Ecco, i Baroque, che qui presentano il loro album, intitolato “Rocq” e pubblicato dalla loro personale etichetta, anch'essa battezzata “Rocq” (dopo un esordio èdito dalla francese Musea, label specializzata in prog-rock, avanguardia, sperimentazione e, in generale, musica altra) mostrano in qualche modo una parentela con quello “spaghetti rock”. Chitarre e organo Hammond si scambiano arpeggi e riff a ritmo, consentitecelo, di “tarantella”.
Attenzione, però: le chitarre, soprattutto nei timbri più crunchy, e le tastiere, rigorosamente vintage (tanto organo, piano e piano elettrico, sporadici i synths), svelano sonorità anni '70, mentre, tutto al contrario, le linee di basso corpose, presenti e scandite, e il drumming giocato in maniera “tribale” sulle sonorità più gravi di toms e timpani sono profondamente anni '80, in qualche modo quasi dark-wave. Il cantato è, invece, del tutto imprevedibile: nelle parti più soav”(come in La festa dell'alloro) può far emergere echi (probabilmente inconsapevoli) di bands assolutamente “underground” a cavallo tra '80 e '90, come i Sithonia, ma più spesso è giocato invece su interpretazioni “cattive” e ringhiose, talvolta sostenuto da armonie vocali degli altri componenti, ora più ironiche (come in Karatechismo), ora “folkeggianti” (la già citata La festa dell'alloro), ora persino – a sorpresa – “queenesque”, come nella conclusiva Soup de la Maison. Il cantato è più spesso in italiano, sporadicamente (e in maniera un po' meno convincente) in inglese.
Ma non pensate che questo calderone di influenze sia gestito in maniera disordinata o casuale dai“Baroque: al contrario, loro sanno benissimo che cosa vogliono fare e dimostrano di farlo molto bene, con grinta e convinzione. Il mix risulta sempre godibile, a tratti molto affascinante, globalmente originale e personale, solo in pochi momenti lascia un po' perplessi, e sono quelli in cui la band sceglie bizzarre atmosfere estremamente “retrò”, tra musical e cabaret, come in Parlapetalo o Il Camaleonte, che peraltro sono anche tra gli episodi più brevi.
Originali, abbiamo detto, e con almeno due evidenti differenze rispetto a quello storico “Spaghetti Rock” del tempo che fu, di cui parlavamo all'inizio: una certa concisione formale (quasi tutti i brani stanno sotto i 4 minuti) e, soprattutto, una dote che alla maggior parte delle bands italiane di sempre è puntualmente mancata: l'ironia. Lo svelano titoli a loro modo geniali, come Cardiopasto, la già citata Karatechismo, nella quale emerge prepotente, sia nello stile delle liriche quanto in quello dell'arrangiamento, lo spettro di Fabrizio De Andrè, o Mio fratello si droga, forse il momento più toccante, emozionante e riuscito tra le 12 canzoni che costituiscono i 42 minuti dell'album.
Alberto Sgarlato
Da “La fiaba della buona notte”: Memento
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