Artista naif, ventiseienne laureanda in architettura, la romana Mushy è una ‘geniale dilettante’ con la passione per tutto ciò che è arte o creatività e con un talento innato e trasversale che le dà modo di riuscire, oltre che nella musica e negli studi accademici, anche nella fotografia e nella grafica. Verace, simpatica, un fiume in piena nella vita privata, Valentina F.
(il suo nome di battesimo) dimostra una sensibilità artistica fatta di chiaroscuri; un approccio alla musica, il suo, emotivo, intimo ed impatto che l’accomuna per inclinazione alle contemporanee Zola Jesus e Soap & Skin, ma che si rifà in realtà alle grandi band del dream pop e del gothic (Dead Can Dance, Cocteau Twins, Black Tape For A Blue Girl),
alla cosmic music (Tangerine Dream, Klause Shulze) e al synth pop e l’ambient più oscuro, senza dimenticare la lirica arcana della sacerdotessa per antonomasia del rock, Nico.
Per il suo “Faded Heart” (uscito per la lodevole capitolina Mannequin Rec., presso cui Valentina è anche graphic designer), progetta dieci composizioni (la versione in cd, in elegantissimo digipack, conta anche quattro remix) delicate e minimaliste, diafane di melodia, una mistura apparentemente monotona, ma capace già dopo alcuni ascolti di mostrare le sue molteplici sfaccettature e svelare il suo fascino, sfuggente come nuvola, sinistro come folata di vento. Queste elegie funebri e marziali al rallentì astrale sono ninnananne cullate da onde cicliche, nenie ripetitive come lontani lamenti che evocano il blues e i suoi canti di sofferenza di tristezza e di espiazione.
Così, tra sinfonie cosmiche e krautpsychedeliche (Child of light will burn, Objects in the mirror are closer than they appear, I will not see it), tenui ballate lynchiane dal raro e malinconico incanto (Too far, Burn me), indolenti e maliarde basi scandite da grossolane cadenze industriali su cui si dipanano voci dilatate e riverberate (Losing Days, Faded Heart, Moan), danze medievali dal bizantino fragore (No More), inquietanti synth dal profondo rosso (She was elsewhere), si rimane avvinti da un’architettura perfetta, dove ordine e disordine convivono dando vita a suggestioni oniriche, metafisiche e mefistofeliche. Nello stesso modo della sua Roma, quest’opera è ‘silenziosa e pesante, come fuori dal mondo’, statica e incantata, imprigionata in un sogno eterno e imperituro.
Antonio De Luca
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