con le sue armonie pop-punk di derivazione buzzcockiana che riportano la mente e le orecchie alle derive melodiche del primo punk inglese (il cosiddetto ‘Human Punk’: oltre. ai Buzzcocks è d’obbligo menzionare certe prove più pop dei Generation X), tutto incentrato su ritornelli che sembrano scritti apposta per rimanerti fissati nella mente We see red, il pezzo che apre il disco spiattella nelle orecchie dell’ascoltatore dove il gruppo vuole andare a parare: la ricetta è ben sperimentata, e combina velocità e melodia, in un incrocio perfetto tra (morbida) cattiveria e leziose armonie da pop britannico da manuale. Il disco non è privo di momenti più rilassati, che sfiorano lateralmente certo folk di matrice classica, vedi l’ottima ballata acustica Cowboys and indians tutta chitarra e tamburello, realizzata nella migliore tradizione cantautorale d’oltreoceano (ma che strizza l’occhio anche a certe esperienze folk rock inglese, così come Your time). Tra i momenti più soft è d’obbligo menzionare anche TV Screen, una breve scheggia sonora in cui l’ossatura acustica viene rotta da una chitarra elettrica che rimarca gli accenti del ritornello. Non sono estranei neanche alla lezione dei Clash della maturità gli Spivs, basta ascoltare pezzi come 15 minutes, People come and people go, What’s the use o la title track che portano impresso a fuoco il marchio di Strummer e soci, specie nelle parti cantate e in certi riff di chitarra. In altri episodi poi, Victim of choice o Flickin’ V, si sentono anche certe influenze del british garage contemporaneo: immaginate, per farvi un’idea, una versione più easy listening e meno lo-fi di Billy Childish & The musician of the British Empire. Certo non è un ascolto che ti cambia la vita, tutto sa di già sentito, e neanche una volta sola, ma il disco scorre fluido e si arriva fino alla fine con un certo piacere, e soprattutto con molto divertimento.
Luca Verrelli
DamageGoods/Thee Spivs
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