Nel settembre del 1970 Jimi lasciò questa terra. Di lì a poco iniziò lo sfruttamento dell’enorme mole di lavoro finita su nastro, la sua eredità artistica ed umana. Vennero pubblicati dal suo establishment di allora – ovvero, in sostanza, dal manager Michael Jeffery – "The Cry Of Love" (marzo 1971), "Experience" (agosto 1971), "The First Great Rock Festival Of The Seventies: Isle Of Wight/Atlanta Pop Festivals" (settembre 1971), "Rainbow Bridge" (ottobre 1971), "Isle Of Wight" (novembre 1971), per giungere quindi al disco che qui ci occupa. A scorrere le date delle pubblicazioni non vi è alcun dubbio che si mise allora in moto un meccanismo, perlomeno discutibile, di sfruttamento intensivo e a breve termine del materiale in studio e dal vivo di Hendrix. Nel corso di questa convulsa operazione discografica sorse presto l’esigenza di confezionare un disco che raccogliesse gli episodi più eclatanti dell’artista nella dimensione live. Apriamo doverosamente una parentesi. In studio Hendrix era lanciato verso forme sempre più ardite di sperimentazione. Dal vivo quest’aspetto, che rende l’intera sua opera a dir poco straordinaria, trovava una naturale continuazione. Niente di meglio delle stesse parole del chitarrista, ricordate nelle liner notes che accompagnano questa riedizione di “In The West”, per chiarire questo aspetto:
“Amo essere su un palco. Amo suonare. Ecco perché suoniamo così ad alto volume, perché ci fa sentire bene. So esattamente cosa sto facendo quando siamo sul palco. Se il pubblico non lo capisce, beh, non so, non c’è nient’altro che possiamo fare. La musica è tutto ciò che riguarda questa cosa. Non siamo noi tre lassù di fronte a cinquantamila persone. E’ il suono che produciamo che è importante. E’ tutto spirituale”
Non ci sarebbe altro da aggiungere. Da un lato i volumi impossibili da reggere con cui Jimi suonava sul palco gli permettevano, chitarristicamente parlando, un sustain ed un’espressività uniche, dall’altro la sinergia con gli altri due membri del gruppo (la Experience, ma lo stesso si può dire della Band Of Gipsys) creavano un unicum sonoro ed emozionale irripetibile. E il devoto hendrixiano – chi scrive, per esempio – potrebbe passare ore ed ore a confrontare le diverse esecuzioni dal vivo dello stesso brano: ogni volta un’avventura diversa, ogni volta paesaggi sonici in continuo divenire. Per tornare alla vicenda di In The West, l’obiettivo che si era proposto l’establishment di Hendrix era di creare un album che condensasse al meglio questa magica dimensione dell’artista dal vivo (un qualcosa di simile fece Alan Douglas pubblicando nel 1982 il doppio LP "Concerts", uno dei migliori dischi editi sotto la sua “gestione”, per certi versi anche superiore a questa raccolta). I brani selezionati per l’edizione originale di In The West furono:
Johnny B. Good (Berkeley 30.05.1970, primo dei due spettacoli),
Lover Man (Berkeley 30.05.1970, secondo spettacolo),
Blue Suede Shoes (Berkeley 30.05.1970, prove pomeridiane),
Voodoo Chile (Slight Return) (Londra, Royal Albert Hall 24.02.69),
God Save The Queen / Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band (Isola di Wight 30.08.1970),
Little Wing (Londra, Royal Albert Hall 24.02.69),
Red House (San Diego 24.05.1969).
Ci si poteva aspettare che l’Experience Hendrix, nel ripubblicare il disco, ne mantenesse la scaletta originaria, ma così non è. Le sorprese infatti non mancano, ed impongono qualche riflessione.
Il cd si apre ora con il medley God Save The Queen / Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band (Isola di Wight 30.08.1970), già presente in "Blue Wild Angel" (2002), il doppio cd curato dalla famiglia Hendrix che documenta interamente la performance del Nostro all’Isola di Wight. Curiosità: l’inno nazionale inglese che Jimi nell’occasione stravolse in omaggio all’audience presente al festival è indicato solo come The Queen. Chiaramente, come si vedrà, nell’assemblare questo cd non si è tenuto conto di una cronologia delle esecuzioni, badando più che altro alla godibilità della scaletta. Di seguito, la prima sorpresa. Al posto della Little Wing eseguita a Londra alla Royal Albert Hall è stata inserita l’esecuzione, altrettanto splendida, al Winterland di San Francisco del 12 ottobre 1968. La canzone, come la successiva Fire, era stata selezionata per un film sulla performance della Jimi Hendrix Experience alla Royal Albert Hall. Ma visto che la realizzazione del progettato film stentava a decollare, i due brani vennero inseriti su decisione di Jeffery in In The West. Da notare che non avrebbe avuto senso per la famiglia Hendrix riproporre in questo disco le due esecuzioni alla Royal Albert Hall, posto che corrono voci dell’imminente pubblicazione in DVD del film incentrato su detta performance. Segue quindi un trittico a dir poco esplosivo.
Una I Don’t Live Today con una parte centrale noise strepitosa; una versione inedita di Spanish Castle Magic - una delle composizioni più straordinarie di Jimi, in cui rifulge tutta la sua genialità di autore oltre che di chitarrista - con solo di chitarra superlativo e funambolico assolo di Mitch Mitchell alla batteria; infine quella che dai più è considerata la migliore esecuzione di Red House, l’omaggio di Jimi al blues, tratta dal concerto alla Sports Arena di San Diego (nell’assolo Hendrix inventa cose dell’altro mondo!). Abbiamo quindi tre brani tratti dai concerti al Berkeley Community Center, già presenti nell’edizione originaria dell’album. Johnny B. Goode è l’omaggio di Hendrix a Chuck Berry, uno senza del quale il rock forse non esisterebbe neppure. Lover Man è un cavallo di battaglia da palco. Sorprendente è la versione di Hendrix di Blue Suede Shoes, il classico di Carl Perkins. Registrata nel corso del sound check del pomeriggio del 30 maggio, trae origine da una jam per prendere poi la forma del noto brano, rivisto, naturalmente, in chiave hendrixiana. Chiude l’album il manifesto sonico di Jimi, Voodoo Child (Slight Return), tratto sempre dal concerto di San Diego (a conti fatti, uno dei migliori in assoluto di Jimi). Qui, veramente, non ce n’è per nessuno.
Considerato che la maggior parte del materiale è già stato edito dalla Experience Hendrix, verrebbe da chiedersi il senso di questa riedizione dell’album. A parte che le versioni inedite di Spanish Castle Magic, Fire, I Don’t Live Today e Voodoo Child (Slight Return) valgono da sole il prezzo del biglietto anche per lo sfegatato fan, se non avete mai approcciato l’Hendrix su palco questo è il disco ideale per saggiare la vostra propensione ad immergervi nel magma incandescente di una sua performance live. Spettacolare la rimasterizzazione effettuata da George Marino nei suoi Sterling Sound Studios, che ci restituisce al top queste straordinarie esecuzioni. Nel booklet di 24 pagine, al solito, belle foto e liner notes di John Mc Dermott. E’ di questi giorni la pubblicazione di un box di 4 cd con le esecuzioni al Winterland di San Francisco. Possiamo allora giocare a indovinare le prossime mosse sul versante live della Experience Hendrix. Cosa manca ancora? Chi scrive vorrebbe vedere pubblicato il concerto al L.A. Forum del 25 aprile 1970, quello al Festival Pop di Atlanta del 4 luglio 1970 e il concerto tenutosi al Madison Square Garden di New York il 18 maggio 1969, detto dai fan “The Symphony” per lo straordinario sustain che Hendrix trovò per la sua chitarra in quell’occasione. I sogni son desideri. Sogniamo e attendiamo fiduciosi.
Ruben
Jimi Hendrix
Jimi Hendrix - Hendrix In the West EPK
Hendrix - In The West 1972 - Red House
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