La carriera musicale di Bjork si può definire un percorso verso l'astrazione. Dal post punk dei Kukl, passando per il pop raffinato degli Sugarcubes, i variegati primi due album solisti e la sempre maggiore tendenza verso la sperimentazione dei dischi successivi. Questo “Biophilia” è il più ostico dei suoi dischi, dopo il quasi inascoltabile “Medulla”. È un disco assolutamente minimale, con
pochi strumenti a fare da contorno alla voce inconfondibile dell'islandese. Solo voci e arpa nell'iniziale Moon e nella conclusiva Solstice, tastiere scarne in Thunderbolt ed Hollow, elettronica minimale e la “gameleste”, strumento inventato da Bjork (che suona tutto sommato come un carillion) e registrato su un I-pad, come molte altre tracce del disco, nel singolo Crystalline, unico brano dove nel finale c'è un esplosione di violenti breakbeats. Dove appare una sezione di fiati desueti (Cosmogony) disegna anch'essa traiettoria minimaliste. Il disco è un concept dedicato all'amore per la natura, vi sono brani pensati per una collaborazione col National geographic, i testi esplorano il rapporto uomo natura, il mistero delle cose, Virus
è definita come la storia d'amore tra un virus e una cellula. Al disco sono legati i soliti fantasmagorici video del geniale Michel Gondry e alcune applicazioni informatiche: ad esempio nella già citata Virus viene mostrato come l'infezione da virus avvenga realmente. Ci sono come sempre per Bjork collaboratori illustri, qui Matthew Herbert e Damian Taylor, ma nessun duetto con altri cantanti, diversamente dal precedente “Volta”.
Come sempre avviene con Bjork il disco è solo una parte di tutto il lavoro multimediale che culminerà nelle esibizioni dal vivo. Detto tutto ciò, il disco com'è? Difficile dirlo. Il minimalismo estremo di brani come Hollow o Dark matter non lo rende di facile ascolto. Le melodie sono astratte e difficilmente restano impresse. Ci si chiede se questa rarefazione sia una scelta voluta o la difficoltà nello scrivere vere e proprie canzoni, peraltro inevitabile in un'artista che è sulla breccia da molti anni. In definitiva un disco interessante, da ascoltare senz'altro (magari sulle apps di un i-phone o altre diavolerie elettroniche), ma che non farà breccia nel cuore di chi non è già un adoratore della fatina di Reykjavik.
Alfredo Sgarlato
One Little Indian/Bjork
live set
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