giovedì 31 marzo 2011

THE MOODY BLUES: "Dal Beat al Prog Sinfonico" (1965-1972)

Intro: melodia e classicità nei Moody Blues

E' arrivato il momento di sdoganare anche i Moody Blues, cercando (!) di sconfiggere l'ostracismo di cui sono stati vittime per lunghissimo tempo? Si tratta di un triplo punto interrogativo: naturalmente io e tanti come me (come il coautore di questo articolo Gianluca Merlin) da sempre fans 'seriali' dei Moodies speriamo di sì, anche perché le loro pagine migliori le hanno scritte ormai da tempo; Justin Hayward, John Lodge, Graham Edge, Mike Pinder, Ray Thomas vivono di rendita ormai da anni ed anni e non si capisce cosa bisogna aspettare per assegnare nella storia del rock e della musica progressiva del ventesimo secolo il posto d'onore che loro compete negato o sminuito troppe volte nel corso di 40 anni e più da compiaciuti critici situazionisti figli dell'estetica punk e della sua aberrante logica negazionista tirata allo spasimo!
So benissimo che a qualcuno potrò sembrare un nauseabondo 'Giuliano Ferrara' del rock, un restauratore da condannare all'electric chair, e so altrettanto bene che queste parole 'acritiche' da Moodies-dipendente susciteranno qualche (o forse molte!) polemica, soprattutto da parte di chi ha una concezione della musica occidentale quale 'work in progress' inarrestabile che fa tabula rasa (o quasi) di concetti ritenuti obsoleti quali la melodia, l'armonia e tende a trasferire nel rock, nel post-rock o in quello che di essi rimane tutte le tensioni, le lacerazioni, le 'distorsioni' del mondo contemporaneo. Certo, questa é la 'sacrosanta' missione di quella che una volta veniva designata come cultura 'alternativa', portata a termine di volta in volta da 'crazy heads' quali Pere Ubu, Germs, Ornette Coleman etc...; ma se guardiamo un attimo all'odierno panorama internazionale ci accorgiamo che questo 'politically correct', figlio (paradossalmente) della cultura giovanile antagonista degli anni '60 e '70, é rimesso in discussione (ed ormai da parecchio) da quegli artisti davvero 'liberi' nella loro ispirazione, e sempre più spesso il concetto di melodia (seppur obliquamente intesa ed 'omogeneizzata' al sentire dei nostri giorni) va a braccetto con quello della sperimentazione. Caduta dei clichés? Direi proprio di sì, di qualsiasi tipo, ed era ora. Ed allora ci chiediamo: può un magazine come Distorsioni render conto ai suoi lettori di tutti i fermenti che agitano la scena attuale e contemporaneamente far lavoro di appassionata 'archiviazione'/riproposizione delle indimenticate/indimenticabili pagine rock e musicali (da quelle più corrosive e ribelli a quelle esteticamente innovative) delle decadi e del secondo millennio trascorsi? A qualcuno sembrerà forse una velleitaria utopia, ma é proprio quello che Distorsioni sta cercando di fare, conciliando ciò che molti addetti ai lavori, magazines cartacei ed online (a nostro parere immaturamente e con 'tragica' ortodossia militante) continuano a voler contrapporre! Seguendo questa 'convinta' linea editoriale, The Moody Blues sono solo i primi di una lunga serie di bands ed artisti che vogliamo 'cristallizzare' per sempre nella loro magnificenza atemporale, e riproporre soprattutto alle nuove generazioni, perché (e sono parole che vado dicendo da sempre) la vera arte e musica di qualità non sono qualcosa che si consuma e si getta nel cestino dei rifiuti ad ogni trend sopraggiunto, ma materia viva e pulsante che diventa e ridiventa antagonista ogni volta che rispunta (o la facciamo volutamente rispuntare) orgogliosamente dal suo angusto 'corner of time' per sconfiggere la stupidità e l'inconsistenza di quello con cui i media tentano di violentarci e frustrarci ogni giorno. Il compito di assolvere questa nobile funzione é affidato in questo caso ai Moody Blues ed al loro incredibile saper costruire 'cattedrali' di melodie classiche di cui vi faremo ampio omaggio in questa sede: sono un potente antidoto (credetemi) alla superficialità ed alla grettezza estetiche dei giorni che viviamo. Quello di cui parleremo in questo articolo é il periodo d'oro dei Moody Blues e della loro vena ispirativa, circa 8 albums, dal 1965 al 1972: ci riserviamo di trattare il 'meno ispirato' seguito della loro carriera in un secondo articolo (wally boffoli).


The Moody Blues- Il periodo beat (1965-1966)

Inventori di un genere che ha dato il La ad un movimento complesso e sfaccettato, esploratori del sogno, i Moody Blues possono vantare una carriera ultraquarantennale che li ha proiettati nell’olimpo del prog rock, con dischi meravigliosi che ancora oggi emozionano. Ma la band inizialmente si forma nel 1965 in pieno Beat dall’incontro tra il cantante (e successivamente anche flautista) Ray Thomas e il pianista Mike Pinder a Birmingham. Ex componenti del gruppo El Riot & The Rebels, dopo essersi persi di vista per qualche anno, si ritrovano e decidono di dare vita ad un nuovo gruppo che unisca il Beat alla passione per il Rythm and Blues. Assieme a loro si uniscono Denny Lane alla chitarra, Clint Warwick al basso e il batterista Graeme Edge. Così sistemati firmano un contratto con la Decca Records e incidono nel 1966 “The Magnificent Moodies” . Un disco figlio dell’epoca beat, ancora oggi atipico e caso unico nel sound dei Moody Blues, ma che porterà loro fama e concerti tra Europa e Stati Uniti. Riprese di pezzi Rythm and Blues e Blues come Bye Bye Bird , I’ll go Crazy e soprattutto Go Now, brano che li rende noti, e le prime composizioni proprie firmate dalla coppia Laine/Pinder, un tour che li fa girare Europa e America (dove il disco uscì col titolo “Go Now” e la sequenza dei brani modificata) e apparizioni televisive sono quello che la band riesce a raccogliere, ma ad un certo punto entra in crisi e medita la separazione, successivamente all’abbandono di Denny Lane (sarà poi chitarrista degli Wings di Paul McCartney nei ‘70’s) e Clint Warwick. Al loro posto arrivano John Lodge, che aveva suonato con Thomas e Pinder nella vecchia band, e soprattutto il chitarrista e compositore Justin Hayward, con un passato nel folk inglese. Proprio il suo background sposta il baricentro della band su composizioni tipicamente british e diverrà famosa la Gibson Es 335 color rosso di Hayward, comperata dopo averla vista usare da Chuck Berry. In quel 1966 Mike Pinder, che lavorava anche nell’azienda Streetly Electronics, riuscì a comperare un mellotron, uno strumento a tastiera rivoluzionario che era stato inventato nei primi anni ’60 come sorta di moderna tastiera elettrica da casa che poteva riprodurre i suoni registrati di archi e fiati attraverso una serie di nastri che partivano in base alla pressione del tasto premuto (il nastro durava non più di 8 minuti all’epoca). Pinder esplorò le potenzialità del Mellotron (di cui conosceva ogni segreto, tanto che ad un concerto in America i nastri dello strumento uscirono dalle loro sedi e in 20 minuti riuscì a risistemarli, grazie alla cassetta degli attrezzi prontamente preparata per risolvere tali problemi) e decise di portare questa sua idea al gruppo, che nel frattempo cercava nuove idee per poter far risalire la popolarità. Stimolati dalla casa discografica a comporre della musica sulla sinfonia del nuovo mondo di Dvorak, i Moody Blues cominciarono a scrivere un concept album, ispirati da “Sgt. Pepper” dei Beatles che avevano ascoltato in parte in anteprima dato che Mike Pinder aveva fatto conoscere ai 4 di Liverpool il suono del mellotron, che inclusero nella canzone Strawberry Fields Forever.


Il Prog Sinfonico ed i grandi dischi del periodo aureo (1967-1972)

Nel 1967 esce dunque “Days of future passed”, registrato con la London Symphony Orchestra diretta da Peter Knight. È un concept album dedicato al trascorrere di una giornata e a partire dalla enigmatica copertina si nota che stiamo ascoltando una band differente dagli esordi ingenui. La fusione di pop psichedelico e orchestra, unita alle capacità vocali dei singoli componenti, le chitarre acustiche e il tappeto sonoro generato dal mellotron fanno del disco un capolavoro. Alcuni critici lo considerano ancora ingenuo rispetto a ciò che verrà ma non si può dire che le emozioni non mancano come nella famosissima Nights in white satin, un brano che sa emozionare ancora oggi, con i suoi barocchismi sinfonici e la voce sofferta di Hayward. Persino l’Italia si accorgerà del brano con una versione in italiano dei Nomadi e dei Profeti (Ho difeso il mio amore) e della franco/egiziano/italiana Dalida il cui titolo e testo vengono modificati (il brano andrà a chiamarsi Un po’ d’amore). Oltre al singolo di successo (numero 3 in Uk) stupenda si rivela Tuesday Afternoon, dalle atmosfere notturne e folk. E sono le prime due (di una lunghissima serie) grandissime performances vocali di Justin Hayard, uno degli autori. Tutti i brani sono uniti da un narratore cui fa accompagnamento l’orchestra.
È il primo disco a parlare la nuova lingua definita 'progressive rock' ed esce alcuni mesi prima di Nice e Procol Harum, altri esponenti del nascente movimento che avrà frutti rigogliosi negli anni ’70. Nel 1968 i Moody Blues incidono il loro terzo disco intitolato “In search of the lost chord”. C’è più mellotron e meno orchestra, brani meno lunghi e più canzoni, ma rimane intatta la voglia da parte del gruppo di sperimentare con le sonorità e di parlare la nuova lingua progressivo/sinfonica. House of four doors, The best way to travel, Dr Livingstone I presume, Ride My See-saw: la band non parla più di vita quotidiana ma di voli spaziali, droghe psichedeliche (la citazione di Timothy Leary in Legend of a mind) e di porte della percezione. Viene considerato uno dei loro dischi più completi e ricchi di idee, di armonie e di effetti sonori (il disco viene registrato su un 8 piste, all’epoca un salto in avanti nella tecnologia). Nei dischi successivi il 'maniacale' lavoro in studio rimarrà uno dei punti fermi dei Moodies.
Il 1969 vede la band incidere “On a Threshold of a dream”, che ritorna alla formula del concept album con tema l’esplorazione dei sogni. Lovely to see you e Never comes the day sono i brani più noti, per una atmosfera notturna (tipica ormai della band) che travalica la musica per arrivare dritta al cuore delle emozioni dell’ascoltatore. È un disco molto folk, le cui composizioni sono fortemente influenzate da Justin Hayward e dalla sua fluente ispirazione. Nondimeno Mike Pinder sigla la parte più onirica ed avvolgente del disco, con ampio dispiegamento del suo mellotron: le finali Have You Heard Pt.1 e Pt.2, The Voyage, So deep within You conducono l'ascoltatore nelle spire di un 'trip' nel proprio inconscio, ed é pura magia! Questo é un disco in cui tutti i membri della band sfoggiano una personale e precipua ispirazione compositiva: quella di Ray Thomas é la più classicamente 'english'con Dear Diary e Lazy Day, due ballate che instillano serenità ed equilibrio. John Lodge non si tira indietro, ed é il compositore forse meno lirico, con To Share Our Love e Send Me No Wine.
Nello stesso anno la band pubblica un altro disco : “To our children’s chidren’s children”, inaugurando la propria label, la Threshold. La trama concept è dedicata allo sbarco sulla luna, che all’epoca influenzò moltissimi artisti che ne trassero ispirazione per i loro testi: le musiche dei Moody Blues fyrono usate nelle missioni Apollo e Space Shuttle. I Moodies in questo disco sono in bilico tra composizioni classiche (Candle of life) e pezzi più pop come la stupenda Gypsy, ennesimo maturo frutto dell’inesauribile e crepuscolare vena ispirativa di Justin Hayward, che in questo album firma anche la commovente Watching And Waiting, una delle gemme più splendenti della sua lunga carriera di songwriter. Anche il bassista John Lodge collabora in questo album più corposamente in sede compositiva e sigla (oltre Candle of Life) Eyes Of a Child, divisa in due parti . Da parte loro Ray Thomas e Mike Pinder non si fanno certo pregare e quadrano il cerchio lirico superlativo di To Our Children’s: il primo con Floating ed Eternity Road, Pinder con Sun is Still Shining e soprattutto la metafisica Out and In. E’ un momento magico per i Moody Blues, forse lo zenith della loro carriera artistica, e lo stato di grazia delle loro insinuanti intuizioni melodiche si respira intensamente, stordisce quasi, dalla prima nota all’ultima. È in quel periodo che la band riprende con più regolarità ad esibirsi dal vivo, partecipando a numerosi festival tra cui il Blitzen Jazz in Belgio ma soprattutto nel 1970 il festival dell’isola di Wight, dove suonano verso sera (un’atmosfera cara al gruppo) un set fenomenale e a tratti rock. A fine concerto Ray Thomas pronuncerà la seguente frase “… molti pensano che noi siamo qui solo per i soldi, e non so perché, ma quel che vi posso dire è che quello che ci avete trasmesso questa sera davvero non ha prezzo”.
Il concerto è stato poi pubblicato per intero su cd nel 2008, a testimonianza del set emozionante che la band inglese ha tenuto, nonostante molti pezzi fossero difficili da eseguire dal vivo. In quell’anno esce “A question of Balance”, che dà un taglio al passato e porta la band verso territori più rock. Il disco avrà anche il conforto della classifica in America salendo al n°3 (e numero uno in Uk). Sono canzoni che troveranno più sbocco nei concerti live e faranno intendere sviluppi futuri per il sound della band, che tenderà a velocizzarsi. Inoltre la trama concettuale sarà sostituita da una formula più convenzionale: di questo disco si ricordano, oltre alla fantasmagorica copertina, i brani Question di Justin Hayward e Tortoise and the Hare, scritta da John Lodge. Notevoli anche Dawning Is The Day, It’s up to you (sempre firmate da Justin) e soprattutto il capolavoro Melancholy Man, song triste, affranta, scritta ed interpretata magistralmente da Mike Pinder.
Il 1971 li vede tornare ad un disco più vicino ai precedenti, più classicheggiante ma con dei tratti folk e rock. “Every Good boy deserves favour” ha canzoni veramente stupende come The Story in your eyes, brano rock impreziosito dalle armonie vocali del gruppo. Si respira una atmosfera davvero emozionante, con alcune canzoni unite concettualmente come After you came (scritta da Graeme Edge, dove compare il sintetizzatore al posto del Mellotron) e One more time to live (sorretta da uno stupendo flauto suonato da Ray Thomas).
“Seventh Sojourn”, il disco del 1972, segna la fine dell' epoca aurea dei Moodies, nonostante il disco finisca al numero uno in USA e UK e contenga la straripante I’m just a singer (in a rock and roll band); il classico sound progressivo è sparito e al suo posto c’è un sound molto più rock’n’roll e ‘70’s. Nonostante lo sforzo fatto nei precedenti dischi e la voglia da parte dei Moodies di essere solo ‘una rock & roll band’ abbondano anche in questa nuova opera veri e propri capolavori melodici di straripante ispirazione crepuscolare, confortati nei testi da un'inquietudine esistenziale molto palpabile ma anche da sopraggiunte maturità e saggezza: le vette assolute sono New Horizons ("Ho abbastanza sogni per me, ed abbastanza amore per tre, ho speranze che mi confortano, ho nuovi orizzonti che si affacciano sul mare") e The Land of Make Believe, scritte ed interpretate con il carisma di sempre da Justin Hayward, Lost in a Lost World ("Mi sono svegliato un giorno, stavo piangendo, perduto in un mondo perduto") e When You're Free Man di Mike Pinder. Completano il quadro Isn't Life Strange di John Lodge e For My Lady di Ray Thomas, sempre godibili ma inevitabilmente più di una spanna sotto il livello sublime del binomio Hayward-Pinder. La band sospende l’attività di gruppo sino al 1978 (anno di pubblicazione di "Octave"), proseguendo con dischi solisti.
Riprenderemo il filo del discorso in un prossimo articolo.

Gianluca Merlin e Wally Boffoli

Moody Blues Official Site
Moody Blues

Moody Blues Discography.

The Magnificent Moodies (Go Now - The Moody Blues #1 in U.S.A.,luglio 1965. Decca)
Days of Future Passed (novembre 1967, Deram)
In Search of the Lost Chord (luglio 1968, Deram)
On the Threshold of a Dream (aprile 1969, Deram)
To Our Children's Children's Children (novembre 1969, Treshold)
A Question of Balance (agosto 1970, Treshold)
Every Good Boy Deserves Favour (luglio 1971, Treshold)
Seventh Sojourn (novembre 1972, Treshold)
Octave (giugno 1978, Decca)
Long Distance Voyager (maggio 1981, Polydor)
The Present (settembre 1983, Polydor)
The Other Side of Life (maggio 1986, Polydor)
Sur la mer (6 giugno 1988, Polydor)
Keys of the Kingdom (25 giugno 1991, Polydor)
Strange Times (17 agosto 1999, Polydor)
Journey into Amazing Caves (24 aprile 2001)
December (24 novembre 2003, Universal)
Lovely to See You (2005, Image Ent.)
Live at the Royal Albert Hall with the World Festival Orchestra (2010,Sony Music)

3 commenti:

Jean Antoine ha detto...

Complimenti per l'articolo accurato,appassionato e che rende giustizia a questa band tanto sottovalutata quanto valida ed attuale, sempre in giro per il mondo a tenere concerti.
Autentici gentlemen del rock.
Speriamo prima o poi in un nuovo album!

Pasquale ' wally ' Boffoli ha detto...

grazie Jean Antoine, finalmente un appassionato dei Moodies, siamo pochi sai? Di dove sei? Francese?

Anonimo ha detto...

Complimenti vivissimi, l'articolo non è solo molto bello, è anche ricco di considerazioni interessanti e assolutamente oggettive, nonostante chi le scrive si autodichiari un appassionato dei moodies. Seguo il rock da quando avevo i calzoni corti e non sono mai riuscito a capire il perchè di certi pregiudizi. La musica dei MB ha ispirato tanti altri artisti e riascoltarli è sempre cmq una riscoperta anche dopo tanti anni. vado ogni tanto a sentirli dal vio in UK o in Olanda, non deludono mai. Se pubblicassero un nuovo album ... Ciao, Franco