
Mi colpì fin da subito questo combo di Detroit, vuoi per la formazione un po’ inusuale batteria-Farfisa-chitarra, vuoi per la loro capacità di recuperare le vecchie sonorità ‘50 ‘60 di Sonics e Wailers, rivisitarle ritagliandole in geometrie new wave/Devo anni ‘80, ma allo stesso tempo capaci di guardare avanti, in grado di farli suonare sia retro che avanguardisti allo stesso tempo.
Se devo pensare ad altri gruppi capaci di sorprendermi allo stesso modo, mi vengono subito in mente Man or Astroman? o Brian Jonestown Massacre anche se su altre prospettive.
Da quell’ora gli Hentchmen sono un po’ cresciuti e la laurea l’hanno conseguita a pieni voti, senza peraltro prendersi troppo sul serio, requisito fondamentale per un genere come il garage rock dove

Il successivo “Form Follow Function ” del 2004 rompe il sodalizio con la Norton, che li vede passare alla Times Beach Records, altra etichetta locale gestita da musicisti. Il titolo che fa riferimento ad un principio del design e dell’architettura moderna secondo il quale la forma deve essere concepita in virtù di una sua funzionalità, non nasconde un certo interesse da

Nel 2007 recuperano le registrazioni risalenti a 10 anni prima in collaborazione con la futura leggenda di Detroit, Jack White, remixando quello che era stato un Mini LP di 9 canzoni dal titolo “Hentch Forth“, dove il sound reso più grosso dall’inserimento del basso, richiama anche il periodo British Blues, come suggerisce la stessa cover di Psycho Daisies degli Yardbirds in esso contenuta.
Tenuta saggiamente a debita distanza dalle tentazioni mainstream, questa operazione viene pubblicata da un etichetta indipendente di Detroit, la Italy Records, con il titolo di “Hentch Forth Five“.
Che gli Hentchmen siano rimasti fedelmente legati alle loro originali intenzioni di non compromettersi lo dimostrano con questo nuovo album, dal titolo omonimo,

Anche se non si tratta effettivamente di brani inediti, ma per lo più di una raccolta che pesca da varie limited editions nell’arco degli ultimi due anni, il risultato finale di questo loro ottavo album non manca di coesione, ed anzi ha un’identità ben marcata, che conferma ancora una volta, nei suoi 12 brani, la statura di questa band sempre in lenta ma continua evoluzione. Il sound più robusto e meno scheletrico rispetto agli esordi sembra aver smaltito la sbornia sixties e guardare più al decennio successivo incorporando a tratti elementi di southern/boogie come nel caso dei primi due brani, o la stralunata psichedelia del successivo Claude’s Remains, lo smarrimento nella magica Aladdins Castle, il country ubriaco di Knockin’ at my door, senza mancare dei consueti episodi più festaioli come una Worry Converter da

Sicuramente un album da non perdere e che, visto che siamo quasi agli sgoccioli, non esiterei a definire uno dei migliori del 2010.
Federico Porta
LeSabre Radar
Psycho Daisies - feat. Jack White
Mush Mouth Millie
Worry Converter
Why don'tcha do me right?
Bag of tricks
TheHentchmenNorton
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