venerdì 9 dicembre 2011

MOVIES - 29TFF TORINO FILM FESTIVAL: "Cinema e Rock"

Si è svolta dal 25 novembre al 3 dicembre la 29esima edizione del Torino Film Festival (TFF). Nata nel 1982 come Festival Cinema Giovani la kermesse torinese è decisamente cresciuta nel corso degli anni, cambiando in parte la sua fisionomia, anche grazie alle direzioni recenti di grandi registi come Nanni Moretti e Gianni Amelio. Quest'ultimo ha diretto anche l'edizione 2011 del festival che si è dimostrato un grande successo di pubblico, anche per l'eccellente, ma per nulla sofisticata, scelta delle opere in proiezione.
Uno dei filoni significativi della selezione cinematografica della 29 edizione del TFF è stato senza dubbio quello musicale. Scelta azzeccata e probabilmente non casuale nella città che da sempre vanta un certo fermento musicale, soprattutto nella scena underground. Almeno cinque sono stati i film presentati al festival il cui soggetto principale è la storia di un gruppo o di un musicista, reale o immaginario, ma in molti altri film la musica pop-rock era presente sotto forma di colonna sonora o di immagini. A cominciare dal vincitore del festival "Either Way (A Annan Veg)" (Islanda, 2011), notevole opera prima del regista islandese Hafsteinn Gunnar Sigurdsson, considerato dalla critica un erede del Kaurismäki prima maniera, che racconta di due operai impegnati nella manutenzione stradale, accomunati dall'essere il fidanzato e il fratello della stessa donna che in qualche modo sarà al centro della storia, pur non essendo presente fisicamente nel film, che per ricreare l'ambientazione anni '80 ricorre a un sottofondo di musica pop, perlopiù islandese, ma inconfondibilmente dell'epoca. Bad Posture(Usa, 2011) di Malcolm Murray, racconta invece storie di gang americane, tra furti, droghe e amori imprevisti, e le accompagna con una colonna sonora composta da musica indie pop americana. In “Sleepless Nights Stories” (Usa, 2011) il regista Jonas Mekas narra, in forma di episodi montati in sequenza, le sue notti insonni e i personaggi che incontra nella sua vita, con numerosi echi della beat generation, tra i quali compaiono due spezzoni video con Yoko Ono e con Patti Smith.

Cinema e rock: i due film italiani, "Freakbeat" 
"I più grandi di tutti"
Sorprendentemente (ma in modo positivo) dei cinque film a soggetto musicale, due sono italiani. “Freakbeat” (Italia, 2011) di Luca Pastore è un omaggio al beat italiano che conduce lo spettatore in un inedito viaggio tra la musica beat e gli eventi culturali e politici degli anni '60. Il protagonista, un divertente ed eccentrico Roberto Freak Antoni (leader degli Skiantos), accompagna la figlia alla scoperta del beat per un documentario che la ragazzina vuole creare, alla ricerca di un “Sacro Graal” che è rappresentato da una leggendaria traccia registrata dall'Equipe 84 con Jimi Hendrix, un Graal – spiega Freak Antoni - “raro come un veneto che non beve”. Il tono del film è leggero e divertente, nello stile del protagonista, ma il risultato non è banale poiché rivolge agli anni '60 un duplice sguardo, quello di chi li ha vissuti (Freak Antoni, il papà) e quello di chi li scopre oggi (Margherita, la figlia). Bella la scelta del regista di “colorare” lo sguardo della ragazzina e di lasciare in bianco e nero lo sguardo del papà. La narrazione è infatti a diversi livelli: c'è il regista, Luca Pastore, che racconta la storia, c'è Margherita che filma quello che vede per il suo documentario e ci sono spezzoni documentari originali degli anni '60 che vengono inseriti nel film (interviste e video dei musicisti, interviste a gente normale sul fenomeno beatnik e sul “problema” dei capelloni, riprese di serate danzanti in locali e concerti). Lo sguardo dello spettatore a volte coincide con quello del regista, e quindi è spettatore del film, a volte coincide con quello della ragazzina e quindi viene portato all'interno del film. Solo in quest'ultimo caso le immagini sono a colori, nel resto delle scene, quando lo sguardo coincide con quello del regista o del padre, sono in bianco e nero o in bianco e nero colorato, il che dà anche un senso di continuità con i filmati originali anni '60. Com'è ovvio la peregrinazione tra Modena, Correggio e Rubiera, area in cui il film è girato, a bordo del mitico furgoncino Volkswagen Bulli, alla ricerca della registrazione di Hendrix con l'Equipe 84, porterà Freak Antoni a contattare il cantante del gruppo, Maurizio Vandelli, che accoglie padre e figlia nella sua casa. L'intento del film è chiaramente quello di spiegare ai giovani d'oggi cos'è stato il beat italiano e quali implicazioni abbia avuto nella storia culturale italiana. Spiega Freak Antoni nel film come il beat sia uno stato della mente e se sei stato beat lo resti per sempre; è una forma di ribellione alle istituzioni della società, come il matrimonio, la vita incollata alla tv, il consumismo, e in un certo senso vuol dire anche rimanere un po' bambini.
Il confronto con l'oggi nel film è costante e, pur non essendo un esaltazione acritica degli anni '60, è chiarissimo che il punto di vista è che qualcosa ai giorni nostri è andato perso. Dice il protagonista alla figlia: “allora al centro c'era l'individuo, non l'individualismo come oggi”. Freak Antoni cerca i negozi di dischi, i bar e i locali storici dell'epoca che non ci sono più, trasformati in gioiellerie o pelliccerie. E, quando si reca in una discoteca per cercare una persona da intervistare, spiega il tutto efficacemente con una frase: “vedere i ragazzi oggi nelle discoteche è un po' come guardarsi allo specchio ma lo specchio è rotto”. La colonna sonora del film raccoglie ovviamente il meglio del beat italiano: dall'Equipe 84 ai Nomadi, dai Corvi ai Ragazzi dai Capelli Verdi, poi Caterina Caselli, I Bisonti, i Rokes.

Il secondo film italiano a tema musicale del TFF, “I più grandi di tutti” (Italia, 2011), seconda opera di Carlo Virzì, racconta invece la storia di fantasia di una band della provincia livornese, i Pluto, che ha avuto un discreto successo nei circuiti underground alla metà degli '90, e che dopo dieci anni ritorna insieme grazie a un fan che vuole fare loro un' intervista
per la rivista “Sgt. Pepper” e realizzare un video sul gruppo. La storia, in questo caso, è una storia inventata, ma le vicende raccontate sono quelle reali di molte band, e lo sanno bene i protagonisti del film, tutti (tranne Claudia Pandolfi) musicisti anche nella vita reale, come rivelano alla fine della proiezione torinese, a cominciare dai due più noti, il regista che, oltre ad aver realizzato le colonne sonore per i film del fratello Paolo (e di “I più grandi di tutti” naturalmente), è stato membro del gruppo rock livornese degli Snaporaz, e Frankie HI-NRG MC, noto rapper torinese che recita la parte dell'assistente di Ludovico, il fan che riporta insieme i Pluto. I quattro membri dei Pluto si ritrovano quindi, dopo anni in cui avevano completamente perso le tracce gli uni degli altri, tra i vecchi ricordi e le nuove esperienze di vita più o meno sgangherate, per l'intervista con Ludovico che conserva tutta la loro discografia ufficiale e non, oltre a ogni genere di cimelio a loro appartenuto, e sembra saperne molto più della band di quanto gli stessi membri sappiano o ricordino. Il film prosegue con tono scanzonato e ritmo vivace, non tralasciando però di addentrarsi in alcune considerazioni sul mondo della musica, come per esempio il rapporto tra musica commerciale e musica non commerciale. Il film, secondo le parole del regista, presente in sala con tutti gli attori alla prima proiezione al TFF, sarà nelle sale cinematografiche a primavera.

Cinema e rock: i tre film stranieri
I film stranieri a carattere musicale sono dedicati a tre generi completamente diversi. “Intro” di Brandon Cahoon (Usa, 2011) è un film che mette in scena la vita on the road di un cantante folk, David Williams, tra le serate nei locali a volte accompagnato da un'altra musicista, Jeremi Hanson, spesso in posti improponibili in cui il vociare del pubblico (evidentemente poco interessato al concerto) sovrasta la musica, e i paesaggi mozzafiato che il protagonista attraversa nei suoi tour. Vita da musicista sulla strada, appunto, ma dotato di i-phone e i-pod! Gli altri due film hanno un taglio da documentario, pur essendo molto godibili e per nulla pesanti. Il primo, “George Harrison: Living in the Material World” (Usa, 2011), diretto da Martin Scorsese, è dedicato al musicista inglese e ne ripercorre la storia personale e musicale, dai Beatles fino alla sua morte avvenuta nel 2001. Il film è costruito attingendo a fotografie e filmati originali, quindi con interviste e spezzoni di concerti, che vengono alternati a interviste recenti alle persone che in qualche modo hanno conosciuto e condiviso il percorso di Harrison, quali la moglie Olivia e il figlio Dhani, ovviamente Paul McCartney e Ringo Starr, poi Yoko Ono, Ravi Shankar, Pattie Boyd, prima moglie di Harrison e poi moglie di Eric Clapton, lo stesso Clapton, Tom Petty, George Martin e altri manager e discografici. Tre ore e venti di narrazione che ci restituiscono, in maniera decisamente interessante e scorrevole, un ritratto a trecentosessanta gradi del grande chitarrista.
Il terzo “The Ballad of Genesis and Lady Jaye” di Marie Losier (Usa, 2011) è dedicato invece a uno dei personaggi più provocatori della musica industrial e alternativa, Genesis Breyer P-Orridge (vero nome Neil Andrew Megson), e alla sua compagna, Lady Jaye Breyer P-Orridge (alias Jaqueline Breyer). Genesis Orridge è stato il fondatore dei Throbbing Gristle nel 1975, evoluzione del suo progetto teatrale sperimentale precedente dei COUM Transmissions, con i quali proponeva performances dissacranti e provocatorie. Nel 1981 anche i Throbbing Gristle si sciolgono e Orridge insieme al batterista Peter Christopherson, va a formare gli Psychic TV che dureranno fino al 2009, sciogliendosi due anni dopo la morte di Lady Jaye. Il film racconta le vicende artistiche di Orridge ma si sofferma in particolare sul suo rapporto con Lady Jaye, la quale entrerà a far parte degli Psychic TV e condividerà le scelte musicali e di vita, spesso estreme, di Genesis Orridge. Nel loro rapporto, infatti, i due convogliavano tutta la sperimentazione e la provocazione che faceva parte anche della loro vita artistica. Per cominciare, invece di fare un figlio - spiega Genesis - decidono di creare una terza persona che sia il prodotto della loro unione e quindi si sottopongono periodicamente ad interventi chirurgici che hanno lo scopo di renderli più simili fisicamente l'uno all'altra. Una vita davvero ai limiti, ma in fondo un'intensa storia d'amore. In attesa di poter vedere i film del 2011 nelle sale cinematografiche o in dvd, ci auguriamo che il Torino Film Festival mantenga anche in futuro questa linea davvero interessante.
Rossana Morriello



TFF





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