mercoledì 25 maggio 2011

IL REGISTRATORE: “Tape counter reset” (2011, VideoRadio)

La prima cosa che colpisce nell'ascolto di questo disco è la vastissima gamma espressiva che il duo bresciano, che è al secondo full length dopo l'album omonimo di esordio del 2008, riesce a coprire senza perdere una sorta di intrinseca coerenza stilistica. Grazie a una produzione accuratissima e a una compiaciuta maestria nella scelta dei suoni, i fratelli Martinazzi riescono a “tritare” in un unico lavoro le influenze più disparate e a restituire un prodotto dal sapore sempre nuovo che, pur mantenendo uno stile abbastanza definito e una personalità riconoscibile, cambia quasi a ogni traccia. Tape Counter Reset” è soprattutto un disco di atmosfere, che vede una predominanza nettissima della parte strumentale e un uso del cantato finalizzato all'accentuazione di stati emozionali e suggestioni estetiche, con testi scarni e brevi e una timbrica estremamente versatile che può essere carezzevole o abrasiva a seconda della necessità. Si va da immersioni nel trip-rock, condite di chitarre taglienti ed elettronica liquida, a generose dosi di dark-pop, con linee melodiche accattivanti che si sfilacciano e si intrecciano intorno a un tema o prorompono da un tappeto musicale al limite dell'ambient. Si strizza l'occhio a quelle atmosfere scure che imperversavano oltremanica fra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90 e si passa con naturalezza dalle malinconie latineggianti di Shades (1 e 2) al groove deciso e ballabile del singolo Promenade. Il gusto pop, caratterizzato da una solida efficacia compositiva, viene rivestito di volta in volta di abiti diversi e il risultato è che si resta rapiti dalla prima all'ultima traccia, senza che l'attenzione conosca mai un attimo di calo. Questo disco è una galleria fortemente immaginifica di stati d'animo diversi, spesso difficili da afferrare, appena suggeriti e subito abbandonati per dirigersi verso l'estremo opposto. Si viaggia dal funky più acido a pennellate blues appena accennate, da ammiccamenti wave a tirate desertiche, il tutto sempre con un occhio alla cura della composizione, che non viene mai interamente sacrificata allo stile e all'arrangiamento. A volte si ha quasi la sensazione che la padronanza dei mezzi tecnici sfoci nel divertissement, nel puro esercizio di stile, con un certo compiacimento nel padroneggiare più generi, ma è un peccato veniale: se anche così fosse, questi alchimisti del suono se lo possono ampiamente permettere.
Angela Fiore

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