The Witches, qualcosa di più di una ex-rilevante novità dal sottobosco detroitiano, anche se non molto tenuti in considerazione quando si parla di Garage sounds. Giunti al loro quarto album nel 2006, la band capitanata da
Troy Gregory eclettico poli-strumentista (che ha fatto parte di
Killing Joke, Dirtbombs, Flotsam & Jetsam, Swans, Spiritualized, Prong..) non pubblicava più niente proprio da quel
“Thriller”(Music for cats, 2006) anche se Troy oltre a proseguire nel suo progetto solista, se n’è uscito di recente partecipando a
“That’s all I need” (2010, Bloodshot Records) di
Andrè Williams. Momento propizio per richiamare l’attenzione su questa band con la pubblicazione di una sorta di guida introduttiva,
“A haunted person’s guide to the Witches” appunto, che recupera alcuni titoli sparsi della loro discografia. Affiancato in questo progetto da altrettanti personaggi illustri come
John Nash (LCD Soundsystem, Electric Six) e dalla produzione oltre che la partecipazione di
Jim Diamond che con il suo
Ghetto Recorder Studio è stato responsabile di quasi tutto quello che Detroit ha prodotto in ambito Garage rock negli ultimi vent’anni. The Witches rispolverano il migliore power-pop di fine sixties, attraverso dodici brani che a parte un paio di casi non superano lo standard dei 2/3 minuti, dettati dalla necessità d’immediatezza.
Fin dall’iniziale
Everyone the greatest che esprime la devozione a band come
Flaming Groovies, Barracudas, Standells e
Monkees così come pure per
Creepin’ through your galaxy o la ruffiana
Lost with the real gone, capace di virare in umori psych con
The Haunted Regulars e
(She got some kinda) Thing degne di
Robyn Hitchcock. I confini si spostano fino al glam anni ’70 di
Marc Bolan come nel boogie di
Attack ov thee Misfits Toyz o nell’ancheggiante
Down on ugly streets.
Resti inteso che non si tratta di semplice esercizio nostalgico, Troy and co. sono più alla ricerca di quello che era lo spirito che animava le suddette bands piuttosto che intenti a catturare il suono di un’epoca; suono che invece si fa più ricercato e
personale affinando e aggiornando un genere che è sempre rimasto un po’ di nicchia, forse un po’ snobbato o trattato male come quello del
pop-punk, bubblegum, pop-psych, power-pop o come volete chiamarlo. Presi singolarmente gli elementi di questo gruppo saprebbero sorprendere molto di più con sperimentalismi vari, ma in questa circostanza dimostrano di saper anche stare al loro posto, lasciando alla musica il primo piano, e facendosi guidare soprattutto dalla passione.
Federico Porta
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