Il caso dei Guillemots è diverso: questa specie di mulltinazionale del rock (cantante/tastierista inglese di Birmingham, chitarrista brasiliano, batterista scozzese e bassista canadese) ha saputo partorire uno dei più acclamati dischi del 2006, “Through The Windowpane”, bello davvero, e capitalizzare il successo alla grande nel 2008, con il salto mortale nell'elettropop melenso anni '80 di “Red”, disco tanto stroncato (a ragione) dalla critica, quanto apprezzato dal pubblico.
A questo punto i nostri si son presi la canonica “pausa di riflessione”, mentre il band-leader Fyfe Dangerfield si lanciava in un discutibile progetto solista a base di ballate acustiche e covers di Billy Joel. Arriviamo quindi alla pubblicazione di questo terzo album della band, piuttosto atteso, visto che le capacità dei quattro non sono mai state in discussione: dal primo, omonimo pezzo, è chiaro che la svolta che aveva dato origine al citato secondo disco è stata archiviata. Il brano è una piacevole ballatona molto british, dalle atmosfere uggiose e autunnali, che fa ben sperare per il prosieguo dell'album. Che infatti procede su quella falsariga con le ottime Vermillion, I Don't Feel Amazing Now e con la più rockeggiante Ice Room. Da qui in poi cominciano le dolenti note: i nostri ci colpiscono con l'uno-due composto da Tigers, degna del peggior Lloyd Cole e dalla lacrimevole Inside, poi tentano, invano, di risalire la china con I Must Be A Lover, una specie di brit-pop sfiatato e con Slow Train, appena più piacevole, con un tocco di elettronica.
Si mette ancora peggio con Sometimes I Remember Wrong, ballad che oltre a non essere particolarmente ispirata, viene trascinata per oltre nove minuti. Ci ritempriamo un po' con The Basket, il singolo che ha anticipato l'uscita dell'album: con un po' di chitazzona “fuzz” e qualche coretto piacevole ci risveglia dal torpore indotto dei pezzi precedenti. Si ritorna purtroppo alle dolenti note indotto con i due, soporiferi, pezzi finali, la lamentosa Dancing In The Devil's Shoes e Yesterday is Dead, davvero troppo noiosa per durare più di otto minuti. In buona sostanza, un disco che inizia in modo promettente, ma non mantiene le promesse.
Luca Sanna
The Basket
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