Il suono dei Deflore, nonostante il chiaro riferimento ai Godflesh e alle sonorità industrial dei primi anni ’90, non è mai citazione ed è subito evidente che la loro proposta non è aperta a compromessi o a semplificazioni di alcun tipo: è semmai il risultato di una sperimentazione che trova nell’ibridazione il terreno privilegiato delle proprie ricerche. Non si tratta solo di esplorare le possibili manipolazioni dell’elemento umano da parte della tecnologia, ma di analizzare invece
le coesistenze dell’umano all’interno del meccanico, così come chiaramente rappresentato dall’immagine della copertina di “2 Degrees of Separation”, che raffigura esplicitamente la dualità della condizione “post-umana”. Tutto questo appare più chiaro se si considera che le sonorità industriali non sono esclusivamente il risultato della contaminazione del rumore meccanico all’interno della musica elettronica, ma invece l’espressione diretta del processo meccanico di produzione, cioè l’espressione diretta delle macchine che vibrano, delle ruote dentate che girano, dei corpi meccanici che realizzano movimenti ripetitivi in raggi d’azione limitati. Meccanicità che rimanda necessariamente al corpo umano, alle analogie di organi che pulsano periodicamente, di arti che realizzano movimenti ripetitivi, di pompe ed arterie che veicolano flussi. Non è un caso che tra gli ispiratori della musica industriale vi sia il filosofo Gilles Deleuze, che fu teorico del corpo inteso come macchina desiderante. E’ proprio questa la visione che sta alla base della filosofia musicale dei Deflore. Il concerto scorre via pesantissimo ed è ovviamente imperniato quasi completamente su “2 Degrees of Separation” (Trilogy of Gas e la bellissima Morbo 32), ma è con Contesto e Signal che i Deflore effettuano una
incursione nel più aggressivo e dinamico “Egodrive” (2008, Subsound Records) e poi con Home nel primo e più cupo “Human Indu[b]strial”, (2006, Subsound Records). Quello dei Deflore è certamente un suono visivo, evocato spesso dall’immaginario legato al cinema, tradotto attraverso molteplici e lunghe sessioni di improvvisazione in strutture sonore ibride e stratificate. Tra le maggiori influenze, vi è certamente la visionarietà allucinata ed inquietante di David Lynch, di cui i Deflore più di una volta hanno ipotizzato un impegnativo ma affascinante progetto di trasposizione in musica di alcune delle sue più violente suggestioni. Il concerto è quasi alla fine ed è davvero difficile non rimanere coinvolti dall’energia ipnotica di Industrial Glamour, brano che chiude la serata. Davvero un ottimo concerto per una delle band di rock elettronico più interessanti nel panorama italiano e non solo.
Felice Marotta
Foto di Felice MarottaDeflore My Space
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