Il lungo percorso, ormai cinquantennale e passa, della musica giovane nelle sue mille accezioni riunite sotto il comune denominatore della definizione "Rock" è costellato da decine di artisti fondamentali per capire la storia, i mutamenti, e l'evoluzione degli stili e dei suoni che nel tempo hanno fatto tendenza. Ma una figura chiave, dalla insospettata importanza nel processo creativo della musica, spesso rimane nell'ombra, relegata alle laconiche note di copertina dei dischi, tutt'al più nota agli specialisti di settore o ai cultori di un determinato artista: quella del Produttore Discografico. Chi era costui e come agiva ai primordi del Rock'n'Roll?
Il ruolo del produttore alla metà degli anni ‘50 e' spesso una sola cosa con quello del fonico: la dote di base richiesta era quella di capire e catturare con gli sparuti mezzi tecnici dell'epoca (un paio di microfoni e un registratore ad uno o due canali) tutta l'energia e la carica di un'esibizione istantanea, per forza di cose Live in studio, per poi mixarla in un'unica traccia monofonica, cercando di enfatizzare l'aspetto comunicativo della canzone, fosse essa una languida ballata come Love Me Tender di Elvis Presley o un assalto sonoro come
Train Kept 'a Rolling di Johnny Burnette. Sam Phillips, demiurgo delle prime incisioni di Presley, e Cosimo Matassa, deus ex machina della discografia Jazz e Rock'n' Roll di New Orleans degli anni ‘50, sono fra le figure di spicco dell'epoca, capaci di trasferire concretamente sul nero vinile la rauca e onesta vitalità e purezza del Rock delle origini.
Phil Spector
Ma già nel 1958, seppur nelle provvisorie vesti di musicista teen-ager, autore del mega successo To Know Him Is To Love Him, appare sulla scena americana colui che cambierà le regole e, a buon diritto, e' considerato il primo vero rock producer cioè una figura che al pari dell'esecutore possa aggiungere un contributo creativo, scaturito da un'idea, un progetto, una visione sonora, all'esecuzione musicale stessa. Il suo nome è Phil Spector. Musicalmente colto, autore, cantante e strumentista di valore egli stesso, manifesta da subito uno smisurato ego e perfezionismo, e cieca convinzione nelle proprie intuizioni creative, inventando un modus agendi in sala d'incisione poi largamente imitato e uno stile definito "Muro del Suono" (Wall of Sound). A pieno e assordante volume vengono registrati più strumenti dello stesso tipo e genere, comprese le parti orchestrali, a formare un tessuto sonoro denso e compresso dall'impatto prorompente, con largo uso di effetti quali eco e riverbero che creano spazialità e profondità.
Su queste basi si inseriscono melodie vocali e ritornelli semplici e accattivanti ma sempre scrupolosamente eseguiti da cantanti e coristi costretti da Spector a ripetere le parti dozzine di volte, all'estenuante ricerca dell'esecuzione perfetta. La formula funziona a meraviglia e nei primi anni ‘60 una lunga serie di successi testimonia l'efficacia della visione wagneriana di Spector e del suo fido arrangiatore Jack Nitzsche: una tempesta sonica dai crescendo impetuosi che lascia il segno nella mente dell'ascoltatore.
George Martin
Sull'altra sponda dell'Atlantico nel frattempo, i giovani talentosi Beatles si avvalevano della assistenza creativa di George Martin che, in particolare dall'album "Rubber Soul" (dicembre 1965) in poi, diventa de facto in studio il quinto elemento della band. Proveniente da studi classici, ma con un'apertura mentale e una curiosità sonora assoluta, Martin avrà il doppio merito di curare egregiamente l'aspetto tradizionale della pulizia e brillantezza acustica delle incisioni dei Fabs e al contempo di capire, assecondare e realizzare le intuizioni estreme, innovative e follemente sperimentali dei baronetti di Liverpool.
La comparsa di strumenti alieni alla tradizione dei dischi rock, le tecniche di registrazione inusuali o di nuova invenzione, l'incisione di parti strumentali eseguite al contrario, i collage sonori da frammenti casuali di nastri magnetici, e la richiesta continua di produrre sonorità ed effetti mai sentiti da parte dei Beatles avrebbero messo a dura prova personalità ben più navigate, ma George Martin con geniale creatività e spirito pionieristico semplicemente realizzò le magie tecniche richieste, valorizzando i quattro Beatles al massimo delle loro possibilità e mettendo alla prova egli stesso la propria competenza sulle macchine di studio e la propria immaginazione di arrangiatore per i capolavori che tutti conosciamo. L'impronta indelebile lasciata da Martin nella storia della produzione discografica e' quella di chi riconosce e apprezza la statura dell'artista con cui collabora e il valore in nuce di una composizione, mettendo la propria esperienza tecnica e il proprio giudizio critico a servizio della canzone stessa, senza imporre all'artista una propria visione prestabilita, ma collaborando fino a trasformare l'idea iniziale in un classico senza tempo.
Jimmy Miller
Accanto al nobile pop sperimentale che di lì a poco virerà nella psichedelia sulla scia dei Beatles, l'altro stile musicale dominante nell'Inghilterra del 1966 era basato sulle serrate ritmiche del rhythm and blues, ormai metabolizzato e modernizzato dalle migliori band britanniche dell'epoca.
La componente ritmica, il beat primitivo e viscerale che invita al ballo, al divertimento e al rituale della socializzazione fra i sessi è alla base del Rock fin dalle origini, e con il progresso delle tecniche e apparecchiature di registrazione in stereofonia sul finire degli anni ‘60 è possibile finalmente ottenere suoni ben distinti per il basso e la batteria.
Jimmy Miller, batterista, produttore ed arrangiatore di nascita e cultura musicale americana sbarca a Londra nel 1966 e scrive e produce un classico immortale come Gimme Some Lovin', canzone dall'impatto esplosivo e dallo stile percussivo martellante incisa dallo Spencer Davis Group di Steve Winwood; sempre del 1966 è l'altro grande hit single dello Spencer Davis Group, I'm A Man, prodotto da Jimmy Miller, un altro classico senza tempo. Negli anni a seguire Miller collaborerà, fra gli altri, con i Rolling Stones e i Traffic segnandone profondamente le sonorità e le attitudini stilistiche.
Il suo approccio e' precisamente quello di enfatizzare le parti ritmiche, il battito della Madre Terra, mediante l'inserimento di diversi tipi di percussioni, di varia provenienza geografica, che oltre a creare swing variano e colorano le tessiture armoniche, creando una sorta di "musica etnica", tre lustri prima che questa definizione fosse coniata. Il suono delle sue produzioni coinvolge istantaneamente sul piano della vibrazione corporea, si segue il ritmo fino ad essere stimolati al ballo. La collaborazione di Miller con i migliori ingegneri del suono inglesi dell'epoca, Glyn Johns ed Eddie Kramer, veri maestri della complessa arte della microfonazione di studio, rende inoltre i suoi lavori ricchi di calore nella resa degli strumenti acustici (chitarre acustiche e pianoforte) e ci regala un suono di batteria ben definito, corposo e difficilmente migliorabile. Molti altri personaggi di spicco e di genio caratterizzeranno le produzioni discografiche dei decenni successivi, ma quasi tutti, fosse anche in maniera inconscia e subliminale, attingeranno alle diverse lezioni stilistiche, concettuali e tecniche dei tre caposcuola qui celebrati.
APRITE LE VOSTRE ORECCHIE
Phil Spector
The Ronettes: "Be My Baby", (singolo, 1963): insieme al gemello Baby I love You l'epitome del "muro del suono" spectoriano, impatto sonoro devastante con voci femminili melodiche e coretti dalle parti del paradiso.
The Righteous Brothers: "You've Lost That Loving Feeling", (singolo, 1964) ripete la formula con un gruppo maschile, la durata inusuale oltre i 4 minuti ne fa una piccola sinfonia da tasca.
Ike &Tina Turner: "River Deep, Mountain High", (singolo, 1966), la sua produzione più ambiziosa e perfetta, ma il muro del suono qui si espande fino a diventare prigione: dopo il flop di vendite Spector si chiuderà per anni in un isolato, deluso e paranoico ritiro spirituale nei meandri delle proprie ossessioni.
George Martin
The Beatles: "Rubber Soul" (album 1965), dove la musica giovane diventa adulta: qui si fa sul serio, l'ambizione artistica prende il sopravvento sulla innocente Beatlemania, e la critica mondiale la legittima.
The Beatles: "Revolver" (album 1966), ormai il confine stilistico e' legato solo alla libertà e al coraggio della propria creatività e alle esplorazioni ed invenzioni mentali e tecniche perpetrate in studio.
The Beatles: "Sgt.Pepper" (album, 1967), insieme a "Pet Sounds" dei Beach Boys l'album che definisce, riassume e caratterizza la nuova avanguardia giovanile degli anni ‘60.
Jimmy Miller
The Spencer Davis Group: "Gimme Some Lovin'"/Blues In F (singolo 1966)
The Spencer Davis Group: "I'm A Man"/I Can't Get Enough Of It (singolo 1966). Due canzoni da ballare fino all'oblio, primi esempi del connubio Milleriano fra tradizione Rhythm and Blues e futuribili passi etno-dance.
The Rolling Stones: "Beggars Banquet" (album 1968): Miller inaugura il suo sodalizio con gli Stones riportandoli sugli antichi binari del Blues delle origini, meravigliose tessiture acustiche, country blues d'altri tempi, ma anche il manifesto rock-samba Sympathy For The Devil e la rabbia barricadera di Street Fighting Man.
The Rolling Stones: "Let It Bleed" (album 1969): la formula e' simile, ma la visione acquista tinte gotiche negli intrecci ritmici di chitarre blu notte, romanticismo da vita on the road, nei polverosi soul-blues e maestoso lirismo nel gospel pagano You Can't Always Get What You Want.
Traffic: "Mr.Fantasy" (album, 1967)
Traffic: "Traffic" (album, 1968) (No Time to Live)
Andrea Angelini
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