fino al glam anni ’70 di Marc Bolan come nel boogie di Attack ov thee Misfits Toyz o nell’ancheggiante Down on ugly streets.
Resti inteso che non si tratta di semplice esercizio nostalgico, Troy and co. sono più alla ricerca di quello che era lo spirito che animava le suddette bands piuttosto che intenti a catturare il suono di un’epoca; suono che invece si fa più ricercato e personale affinando e aggiornando un genere che è sempre rimasto un po’ di nicchia, forse un po’ snobbato o trattato male come quello del pop-punk, bubblegum, pop-psych, power-pop o come volete chiamarlo. Presi singolarmente gli elementi di questo gruppo saprebbero sorprendere molto di più con sperimentalismi vari, ma in questa circostanza dimostrano di saper anche stare al loro posto, lasciando alla musica il primo piano, e facendosi guidare soprattutto dalla passione.
Federico Porta

FRANK ZAPPA - "THE EARLY SOLO YEARS" Second Part : "CHUNGA'S REVENGE" (1970, Bizarre/Rykodisc)

First Part: "HOT RATS"

After "HOT RATS"
Siamo giunti al 1970, Frank Zappa esordisce nel nuovo decennio pubblicando a Febbraio “Burnt Weeny Sandwich”, ad agosto “Weasels Ripped my Flesh” ed organizzando a maggio un concerto per gruppo rock e orchestra, la Los Angeles Philarmonic Orchestra, sotto la direzione del Maestro Zubin Mehta. Nonostante il successo ottenuto, Zappa è insoddisfatto della performance degli orchestrali, a suo parere insufficiente rispetto alle energie fisiche ed economiche da lui profuse (il reperimento di fondi per nuovi dischi, attrezzature e progetti musicali è un problema ricorrente nella sua carriera). Dopo questa parentesi, egli decide di allestire una nuova formazione delle Mothers of Invention, denominate definitivamente Mothers, che vede Ansley Dunbar alla batteria, George Duke alle tastiere, Ian Underwood come polistrumentista, Jeff Simmons al basso e alla chitarra ritmica e introduce tre membri dei Turtles, Mark Volman e Howard Kaylan alla voce e Jim Pons al basso, quest'ultimo in alternanza con Jeff Simmons. Gli ex-Turtles, non potendo usare il loro nome per una causa legale in corso, vengono ribattezzati da Frank Flo and Eddie.
Con questa nuova incarnazione delle Mothers Zappa si appresta a realizzare “200 Motels”, un film e relativo doppio album musicale (che uscirà in seguito ad ottobre del 1971) riguardante la vita e relative bizzarrìe ed eccessi di una rock band in tournée, nel cui cast, oltre alla Royal Philarmonic Orchestra, le Mothers e Keith Moon figura Ringo Starr, nel ruolo di Frank. Il titolo prende spunto dal fatto che tutta la musica presente nel film viene composta in camere d'albergo, così come nelle camere d'albergo il resto della band vive la vita selvaggia fatta di sesso e rock'n'roll!
Difatti è un particolare curioso che Frank, alla stregua di un pensoso signore rinascimentale, dopo i concerti faccia vita separata dal resto dei musicisti, alloggiando persino in sistemazioni diverse e pensando a comporre ed organizzare tutti i dettagli tecnici delle esibizioni, salvo poi all'indomani farsi raccontare aneddoti bizzarri e licenziosi per trarne ispirazione e comporre canzoni!
Ma a tutti gli effetti la prima uscita discografica con questa nuova formazione delle Mothers è “Chunga's Revenge"(ottobre 1970).

"Chunga's Revenge"
Il disco, realizzato tra il luglio 1969 e l'agosto 1970, è in realtà una sorta di collage di elementi musicali provenienti dalle sessions di “Hot Rats”(1969) o quelle immediatamente successive,unite a canzoni ironiche e bizzarre con linee vocali debitrici alla doo-wop music tanto amata da Frank Zappa a tematica prettamente sessuale, difatti i testi narrano di incontri con groupies e non è un caso che nelle note di copertina Zappa stesso dichiari l'album una sorta di “preview” di “200 Motels”!
Apre l'album la grintosa Transylvania Boogie, tratta dalle session di fine 1969, è caratterizzata da un jam chitarristica di stampo rock, enfatizzata dal sapiente uso del pedale wha wha da parte di Frank, che fa assumere alla chitarra qualità vocali a volte umane a volte feline! Segue il brano Road Ladies, un torrido e sudaticcio blues con armonie vocali debitrici al gospel, inserite in un contesto tutt'altro che sacro, narrando dei servigi di gentili signorine che si incontrano in tour!
Twenty Small Cigars, risalente alle session di “Hot Rats", è ammantato di atmosfere sognanti e jazzate conferite dal contrabbasso, dalla batteria suonata con le spazzole e suoni di spinetta abbinati a liquidi passaggi di chitarra. The Nancy and Mary Music, suddivisa in tre parti e fortemente debitrice della musica classica contemporanea e d'avanguardia, costituita da una performance improvvisativa live “guidata” tra rumorismi feroci, atmosfere sospese, virate rock, vocalismi onomatopeici e ritmiche tra il funk ed il tribale si lascia ascoltare con lo stesso spirito con il quale si sale su di un ottovolante!
A seguire Tell Me You Love Me (il link è relativo alla versione eseguita dal figlio Dweezil nel progetto Zappa plays Zappa), dal possente incedere quasi hard-rock, con riffs e fraseggi aggressivi di chitarra, testi sexy ed incorniciato da un passaggio di fiati strepitoso!
Il brano successivo è Would you go all the Way?, una breve canzone caratterizzata da linee vocali di stampo anni '60, con passaggi funk,una linea di trombone caricaturale e corredata da immancabili testi allusivi (neanche tanto velati!). A seguire Chunga's Revenge, fantomatico aspirapolvere industriale mutante partorito dalla fervida mente di Frank Zappa (!) (N.B.: il video è relativo al brano più quello successivo, The Clap!), jam chitarristica affine a Transylvania Boogie, anch'essa appartenente al periodo delle session del 1969 post-”Hot Rats”, che si snoda tra sonorità di piano elettrico e gemiti quasi umani generati dai fiati di Ian Underwood filtrati con il Wha Wha, irresistibile! E' la volta di The Clap, breve intermezzo di percussioni e batteria dall'impronta tribale, anch'esso relativo alle stesse sessions della title-track.
La penultima traccia del disco è una canzone assolutamente grottesca, dall'incedere di fanfara, Rudy wants to Buy yez a Drink, con cori, versacci e fiati dal tono fortemente parodistico e dall'effetto esilarante! Chiude il disco Sharleena, canzone che sembra uscita dalla colonna sonora di un film porno-soft dell'epoca, volutamente caricata nei coretti e nei sospiri di sottofondo, dall'impianto musicale funky-soul punteggiato dal piano elettrico e dalla chitarra, resa liquida dall'uso dell'effetto vibrato, sicuramente un omaggio alle musiche dei b-movies!
Questo album, per via della sua natura e della sua realizzazione ha suscitato pareri contrastanti, riviste musicali blasonate a suo tempo lo hanno giudicato negativamente: personalmente lo ritengo un album molto valido, piacevole da ascoltare, eclettico ma non fuorviante, e con il senno di poi è da considerarsi una specie di “blob”, o se volete bignami, di Frank Zappa, rivelando molte sfaccettature dei suoi interessi compositivi. A mio parere si potrebbe citare questo album o consigliarlo a chi vuole approcciarsi ai dischi di Zappa, certi di non mancare di rispetto o di non rendere sufficiente giustizia al grande Frank!
Vincenzo Erriquenz

Musicisti coinvolti nella realizzazione dell'album:
Frank Zappa - chitarra, harpsichord, percussioni, batteria e voce;
Max Bennett - basso;
Ansley Dunbar - batteria e tambourine;
John Guerin - batteria su Twenty Small Cigars;
Don Sugarcane Harris - violino elettrico ed organo;
Howard Kaylan e Mark Volman - voci soliste;
Jeff Simmons - basso;
Ian Underwood -  organo, piano, chitarra ritmica, piano elettrico, sax alto, sax tenore.

Un grandissimo ringraziamento a Sandro Oliva per la gentilezza e le preziosissime informazioni e precisazioni storiche!

giovedì 10 marzo 2011

BABY WOODROSE : "Mindblowing Seeds and Disconnected Flowers" (25 Aprile 2011, Bad Afro Records)

Narra la leggenda che, nell’ estate peggiore della sua vita, in preda alla più cupa frustrazione e al più profondo avvilimento, Lorenzo Woodrose abbia scoperchiato il vaso di Pandora della creatività dopo aver assunto una dose di Argyreia nervosa, una pianta hawaiana che nasconde lo stesso principio attivo dell’ LSD.
Narra, stavolta Lorenzo stesso, che egli ebbe l' immediata percezione di poter scrivere 50 milioni di canzoni in soli 30 secondi. Roba che nemmeno gli Stormtroopers of Death.
Narra infine la storia che il giorno dopo Lorenzo sia entrato in studio a registrare il suo primo materiale, scegliendo di battezzare quelle sessions con il nome di quei semi magici. Essendo rimasto, oltre che a corto di lavoro, di soldi e di ragazza, anche povero di amici, Lorenzo chiama il suo pusher, ma stavolta non per avere i suoi fantastici semini tropicali ma per chiedergli di diventare il suo bassista. Lo spacciatore accetta e assume il nome di Ricky Woodrose. Quel giorno, con queste quindici tracce che sono la trasposizione sonora dei fluorescenti incubi LYSergici di Lorenzo, nascono i Baby Woodrose che adesso, per festeggiare i dieci anni
dall’ esordio discografico, pensano di stampare ufficialmente le demo di quei pezzi destinati al loro primo album.
I pezzi registrati da Lorenzo sul suo multitraccia Fostex X-30 hanno già tutte le caratteristiche del suono che egli vuole dipingere: musica garage figlia delle visioni malate degli Elevators (Spinning Wheels Of Fire) e delle orbite circolari dei Seeds (Flaminica), criptica, fuzzata e, ovviamente, drogata. Riuscendo nella magia di creare un suono visionario e allucinato ma fortemente compatto, Baby Woodrose diventeranno per tutto il decennio una delle migliori psych-band europee. Alla faccia di quell’ orribile estate del ‘99. La scaletta comprende, oltre ai pezzi che finiranno su "Blows your mind!", la spiritata cover di City of people degli Illusions e il 7” "She ‘s all Mine/Run little girl" che oggi, a proposito di spacciatori, viene venduto su Ebay a circa 90 Dollari.
Se gli unici funghi che conoscete sono i pleus è forse meglio che andiate da qualche altra parte, che qui per voi non è aria.

Franco “Lys” Dimauro

Nobody Spoil My Fun (live @ Lott Festival 2010)
Caught In A Whirl / Beat City (2009)

BadAfroRecords

MySpaceBabyWoodrose

NEW AMERICAN NOISE - TINSEL TEETH – “Trash As The Trophy” (Marzo 2010, Load Records)

Providence è una delle più prolifiche capitali del “rumore” d’oltreoceano: a confermarlo ancora una volta è una band indigena, i Tinsel Teeth, 2 dischi all’attivo di cui l’ultimo, “Trash as the Trophy” è uscito l’estate del 2010 per Load Records.
In un periodo in cui la meteora del noise dopo essersi deflagrata sulla scena musicale internazionale sta iniziando ad essere assorbita e vegetare a sua volta in centinaia di diramazioni e micro-generi, ecco dai Tinsel Teeth un sonoro richiamo al passato, non più le sonorità robotiche, aliene proprie di veri e propri monumenti cittadini quali 6 Finger Satellite: ad un primo ascolto i Tinsel Teeth fissano le loro origini in Texas, tra le ruvide trame dei loro riff riusciamo distintamente a scorgere il seme di mostri sacri quali Jesus Lizard o Butthole Surfers, la vocalist Stephanie rappresenta l’alter ego femminile del più selvaggio David Yow in stato di grazia. Il pezzo di apertura del disco A doting double cross è ossessivo e violento, i plettri sfregiano nervosamente le chitarre con ritmi serratissimi, mentre il diabolico e convulso vociare della cantante ci porta in un atmosfera tipicamente Birthday Party, periodo eroina londinese, per poi risollevarsi in un distorto hard-core dove le linee di basso si fondono perfettamente con la sezione ritmica. (Stock Footage Of Stuntmen)
Ascoltando Libraries are the cemetery of ideas riusciamo come detective a risalire alla trama che lega questa band alle sue origini, passando dal gomitolo che lega quasi tutti i fili del noise degli ultimi due decenni: stiamo parlando di Steve Albini e della Touch and Go; dal deserto del Texas passiamo alla regione dei laghi, al Michigan, questo pezzo, levando qualche pedale distorsore, potrebbe far parte tranquillamente del capolavoro “If I had Six” dei Mule, sicuramente non si distinguerebbe la nerboruta voce di Preston Wright Long III da quella della apparentemente minuta Stephanie, la quale abitualmente durante i live show della band sputa seminuda sangue finto sull’uditorio, il più delle volte (ed a ragione) entusiasta.
Le live performances (NYC @ Cake Shop | 12 Nov 2010) di questa band sono perfettamente coerenti col sound ruvido ed aggressivo che li anima, ragazze a petto nudo con vibratori ricoperte di sangue posticcio, chitarristi efferati, violenza gratuita, colonna sonora perfetta per un texas chainsaw massacre, solo che siamo a Providence, ce lo ricordano ancora una volta le chitarre impazzite di Toxic shock wave: sono gli Arab On Radar questa volta a far da padrini al battesimo ad una delle tracks più deliranti del disco, l’arpeggio della chitarra è frenetico mentre il gorgheggiare di Stephanie è incessante e si spegne soltanto nel lento blues del pezzo successivo Failure to Perform che sembra essere partorito dalle fogne di New York, sponda Unsane.
Questo, in definitiva, è un disco noise con gli attributi, anche di gomma nel caso della cantante, attributi che lo rendono di diritto una delle novità più rilevanti di una etichetta che ha appena sfornato la ristampa del mitico “Wonderful Rainbow dei pluri osannati Lightning Bolt, ma quel disco lo abbiamo già!

Nick Zurlo

MySpaceTinselTeeth
Load Records

PUNK - TRANSEX “The Heart Of The State” 7 inch (2011, White Zoo Records)

"Mentre fuori fa sempre piu’ freddo giu’ nello scantinato del Mads si toccano i 40 gradi appena partono quelle vecchie baldracche deiTransex. Attaccano alla grande con Fascist Dictators dei Cortinas: mentre Pierpaolo (De Iulis) allucinato urla tutta la sua rabbia, la vista del bassista Dallas mi inquieta non poco: una specie di ‘brian eno’ periodo glam però piu’ sporco e decadente, insomma PUNK. I Transex ci spaccano il culo con solo sette pezzi, alcuni nuovi che andranno a far parte di un EP in uscita sempre per la stessa etichetta dei gruppi visti il giorno prima". Ecco cosa Marco Colasanti scriveva dei romani Transex in occasione del suo LIVE REPORT - ROAD TO RUINS 11 - (Mads, Roma, 10 Dicembre 2010).


Transex: The Heart Of The State

Ed eccolo il nuovo singoletto dei Transex per la White Zoo Records, band romana il cui front-man/ sfrontato lead-vocal è Pierpaolo De Iulis, attivissimo agitatore punk che guida da sempre la più importante punk-label romana, quella Rave Up Records che dal 1999 sta ristampando solo su rigoroso vinile molte gemme sconosciute del punk e del pre-punk anni ’70 anglosassone ed americano (presto ne parleremo ampiamente su Distorsioni).

4 pezzi lascivi, malati e sporchi dentro. Punk rock sbavato di rossetto, molto '77 style e con folgoranti fulminei (ottimi!) solo chitarristici. 3 pezzi loro + una cover superiore all'originale, Fascist Dictator degli albionici Cortinas già apparsa sulla punk tribute compilation “Punk 77 07. Cops Are Gay, Gotta Go e Red Brigades che inizia con la storica telefonata che annuncia la morte di Aldo Moro. Titoli inequivocabili con la sana voglia di rompere il cazzo. Questo è quello che vogliono e lo fanno senza problemi.

Testo e foto di Marco 'Marcxramone'Colasanti

Transex