Chi può si trasferisce nelle colonie extra orbitali, mentre sulla Terra rimangono coloro che sono stati scartati alla visita perché malati o coloro che non possono permettersi il viaggio. La vita animale e vegetale è pressoché scomparsa, per cui è proibito uccidere veri animali.
La città è perennemente avvolta dalla nebbia prodotta dall'inquinamento, che offusca il sole e produce una pioggia continua. Le strade, rese luride dalla pioggia, sono piene di veicoli e di persone di ogni razza, anche se è nettamente predominante la componente asiatica. In città si parla il Cityspeak, uno slang multilinguistico e multietnico.
I moderni grattacieli e le industrie sorgono accanto ai palazzi più antichi, per lo più fatiscenti e adattati alle nuove benchè anacronistiche tecnologie (proprie dello steampunk) facendo passare le tubazioni a vapore sulle facciate esterne. L'assenza totale del “bello” e le condizioni atmosferiche contribuiscono a trasmettere allo spettatore la sensazione di claustrofobia.
In un futuro in cui gli androidi, creature meccaniche uguali agli esseri umani, sono una costante nella vita di tutti i giorni, un Tecnico, operaio specializzato nella loro riparazione, farà l'incontro che gli cambierà la vita.Fra le fumose vie della metropoli il suo destino incrocierà quello dell'ultimo esemplare sopravvissuto di una serie di replicanti leggendari con le sembianze di una splendida ragazza, tanto affascinante quanto pericolosa. (Fantasy Magazine)
Inizialmente pensato come film muto, complici la giusta ispirazione di Zurlo al capolavoro del cinema espressionista tedesco "Metropolis" (1927), come anche l’ottima mimica di Stefano Scherini protagonista, ha avuto successivamente delle radicali e meno fortunate modifiche in fase di lavorazione come ad esempio l’inserimento di dialoghi che risultano troppo didascalici, che trasformano la trama onirica e visionaria in carente e che diminuiscono non poco la struggente e necessaria drammaturgia strutturale.
(“Ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire…”- "Blade Runner" 1982).
Assolutamente acontestuale peraltro l’immagine finale che riporta alla mente più una sfilata di moda che la rappresentazione di un mondo di replicanti impossibilitati al controllo delle proprie emozioni, se non attraverso l’anelito a possedere il bagaglio di esperienze tipico di un essere umano. Ottima l’idea della tecnologia virtuale nell’etere, con le finestre che si aprono senza schermi come anche la “citazione” da “Terminator” per l’effetto speciale dell’avambraccio bionico. Concludendo il prodotto finale è buono dal punto di vista tecnico ma risulta deficitario per quanto riguarda dialoghi e drammaturgia nel suo complesso. Di base, senz’altro da vedere assolutamente per avere uno scorcio esatto delle potenzialità di una Scuola di Cinema gloriosa come quella di Milano e confidare nelle capacità dello sceneggiatore Nick Zurlo nell’arduo compito di esprimere variazioni in un contesto mai sufficientemente ricalcato come il mondo degli androidi.
Alessandro Corso
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