lunedì 27 giugno 2011

LE BUTCHERETTES: “Sin Sin Sin” (2011, Rodriguez Lopez Productions/Goodfellas) - 1

Le piccole macellaie: più o meno questo il significato del nome di questo gruppo originario di Guadalajara, capitanato dalla “riot grrrl” Teri Gender Bender (un nome, un manifesto), armata di chitarra (a 4 corde!) e organo, coadiuvata dal micidiale batterista Gabe Serbian, proveniente dai violenti quanto tecnici Locust e dal bassista e tastierista Julian Hischke. In origine, correva l'anno 2007, le macellaie erano due, visto che alla cattivissima Teri si era unita la sua concittadina Auryn Jolene, formando così un “power duo” a bassissima fedeltà,
capace però di fiammmeggianti performance dal vivo, durante le quali le nostre si presentavano in mises anni '50, a raffigurare le “casalinghe disperate”, salvo poi coinvolgere e aggredire il pubblico a colpi di sangue finto, uova, pezzi di carne e addirittura teste di maiale, oltre che con la chitarra e la batteria. Il tutto fruttò loro un certo seguito di pubblico e critica e la conquista dei premi come miglior nuovo gruppo e miglior disco punk (per l'EP "Kiss & Kill") agli Indie-o Awards del 2009 (si tratta di un'importante manifestazione musicale messicana), ma contrasti tra le due componenti portarono ad una prematura separazione. La coriacea Teri, però, trasferitasi a Los Angeles e, reclutati i due figuri sopra indicati, dopo gli opening acts per Dead Weather e Yeah Yeah Yeahs e in procinto di partire in tour con i Deftones, ha messo in cantiere questo primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo, grazie alla produzione di Omar Rodriguez Lopez, dei Mars Volta.
Dopo il necessario pistolotto, veniamo alla ciccia, cioè alla musica: per una volta non ci sono confusioni possibili, abbiamo a che fare con una band garage-punk, in cui la cantante e chitarrista, fornita di voce e pennata aggressive e abrasive, viene più che adeguatamente sostenuta dall'energetica sezione ritmica, nella quale spicca la precisione e la potenza del batterista Gabe Serbian, d'altronde abituato ai furiosi assalti poliritmici dei Locust. Una così precisa connotazione di genere non deve però farci pensare ad un disco monotono: anzi, le canzoni che lo compongono sono tanto immediate quanto eterogenee, tanto che si parte con il synth deragliante di Tonight, passando per una quasi notturna New York per raggiungere il singolo Henry Don't Got Love , pezzo piuttosto lungo che arieggia (in meglio, se permettete) le Hole di Courtney Love. Seguono ancora folate di sintetizzatore e organo (The Leibniz Language, All You See In Me Is Death, Empty Dimes), grida di ribellione (I'm Getting Sick Of You, Dress Off, solo voce e batteria, ma...), “anthems” come Bang o Riko's Smooth Talking Mothers. Si conclude con il quasi cabaret alla Nina Hagen di Mr. Tolstoi, dopo una cavalcata che non vi lascerà indifferenti.
Luca Sanna

Henry don't got love

RodriguezLopezProductions

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