venerdì 10 dicembre 2010

BRUCE SPRINGSTEEN & E STREET BAND: Live Hammersmith Odeon. London 1975 (Columbia/Sony BMG, 2006)

Questo fine 2010 per gli appassionati inguaribili fans del grande Bruce Springsteen è stata una vera epifania prima del tempo: prima il doppio cd "The Promise" con 21 brani inediti registrati tra il 1976 ed il 1978, subito dopo l’uscita di "Born To Run" nel 1975 e sino alla registrazione del magnifico "Darkness In The Edge Of Town" nel 1978.
Poi "Darkness In The Edge Of Town/The Promise", 3cd/3dvd contenenti tra l’altro tutti i brani risalenti alle sedute di registrazione di Darkness e rimasti nei cassetti.
Infine, dolcissima ciliegina sulla torta il dvd/cd "London Calling Live In Hyde Park" catturato il 28 Giugno 2009 durante l’Hard Rock Calling Festival: ma di tutto questo parleremo quanto prima.
Che disco va a ripescare il buon/passionevole Ruben proprio in questi giorni per una stranissima coincidenza? La prova inconfutabile dell’inossidabilità di Springsteen, uno dei più grandi live di tutta la storia del rock, la cartina al tornasole della passionalità viscerale che ha sempre caratterizzato l’artista ed il rocker negli ultimi 35 anni ...ladies and gentleman: (wally)



BRUCE SPRINGSTEEN & E STREET BAND, Live Hammersmith Odeon. London ’75 (Columbia/Sony BMG, 2006)

Come si fa a descrivere l’emozione di un concerto, anche se filtrata dal supporto digitale?
Non è come analizzare un album realizzato in studio, nella dimensione live infatti giocano elementi diversi ed imponderabili. E se poi si tratta di QUESTO concerto?
Se Dave Marsh nella sua celebre biografia Born To Run (“Nato per correre”, Gammalibri, 1983) temeva che la sua rievocazione delle gesta springsteeniane risultasse ai lettori l’orazione di un fanatico, noi non temiamo di cadere nella trappola, anzi dichiariamo subito, e senza mezzi termini, che queste righe lo sono.
Emozionati come pochi il Boss e la sua Band, la E Street Band al loro primo sbarco oltreoceano, in quella Londra del 1975. Sul palco devono tirano fuori l’anima: la vecchia Inghilterra va conquistata a suon di rock and roll, sono qui proprio per dimostrarle che questa forma d’arte è ancora viva e vegeta. Ci riusciranno.
Il disco si apre con Thunder Road, una delle poche canzoni al mondo con una melodia mai uguale a sé stessa lungo tutto il brano, dove i termini tradizionali di strofa e ritornello non hanno più senso. E’ un fluire magistrale di note che sembra non arrestarsi mai. E questo è solo l’inizio. Roy Bittan suonerà per tutto il concerto in modo strabiliante, in ogni canzone, fino all’ultima nota.
Ogni pezzo viene interpretato dalla band con un’energia e una velocità pazzesche, vien da chiedersi se non sia accelerato il nastro…
E’ l’urgenza espressiva che qui non ha limiti: bisogna arrivare subito al cuore e i ragazzi sul palco lo sanno. Vogliamo parlare di questa enorme (in tutti i sensi) band? Max Weinberg (insieme a Charlie Watts) è la sintassi del rock & roll tradotta per la batteria, potenza e tiro illimitati; Gary Tallent al basso è un macigno; Danny Federici - il compianto Federici - col suo organo elettrico è l’amalgama che unisce lo spettro sonoro; Stevie Van Zandt il ricamatore alla chitarra e Clarence Clemons… beh, Clarence è Clarence: sassofonista di una potenza indescrivibile, bisogna solo sentirlo suonare.
E poi c’è Bruce… Di questi tipi qui, potete crederci, non ci si stanca mai. Perché un brano come Born To Run, eseguito da loro, è il vero inno americano (quello ufficiale solo nella versione di Jimi Hendrix può competere). Perché quando le chitarre del Boss e di ‘Miami’ Stevie duettano nel finale di It’s Hard To Be A Saint In The City vedi la grinta personificarsi sulle assi del palco, perché Backstreets è una composizione che fa capire quanto può essere grande la Musica, quella scritta ed eseguita con la M maiuscola.
Perché ascolti Jungleland e rivedi come in un film tutta la tua vita, non importa qual è stata, le vite si assomigliano un po’ tutte e il dono che hanno gli artisti come Bruce è di farcele comprendere, come se ogni volta ci ponessero uno specchio davanti e ci dicessero: “Guardati”. Perché Rosalita (Come Out Tonight) è la più grande festa mai messa in musica, è la Gioia cristallizzata in note e parole. E se poi avete dei dubbi sull’italianità del Boss, ascoltate 4th Of July. Asbury Park (Sandy), e sentirete nel refrain come il melodramma, la nostra tradizione musicale, scorra copioso nelle sue vene.
Che dire poi delle appassionate, romanticamente frastagliate, Spirit In The Night e Lost In The Flood (tratte dal magnifico primo album "Greetings from Asbury Park, N.J. -1973/Columbia" – come It’s Hard to Be a Saint in the City), vissute sul palco con meravigliosa visceralità!
In chiusura l’orgia rock and roll del Detroit Medley, l’intimità di For You e il gran finale classico di Quarter To Three.
Springsteen ha preso la grande lezione del rock and roll e le ha fatto fare un passo avanti. Come, in altro ambito, Miles Davis ha preso quella del jazz e le ha fatto fare uno, o forse due, passi avanti. Queste cose riescono solo ai Grandi. Sempre grati al dio della musica che ci ha dato la possibilità di ascoltarli.

Ruben

Springsteen & The E Street Band, Hammersmith Odeon London 1975
Carol
It’s Hard To Be a Saint in the City
Every Time You Walk in the Room

1 commento:

riverman206@yahoo.it ha detto...

Come nel caso di Tim Buckley con Dream letter anche con il Boss la Columbia ha dimostrato una cecità incredibile. ma cosa aspettava a pubblicarlo:
Il Miglior Boss della Storia, un live impressionante per registrazione, esecuzione, calore, scelta dei pezzi, FANTASTICO , INCREDIBILE, confrontatelo con l'ultimo London Calling per sentire la differenza (abissale)..
Mi viene il dubbio che il Concerto non sia completo , di solito il Boss suonava 3 ore e più...(un doppio cd ne dura massimo 160 minuti)o sto vaneggiando?