Tracklist:
1 Spellbound
2 Into the light
3 Arabian Knights
4 Halloween
5 Monitor
6 Night shift
7 Sin in my heart
8 Head cut
9 Voodoo Dolly
Le continue invenzioni in termini di look e di comportamento fanno degli anni 80 un turbinio di elementi essenziali della mitologia punk; Siouxie and the Banshees ne sono l’esponenzialità acuta e oscura, un tetro e bel connubio tra E.A.Poe e oltraggioso potere, in cui la scena inglese alternativa si rotola avidamente. Dopo i necro-fasti del precedente "Kaleidoscope" (1980), e in seguito ad un forzato stop causa defezioni clamorose nella band originale, Susan Janet Dallion in arte Siouxie, John McGeoch alla chitarra, Steven Severin al basso e lo stravagantissimo Peter “Budgie” Clark – ex Big In Japan e Slits - alla batteria, danno fuoco alle micce, sotto consiglio amichevole di Robert Smith dei Cure, al quarto album della loro lugubre e fortunata carriera, "Juju", uno dei vertici assoluti dell’arte visionaria di Siouxie.
È il disco che – per la primissima volta – presenta alcuni squarci nelle atmosfere oppressive e plumbee degli esordi, mettendo definitivamente in luce una Siouxie padrona della sua voce calda ed evocativa (Spellbound); allineandosi alla nuova corrente del punk più sottomesso alle nebulose darkeggianti – che già sta portando nuovi illustrazioni sonore come giovanissimi Cure, Sister of mercy e Bauhaus – la band inglese si distende in sonorità malinconiche e tristi, depressioni stupende dettate dai Joy Division, dai quali SETB aspireranno linfa vitale per tutta la loro carriera. Dunque linee di basso compresse, chitarre drogate d’acido e anfetamina, i menzionati Joy Division che barcollano visionari in Sin in my heart. Magnifico disco che tocca sperimentazioni innovative e prende ancora risorse dai terreni malsani del punk, un banco di prova che consolida il marchio Siouxie and the Banshees tra i favori di un pubblico vastissimo e amante del nero come colore primario delle destrutturate asocialità della vita. Percussioni ossessive che cingono strette Halloween, Monitor ed Head cut; l’ombra della poetessa noir Patti Smith volteggia nell’aria, dove anche un sensoriale groove orientale padroneggia nelle retrovie sonore dell’intera track list, ma principalmente nella traccia Arabian knights, anticipazione “mediorientale” di un fermento che guarderà oltre confine dalla metà degli anni 80 fino alla fine.
Massimo Sannella
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