mercoledì 19 settembre 2007

Recensioni / Esteri / The Chesterfield Kings : PSYCHEDELIC SUNRISE ( Wicked Cool / 18 Settembre 2007) by Pasquale Boffoli



I vetero-appassionati di garage sanno sempre cosa attendersi da un nuovo disco dei Chesterfield Kings, vere icone viventi (insieme a Fleshtones e Fuzztones), depositari fedeli del verbo rock&roll/garage/punk d’estrazione sixties/seventies sin dagli anni ’80.
E non sono mai traditi perché quella di Greg Prevost e c. è une vera ‘missione’ archeologica, tesa al recupero attualizzato dei contenuti ormai cristallizzati nel tempo della ‘vera’ cultura garage/psichedelica, ed il titolo del nuovo album ne è la riprova: Alba Psichedelica !
Negli ultimi tempi in modo particolare i Kings di Rochester hanno fatto della citazione una vera e propria arte, che probabilmente a molti potrebbe sembrare sterile, ma chi ha superato gli ‘anta’ ed ha nel dna certe cose li considera semplicemente alla stregua di indomiti templari tenaci custodi del santo graal.
Il nuovo lavoro, Psychedelic Sunrise, col quale si accasano comodamente con la Wicked Cool di Little Steven, che tanto sta facendo per la rivalorizzazione del patrimonio storico del puro rock americano con il suo Underground Garage, è una vera miniera di citazioni, ma dimostra al contempo una straordinaria maturazione e compattezza di sound: un vero ‘wall of sound’ chitarristico, ritmico e vocale (molto più curati di una volta i cori!) denso di un’accurata ricerca armonica e melodica e di una varietà affascinante di temi.
Psychedelic Sunrise ha due anime : la prima è quella descritta un po’ sinora, una psichedelia epica direzionata soprattutto verso i tardi anni ’60 britannici, quando gli arrangiamenti e le armonie si facevano più complessi con l’intreccio di suoni e strumenti nuovi (sitar, clavicembalo, harpsichord, e persino violini!) rispetto l’ingenuità beat, con cori sempre più sofisticati.
Ne venne fuori un folto e variegato panorama di bands ‘freakbeat’ (termine coniato molto più tardi), accanto ai capisaldi pop-psichedelici a 33 e 45 giri di Beatles, Rolling Stones, Yardbirds, Traffic ed in America dei Byrds. Stiamo parlando di un lasso di tempo tra il ’66 ed i primissimi anni ’70.
Il primo brano di P.S., Sunrise (Turn On) ricalca l’incipit vocale di Puzzles degli Yardbirds, ben integrato in un accattivante mood spagnoleggiante (con tanto di nacchere) che poi si dipana selvaggio ed elettrizzante con Greg Prevost sboccato e Paul Morabito, chitarrista ritmico-solista scintillante come non mai, creatore di aggressioni ed oasi soniche stupefacenti!
Rise and Fall è la prima grossa sorpresa: su un ineluttabile ritmo cadenzato Prevost e c. sciorinano fantastici cori alla Byrds ed armonie quasi trascendentali: la raggiunta maturità espressiva è qui una splendida realtà, il suono è denso ed avvolgente: i nostri eroi alle prese con il fatale alternarsi delle fasi vitali?
Il percorso dell’alba psichedelica continua con Streaks and Flashes, brano arioso e solare che inizia ed è attraversato fascinosamente dal tema chitarristico di Child Of The Moon degli Stones (era il lato B di J.J.Flash), non si scappa.
Elevator Ride è forse il brano più ortodossamente psichedelico nel senso che i Kings inseriscono piuttosto incautamente a più riprese nel corpo del brano il tema di Set the control for the heart of the Sun dei Pink Floyd (da Saucerful of Secrets). L’effetto é un pò imbarazzante perché la citazione é troppo lampante, vanificando un po’ il valore di un brano stracolmo di energia lisergica.
L’unica caduta di tono dell’album!
La stessa cosa avviene con il sitar, l’inizio ed il refrain di Spanish Sun, che attingono a piene mani allo storico single dei Rolling Stones Paint It Black. In tal caso però riescono ad integrare il tutto con un ottimo sviluppo in progressione dell’armonia.
All’anima più prettamente freakbeat appartengono anche la meditabonda Gone a tempo di valzer, una riflessione distesa sulla caducità dell’ispirazione artistica (brano che evoca la pienezza del sound di certi Hearbreakers, la band del grande Tom Petty), e Yesterday’s Sorrows, un incrocio tra un outtake di Their Satanic Majesty’s Request (sempre Stones) e le sonorità psycho degli ultimi Yardbirds (quelli con J.Page e J.Beck) con Morabito ancora in superba evidenza.
Entrambi i brani mostrano quanto si sia dilatata la vena compositiva dei Chesterfield Kings.
Addirittura barocco il minuetto di Inside Looking Out, sorta di Lady Jane del nuovo millennio, sapida di harpsichord e violini (l’avreste mai detto : i Kings con i violini?) con Greg Prevost che mette sul piatto inediti moduli vocali: il brano la dice lunga su quante sfaccettature freakbeat i re di Rochester stiano esplorando e riportando alla luce!
La seconda anima di Psychedelic Sunrise è quella più selvaggiamente americana e più in generale rock&roll: per l’ennesima volta dimostrano di essere i veri eredi del rock dell’oltraggio degli Stones migliori; uno sfacciato Keith Richards-riff apre Stayed too long, nella quale echeggiano anche le New York Dolls più puttane, brano che si fa godere alla grande nella sua fragranza ed immediatezza.
Stesse chiarissime influenze in Up and Down, l’episodio più radio-friendly del disco, con fresche movenze power-pop.
Ma è in Outtasite e Dawn che i C.Kings suonano dannatamente offensivi, due autentici pugni nello stomaco, fradicie di fuzz e di magnetiche sortite chitarristiche (Paul Morabito è in possesso di un tocco davvero superlativo!), con Greg Prevost scurrile, jaggeriano al cubo.
Il suo carisma vocale e di performer oggi non teme rivali e lo dimostra alla grande in questi due brani: ‘ I…can’t…wait …till …dawn !’ soprattutto. Qui, nella parte centrale, ricrea all’armonica insieme all’inesorabile macchina ritmica dei Kings l’antico Yardbirds-speed (I’m a man, I Wish you would etc…) che i veterani che leggono ricorderanno bene!
In definitiva, Psychedelic Sunrise è un disco meno introspettivo ma molto più frastagliato, fresco ed agile del suo precedente, The Mindbending Sounds of C.K. .


The Chesterfield Kings Living Eye Ltd.
PO Box 12956 Rochester, New York 14612 USA
Ph# 585.425.3640 email: c.kings@att.net

domenica 16 settembre 2007

Recensioni / Italiani ; Il blues dei DIRTY TRAINLOAD: Rising Rust (2007 / Side Records)


Dirty Trainload é il nuovo side-project messo a punto dal chitarrista e compositore rock-blues Bob Cillo, leader del noto trio barese Trinity.
Si tratta di un duo composto da Cillo e Marco Del Noce, già fondatore della De Ville Blues Band, suo amico e collaboratore di vecchia data (furono artefici una dozzina di anni fa degli Hot Line), armonicista e cantante, nonché suonatore di washboard e kazoo.
Bob ha voluto materializzare un'idea che gli ronzava per la testa da tempo: eseguire blues e rock-blues senza l'ausilio di una sezione ritmica umana, ma avvalendosi di ritmi artificiali; cosa che realizza nei nove brani di questo lavoro, Rising Rust, coprodotto e registrato nel suo studio salentino da Fabio Magistrali, uno dei produttori più attivi della scena indie italiana ( Les/ Petits/Enfants/Terriblez etc....) .
'Analog rhythm boxes' quindi e 'bass loops' sono suonati da Cillo per sopperire a batteria e basso in un esperimento che sono sicuro farà inorridire i puristi del blues: in Italia ce ne sono molti, credetemi!
Anche il grande Robert Burnside prima di esalare l'ultimo respiro osò profanare la tradizione del delta-blues nell'album Come on in (Fat Possum/1998), usando campionamenti e batterie elettroniche ed il risultato fu straordinario!
Stesso coraggio (che non basta mai!) di violare l'iconicità della materia blues l'hanno i pugliesi Dirty Trainload ed il risultato per almeno 5-6 brani su 9 é lusinghiero, traducendosi soprattutto in un sound ipnotico ed avvolgente, a volte volutamente minimale, come in Bad thoughts about Irene, torbido e malinconico, riff ispirato, uno degli episodi più convincenti di Rising Rust.
A coinvolgere come nei Trinity é soprattutto il chitarrismo hard-blues di Cillo (una benedetta mano 'pesante'), in particolare in Waiting All The Time, ossessiva, Luna-Tic, che parte con un riff identico a quello di My Generation degli Who (ah bricconcello!) e poi sfoggia un'entusiasmante performance alla slide.
La 'monotonia' dei rhythm boxes piace anche in TV Screen Watcher, altro brano originale particolarmente 'notturno' ed intrigante, basato su una minimalità armonica che é un pò la caratteristica dei brani di Bob, eccezione fatta forse solo per Rising Rust, basata su un giro 'epico' super-sfruttato ma sempre fascinoso.
Decisamente migliori quindi i brani autografi con Del Noce delle due covers, These boots are made for walking (Lee Hazlewood) e Mad man blues (J.L.Hooker), sbiadite e prive di mordente, due episodi in cui l'idea alla base di D.T. non cattura attenzione e sensi.
Va molto meglio invece nella terza cover, I Asked for water, She brought me gasoline (Tommy Johnson) che apre il disco, paludosa e 'rugginosa', dove pare materializzarsi il fantasma famelico di Howlin' Wolf, uno dei brani (gli altri sono Bad thoughts about Irene e TV Screen Watcher) dove Marco Del Noce, buon armonicista, riesce ad essere più espressivo ed efficace vocalmente: ottima l'idea di cantare nel microfono dell'armonica, espediente usato in tutti i nove brani, che sortisce un effetto 'torbido' di straniamento.
Altrove la sua voce, piuttosto esile ed anonima, non riesce ad essere funzionale all'ipnoticità ed alle atmosfere 'malate' trasmesse dai brani, rendendo l'esperimento dei Dirty Trainload riuscito solo a metà.
Davvero bella l'artwork 'notturna' di Benjamin Guedel, efficace ed azzeccata la grafica di Paolo Tempesta, entrambe funzionali al mood dei brani.

P.S. : Rising Rust si può richiedere nella pagina My Space dei Dirty Trainload.

www.myspace.com/dirtytrainload
http://www.dirtytrainload.com/

PASQUALE BOFFOLI