peggio della musica degli anni '80: il rock da radio americana, la new age più stucchevole, le colonne sonore dei telefilm d'azione. Come ha scritto Valerio Mattioli: " come ascoltare una vecchia radio a transistor scarica sintonizzata su un programma del 1985". Molti dei rappresentanti del genere sono tornati addirittura a incidere su cassetta. Qualche nome: Ariel Pink, Neon Indian, Nite Jewel, Geneva Jacuzzi, Sore Eros. Un'operazione del genere porta inevitabilmente a chiedersi: che senso ha? Un sociologo degli anni '70 la troverebbe reazionaria, e non c'è dubbio che una fuga nella nostalgia e, oltretutto, di un passato che non è nemmeno reale ma in qualche modo fantasticato (come probabilmente avviene in ogni forma di nostalgismo) non depone a favore del presente e di chi lo abita. Rimane la musica: è valido l'hypnagogic pop? Dipende: se degli anni '80 avete un confuso ricordo infantile o l'eredità dei fratelli maggiori questa musica può anche commuovervi. Se negli anni 80 avevate (come me) circa vent'anni e bazzicavate i territori dell'underground la riscoperta di cose che già all'epoca vi infastidivano vi lascerà alquanto perplessi. Almeno un talento vero però il filone sembra averlo espresso: si tratta di Ariel Pink, il cui ultimo album “Before Today” è uscito per l'etichetta 4AD, simbolo degli anni '80 più dandy e intellettuali (quindi l'esatto opposto di quello che l'hypnagogic pop rappresenta). Le canzoni mostrano una discreta capacità di scrittura e grande capacità filologica, ma gli arrangiamenti li trovo un po' stucchevoli. E veniamo quindi all'altro campione del filone, Neon Indian (Alan Palomo, 24/7/1988). "Era Extrana", nuovo e secondo disco dopo “Psychic chasms” segue i canoni del genere: elettronica povera, suoni da videogame, voce spesso filtrata. Un misto di elettropop ed italo disco come quello di personaggi come Den Harrow o Joe Yellow, che in realtà erano sempre lo stesso, cambiava il fotomodello che li impersonava nel video (un po' come le ragazze di “Non è la RAI”). Un titolo come Arcade blues (il blues della sala giochi) dice già tutto. Però ancora più che in un videogioco ascoltando questo disco ci sentiamo trasportati in un telefilm dove un poliziotto col ciuffone biondo arresta delinquenti dalle spalline imbottite e poi va a bersi un cocktail col una tipa cotonatissima in un locale tutto arredato in bianco e nero. La cosa terribile è che il disco non è brutto: le canzoncine sono simpatiche, il ragazzo non scrive male. Però di dischi carini ne escono a pacchi, noi li vorremmo belli e destabilizzanti.
Alfredo Sgarlato
Static Tongues/Neon Indian
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