giovedì 21 aprile 2011

ARCADE FIRE: "The Suburbs" (2010, Merge)

In occasione della prossima calata in Italia degli Arcade Fire eccomi rispolverare il loro ultimo disco così, come ripasso. Cominciamo col dire che “The Suburbs” è, innanzi tutto, un disco fatto non solo di suoni ma di parole, parole come kids, parents, city, house, home, town, car tanto care ai nostri che le utilizzano anche qui per descriverci un costante senso di fuga e di distacco da qualcosa o da qualcuno. Infatti, se “Funeral” celebrava il senso delle origini di vicinanza con spirito giovanile e “Neon Bible” batteva l’autostrada in cerca di nuovi suoni e nuovi sogni, “The Suburbs” parla del tornare a casa e scoprire che nulle è come lo si era lasciato. Per assurdo però, sotto il puro profilo musicale, questo è l’album, per quanto possibile, dell’apertura della band canadese al grande pubblico.
Questo lavoro, infatti, si apre ad uno spettro di influenze e di opportunità notevolmente più ampio rispetto al passato come se Butler e Chassagne volessero aprire un varco ideale tra appunto i sobborghi e il centro del mondo. Impronte new wave/electro in Ready To Start, Half Light II e Sprawl II ma anche il punk di Month of May o di We used to wait e le classiche orchestrazioni del gruppo come in Empty Room cantata dalla Chassagne, l’honky-tonk della title track o il folk corale di Deep Blue nonché il bel giro di stampo smithsiano di Suburbam wars con tocco d’originalità finale per la quasi disco Sprawl che quasi non sembra neanche scritta da loro.
Ecco degli Arcade Fire “diversi” dal solito dove l'impressione è che, anche per quanto riguarda la scrittura, il gruppo sia stato un po' restio a scegliere, a selezionare, a ridurre all'essenziale, trascinandosi dietro molto materiale, piuttosto eterogeneo in certi punti, pur di accontentare tutti, ma non per questo parliamo di un disco meno riuscito dei lavori precedenti: sembra davvero di aver raggiunto le vette massime nel riuscire a suonare in modo originale, profondo e sicuramente più accessibile, assicurando picchi magari meno eccelsi rispetto al passato ma certamente più frequenti. Una produzione più asciutta rispetto al passato curata da Markus Dravs (già collaudato in “Neon Bible”), con un balzo nei ricordi di ciascuno di noi in un disco non facile, che potrà lasciare molte perplessità al primo ascolto ma che poi, ai successivi, ti entra lentamente nella mente e nell’anima, 16 tracce (tra intervalli e canzoni multi-parte) che sembrano voler comporre il loro personale “Automatic for the people” unendo ambizioni musicali ad apertura alle masse; un disco che è sonicamente il migliore che si possa ascoltare in giro negli ultimi tempi. Ma, lo spirito innovativo della band ruota a 360° e, se non ci credete, visitate il progetto The wilderness downtown per averne un’idea.
Al momento sono dal vivo una delle migliori band di sempre (forse addirittura migliori degli U2, che hanno utilizzato un loro brano come apertura del Vertigo Tour) e hanno dalla loro il potere dell’evocazione, che riesce a richiamare nella mente di chi ascolta immagini dal sapore cinematografico; propongono inoltre uno dei migliori spettacoli  in circolazione (come testimonia il DVD di un loro spettacolo al Madison Square Garden di New York, diretto da un signore di nome Terry Gillian) dove riescono a proiettare attraverso sé stessi le vite di tutti noi,  muovendoci davvero qualcosa dentro. Gli Arcade Fire saranno in Italia a luglio per due imperdibili date a Milano il 5 ed a Lucca il 9, se siete in zona, consiglio vivamente di esserci.
Ubaldo Tarantino
Arcade Fire
Streaming dell’intero disco

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