Quarantacinque CD singoli con la riproduzione esatta delle antiche etichette dei singoli in vinile, 173 brani di cui almeno 80 non presenti in edizioni ufficiali, un booklet ricco di foto e memorabilia fra cui spicca una intervista inedita alla band assieme al mitico bassista e co-fondatore Bill Wyman, una confezione lussuosa, ovviamente
in tiratura limitata. Oggetto del desiderio imperdibile per qualunque devoto fan non alle prese con il cappio della crisi finanziaria. Dall’alba radiosa della Rolling Stones Records all’onesto presente (con punte di eccellenza) della più grande rock’n’roll band del mondo. I primi dischi sono da brividi. Solchi tracciati con aratri di diamante in cui gli Stones seminano Brown Sugar, Wild Horses, Tumblin’ Dice, Happy, Angie, It’s only rock’n’roll. Capolavori assoluti estratti da album leggendari quali “Sticky Fingers”, “Exile on main street”, “Goat’s head soup”, “It’s only rock’n’roll”. E B-side che raccolgono perle quali Bitch, Sway, Sweet black Angel, All down the line. E’ il periodo che vede Mick Taylor subentrare a Brian Jones, il periodo che vede svanire nel sangue di Altamont i sogni di Woodstock e di un’intera generazione, è il periodo del lusso e degli eccessi, ma anche dell’intuito nell’anticipare tempi e gusti del pubblico dell’intero pianeta con scelte coraggiose che portarono, per un intero decennio, schiere di nuovi fedeli all’altare delle Loro Sataniche Maestà. L’abbandono di Mick Taylor e l’avvento di Ron Wood determinano un’ulteriore evoluzione del suono e dell’immagine. Fool to cry e Hot stuff da “Black & Blue”, ma soprattutto Miss You, Beast of burden e Faraway Eyes tratte dal mai troppo osannato “Some Girls” del 1978, proiettano i Rolling Stones in un nuovo universo musicale giovanile, pronti a sfidare e sconfiggere punk, disco music e new wave non con la rude e superata forza del contrasto, ma con la sapiente e geniale tattica dell’assimilazione. C’è chi fa altro e questo altro piace? Ok, noi facciamolo meglio! Nel primo numero di Rockstar (1980) Carlo Massarini si chiedeva: “Volete vedere che ci ritroveremo qui a parlare tra dieci anni di un nuovo disco dei Rolling Stones?”. Di anni ne sono passati più di trenta e nel frattempo i “ragazzi” hanno avuto modo di regalarci un ultimo capolavoro, quel “Tattoo You”, qui presente con la storica Start me up e le degnissime No use in crying, Waiting on a friend e Little T&A. Dal 1982 in poi la genialità o
l’ intuito cedono più spesso il passo alla routine di livello alto, di rado alla banalità, ma con picchi come la semisconosciuta ai più Almost hear you sight. Anche i singoli, di conseguenza, risultano parte della parabola non più ascendente come un tempo e si infarciscono di remix e dub version o live che lasciano il tempo che trovano. Ma anche qui troviamo schegge incandescenti degne dell’antico splendore. Ascoltate Undercover (of the night) dal vivo, i più fortunati fra noi hanno potuto gustarla fra Brown Sugar e Jumpin’ Jack Flash in un qualche concerto; o Mixed Emotions, Highwire, Love is strong, You got me rocking, I go wild. Straordinaria la parentesi di “Stripped” che con Like a rolling stone diede nuova vita al classico di Bob Dylan. Bellissima l’ultima prova del 2005, quel “A Bigger Bang” qui rappresentato dalle splendide Streets of love e, soprattutto, Rough Justice. E’ un cofanetto da collezionisti. Chi però volesse lo stesso un perfetto quadro sintetico dell’opera omnia degli Stones potrebbe tranquillamente rivolgersi alla Madre di tutte le raccolte: “40 Licks” del 2002 oppure, pensando al periodo Decca, “Rolled Gold”. Resta tuttavia la tentazione di possedere un oggetto che racchiude in sé, esteticamente e sentimentalmente, il film di gran parte della nostra vita.
Maurizio Galasso
45x45s The Singles 1971 – 2006
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