Confesso che l'interesse per questo disco mi è nato quando sono venuto a conoscenza del fatto che al basso figurava Massimo Pupillo, reduce dall'esaltante e, purtroppo, conclusa, esperienza con i tellurici, fantastici Zu. Bene, l'effetto della musica degli Obake (una specie di misto tra fantasma e zombie, in giapponese) sui sismografi è senz'altro paragonabile a quello degli Zu, ma, invece di affondare profonde radici nel free jazz, qui il tema svolto ha per titolo: “cosa possono combinare quattro scriteriati, dotatissimi musicisti alle prese con il metal”. Intanto, detto di Massimo Pupillo al basso, presentiamo gli altri componenti del quartetto: alla chitarra Eraldo Bernocchi, uno che ha collaborato con gente del calibro di Bill Laswell, Jah Wobble, Toshinori Kondo, tutta gente che ha surfato tra i generi e sempre con grandi risultati, ha composto colonne sonore (per Gabriele Salvatores, mica per qualche corto underground), ha prodotto l'ottimo album solista di Raiz e, per finire, è ingegnere del suono e socio della Rare Noise. Alla batteria l'ungherese Balasz Pandi, che ha picchiato sui tamburi con Merzbow, Venetian Snares, Wormskull e Kilimanjaro Dark Jazz Ensemble, oltre ad aver sostituito Jacopo Battaglia negli Zu. Alla voce e agli aggeggi elettronici Lorenzo Esposito Fornasari, uno che ha frequentato spesso Bernocchi, con cui ha lavorato per il progetto Ashes, con Bill Laswell e Raiz, ma che vanta collaborazioni piuttosto eterogenee, dai Quintorigo a Cristina Donà, un tipo eclettico, quindi. Cosa viene fuori dall'incontro di questi quattro musicisti dunque? Ne scaturisce una miscela “difficile”, qualcosa che potremmo chiamare “avant metal”, che aggredisce l'ascoltatore con frequenze basse prepotenti, ultradistorsioni e feedback, voce che spazia dal sepolcrale all'etereo, il tutto a velocità ridotta, scandita da una batteria potente e creativa, come accade nei primi tre brani, Human Genome Project, Dog Star Ritual e The End Of It All, e, in seguito, in Ponerology, The Omega Point, Destruction Of The Tower, ma che sa anche pescare nello sperimentalismo quasi ambient (Szecheny, Letter To Ghost, la gelida Endocrina Pineal Gland). Il disco termina con l'agghiacciante Grandmother Spider, che ci proietta in uno scenario apocalittico, da film “postatomico”. L'ascolto dell'intero album lascia quasi senza fiato dopo una cinquantina di minuti di aggressione sonora, ma ci conferma che, al momento, è spesso musica classificata come “metal” a rappresentare quella che, a buon diritto, in questo caso, possiamo chiamare “avanguardia”. Se vi piacciono le sfide, dovete sentirlo assolutamente.
Luca Sanna
Rare Noise Records/Obake/Human Genome Project/The Omega Point
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