collaborato col leader nei Cap'n'jazz e negli Owl, Theo Katsaounis è alla batteria e Bobby Burg al basso. Trovandosi di fronte ad un gruppo così prolifico la paura della minestra riscaldata è forte. Invece il disco scorre piacevole. È indubbia l'influenza dei concittadini Gastr del Sol, soprattutto nell'uso creativo delle pause all'interno dei brani. Però i Joan of Arc hanno un impostazione molto più rock senza contaminazioni con altri generi. Il brano che si può considerare più sperimentale è quello iniziale, I saw the messed blinds of my generations, che supera i dieci minuti ed è cantato solo nella parte finale. I rimanenti brani sono più brevi, strutturati su continui cambi di ritmo, le chitarre
alternano arpeggi e riff spezzettati. Ottima la sezione ritmica, molto presente e a tratti persino tribale, però fantasiosa. Punto debole del disco è a mio parere la voce di Kinsella, non brutta ma piuttosto anonima, difetto riscontrabile in molte band del panorama indie americano. Troviamo anche una breve ballata acustica, Life force, e un paio di brani come Still life, dall'inizio intimista e dal procedere geometrico (o “math” come dicono in America) oppure Howdy pardoner che potrebbero essere delle hit nelle radio dei college, che influenzano molto i gusti degli adolescenti americani. La produzione, perfetta, è di Steve Albini e i suoni sono molto belli. Un disco diretto e complesso allo stesso tempo e consigliabile a tutti.
Alfredo Sgarlato
Love life
Life like
Polyvinyl Records
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