Non so a quale parrocchia appartenete. Ma se è a quella di Jesus & Mary Chain, la Liturgia della Parola è finita. Ora vi tocca mettere mano al portafogli, che passa l’ obolo. La benemerita Edsel celebra
l’ ascesa e la caduta (non ancora la resurrezione) di una delle più influenti rock bands europee degli anni Ottanta. Lo fa pubblicando tutto il pubblicabile diviso in sei cofanetti da 2 CD +1 DVD ognuno. Outtakes, interviste, concerti, video ufficiali, b-sides,
apparizioni televisive, sessions radiofoniche, parolacce, sputi e botte da orbi. Tutto. Sprangate porte e finestre: per diciotto ore ci si chiude in preghiera. Sempre che siate fedeli, si intende. Se invece volete avvicinarvi al culto senza avere alcuna base teologica, vi dirò quanto serve, cominciando dalla prima pietra. Scegliete voi se quella citata nel Deuteronomio o quella di cui si narra nel Vangelo di Matteo. Quella pietra si chiama "Psychocandy". I Jesus and Mary Chain erano un gruppo morboso, allora. Rivoluzionario addirittura, per chi aveva quindici anni come me. Strafottente fino a farti incazzare. Incapaci più dei Germs. Scuri anche quando accendevano tutte quelle cazzo di luci bianco elettrico.
Erano Da Vinci messo davanti a un blocco di marmo di innocua musichetta pop per ragazzini insolenti. Loro tiravano il filo d’ avviamento dei loro smerigliatori e alzavano polvere elettrica. Ed era la cosa più fica un’ indie band potesse fare allora. Ascoltavi In a hole, Never Understand, Inside me, It ‘s hard e ti credevi il custode del destino della musica pop. Era come sfondare a calci la porta dei vicini ed entrare con il mitra spianato. Un’ Arancia Meccanica portatile. Poi cresci e non ti fa più paura. Un po’ perché il mondo è diventato veramente più rumoroso, adeguandosi a quel fischio da Cassandra Crossing. Un po’ perché ti abitui anche alle crudeltà, e hai bisogno di nuove atrocità che ti tengano sveglio la notte. Però Psychocandy aveva questa perversione tutta adolescenziale che mischia dolcezza e voglia di far male. E’ come la prima volta che fai l’ amore. Non riesci a calibrare bene tenerezza e violenza e finisci per disattendere il bisogno di entrambe le cose. Poi impari. Ma ti mancherà per sempre il piacere della scoperta, del primo sospiro di piacere regalato alla troposfera in tuo onore. Psychocandy invece celebra quel momento irripetibile. E lo celebra per chi riesce a viverlo. Non per chi lo va a cercare dopo averlo sprecato. E’ un disco-parassita. Attaccato agli arbusti del rock degli anni Ottanta come una colonia di funghi pleurotus. Una muffa coriacea e rigogliosa. Dopo la bolgia infernale di "Psychocandy" la musica dei Jesus and Mary Chain si scrosta dal rumore esibendo tutta la sua fragilità velvetiana. "Darklands" ha il sapore umido dell’ autunno e dei vetri appannati. Il sapore di nove milioni di giorni piovosi E il colore ancora incerto dei cieli d’ Aprile. Cieli che crollano sopra, come quelli di Down on me. E nature morte. Come l’ albero di Natale di Fall. Ancora più morto adesso che i fratelli Reid hanno deciso di non addobbarlo. Darklands è il più scozzese degli album del gruppo scozzese. Spoglia e cagionevole, la musica di J&MC è adesso il corpo di una padrona sadomaso denudata da ogni suo accessorio. Una Venus in Furs senza più stivali di pelle, senza più frustino. Senza più pelliccia. E infatti Deep one perfect morning comincia con lo stesso passo di Venus in furs, ma stavolta la venere è scalza, il Re è nudo, i fratelli Reid sono rimasti soli davanti a uno specchio sfregiato. Poi, man mano che la signora si aggiusta, si trasforma in Just like honey. Jim di tanto in tanto si alza dalla sedia, mette la mano fuori dalla finestra per vedere se ha smesso di piovere, poi torna ad accucciarsi sotto il suo plaid forato. William rimette mano alla batteria elettronica, prova ad accordare la sua chitarra, manda giù un’ altra plegine e riprende a suonare."I can see That you and me Live our lives in the pouring rain' canta sottovoce Jim. Sorridono entrambi. 'People die in their living rooms", prosegue.
A William scivola il plettro dalle mani. Lui si guarda le dita. Nere come inchiostro di china. Nere come i suoi vestiti. Nere come queste terre nere. William e Jim riattaccano il loro pezzo.
Fuori piove ancora. E fa ancora buio. Dopo la malinconica immobilità di Darklands Jesus and Mary Chain vogliono ridisegnare il proprio stile. La nuova linea Reid & Reid debutta con la collezione primaverile del 1988. La passerella è esigua ma rivelatrice:il "Sidewalking E.P." del Marzo ’88 sfoggia un sampler di batteria rubato a Roxanne Shantè: è un altro furbo “aggancio” come era già stato per Just Like Honey con quell’ attacco rubato a Be My Baby delle Ronettes solo che i tempi sono cambiati e adesso dietro la batteria non siede più nessuno e alla tempesta di feedback di allora si è sostituito un pesante riff bubble-glam rock. Ormai assuefatti al rumore, i fratelli Reid assumono dosi sempre più pesanti di hip-hop. Stetsasonic, Run DMC e Public Enemy sono gli ascolti che si affiancano al vecchio amore per Velvet Underground, Stooges, Phil Spector e 13th Floor Elevators.
Per la stagione autunno/inverno 1989 la nuova collezione è pronta: "Automatic" si affianca alle vetrine di Happy Mondays, That Petrol Emotion e Stone Roses cercando di stemperare la pesantezza dei due dischi precedenti con un propellente ritmico fortemente danzereccio (UV Ray e Sunray i due pezzi più incalzanti sotto questo profilo, NdLYS) e sostituendo alle ballate gonfie di umore nero un boogie-rock sempre più impersonale (Coast to Coast, Her way of praying, Head on, Blues from a gun).
Una banale schiera di villette monofamiliari con cui i Jesus and Mary Chain sperano di conquistare l’ America. Sul recinto mettono un cartello con su scritto Head On e sperano gli americani si accorgano di loro. E il miracolo accade. Proprio adesso che pare il gruppo non abbia molto da dire, tutti li stanno ad ascoltare. Compresa MTV che li mette in heavy rotation e i Pixies che pisciano sulla palizzata e alla fine si portano via il cartello, andandolo a ficcare sul loro "Trompe Le Monde". Per festeggiare, in madre patria il singolo lo pubblicano in sette formati diversi: CDsingolo, cassetta, 12” e ben quattro 7 pollici, ognuno con una differente B-side. E’ il trionfio dell’ idiozia, ma nessuno sembra voglia accorgersene. Siamo in piena estate acida ma vedere i fratelli Reid piantare l’ ombrellone fa un po’ sorridere. Quando i fratelli Reid decidono di chiamare il proprio gruppo Jesus and Mary Chain hanno in mente un rosario. Un rosario di gente in fuga. Dopo Murray Dalglish, Rob Dickens, Alan McGee, Bobby Gillespie, Martin Hewes, John Loder, John Moore, James Pinker, Dave Evans, è ora la volta di Richard Thomas e Douglas Hart.
"Honey ‘s dead" presenta ancora una volta una formazione nuova che si muove all’ ombra dei fratelli scozzesi i quali, stanchi di dissipare in piccole dosi di stupefacenti il guadagno dei primi tre album, stavolta si comprano un intero negozio di droga. Si chiama Drugstore, e sorge nella zona sud di Londra. Lì dentro sono finalmente a proprio agio. Hanno tutto quello che gli serve: una buona dose di psicotropi, un frigo pieno di vodka, un produttore come Alan Moulder a loro completa disposizione, una tivù perennemente accesa in sala regia, strumenti, fornelli, caffettiera, bustine di tè inglese, laptop. Tutto il superfluo è bandito.
Niente assistenti, niente orologi, niente ingegneri del suono che vogliono a tutti i costi dirti come devi suonare. Honey ‘s dead prosegue sulla linea abbozzata con Automatic ma, musicalmente e liricamente, riapre più di uno squarcio sul passato remoto della band. Gli esempi più emblematici sono il feedback lancinante di Tumbledown, le pioggie shoegaze di Catchfire e i primissimi versi di Reverence ('voglio morire come Gesù Cristo, voglio morire come John Fitzgerald Kennedy', poi ribaditi dalla conclusiva Frequency) che vengono nuovamente banditi dai canali commerciali inglesi, come era già accaduto in passato con Jesus Sucks o Some candy talking. Far gone and out e I can ‘t get enough, speculando su una formula melodica ormai abusata ma sempre efficace, tirano fuori il loro lato più melodico mentre Good for my soul e Sundown sono le classiche foglie gialle che si staccano dal solito albero battuto dai venti autunnali. L’ aria non è più sulfurea come ai tempi della caramella psicotica, ovviamente, ma la forza dei J&MC non si è ancora spenta. Dopo la pubblicazione di Honey ‘s Dead, Far Gone and Out, Almost Gold, Sound of Speed al Drugstore ci si comincia ad annoiare. I fratelli Reid passano più tempo al pub di fronte che dentro lo studio. E quando rientrano, gonfi di birra e impasticcati come ai vecchi tempi, hanno poca voglia di fare chiasso. Si sono stancati del rumore e pure del beatbox, dei loop di basso e dei sequencer. Così, mentre la casa discografica preme per il nuovo album non trovano niente di meglio che presentare un disco acustico. Un disco pieno di sbadigli. Paradossalmente il disco più pieno di gente che Jesus and Mary Chain abbiano mai realizzato, è il più desolato di tutti. Accanto a loro non ci sono più macchine: ci sono Ben Lurie nel ruolo di bassista e Steve Monti in quello di batterista. C’ è Hope Sandoval a duettare col cognato su Something Always e Shane McGowan gonfio di Guinness a ruttare su God Help Me (in quel periodo la band ha aggiunto i Pogues alla lista delle strane riletture che si diverte a suonare in studio, accanto ai Cramps, a Presley e addirittura a Prince, NdLYS). Tutto pur di divertirsi. Ma nessuno ha mai visto sorridere William e Jim Reid. Adesso meno che mai. E’ un periodo di merda per la band, con i fratelli che cominciano ad odiarsi in maniera subdola ma rovinosa, una disastrosa esperienza del Lollapalooza, le incomprensioni con sua maestà Lee Hazlewood chiamato a produrre il disco e poi allontanatosi in fretta e furia dalla band dopo essere stato cacciato dagli addetti alla sicurezza nella data del tour scelta per avvicinare il gruppo e concordare data, modo e luogo e i rapporti con Geoff Travis (patron di Rough Trade ma anche della Blanco Y Negro e della Trade2, NdLYS) che stanno diventando sempre più tesi. Non c’ è più la nebbia maledetta di Darklands. Ora c’ è solo deserto, dentro e fuori dal Drugstore.
"Stoned & Dethroned" è la monna lisa che i fratelli Reid dipingono in questo periodo, e non è un bel quadro. Quello che lascia attoniti, al di là della scelta di una veste spoglia ed acustica (che non rappresenta in sé per sé una novità visto che i Reid amavano creare sulle chitarre acustiche salvo poi rivestire tutto con feedback o loop digitali), è verificare come i vecchi terroristi sonici siano diventati così innocui e inoffensivi. Le canzoni di questo quinto album non lasciano segni sulla pelle. Niente, neppure un graffio, una scorticatura, una abrasione. Nel Giugno del 1998, dopo quindici anni, la catena si chiude. Si chiude con un ritorno a casa e una famiglia che va a pezzi. Tra l’ una e l’ altra cosa, ci sono altre porte che sbattono, come sempre. Gli ultimi a togliere le tende sono Matthew Parkin, Barry Blecker, Steve Monti, Phil King, Geoff Donkin. Poi si toglie dalle balle anche Geoff Travis che strappa in faccia ai ragazzi il loro contratto con la Blanco Y Negro (leggasi Warner, che viene più facile, NdLYS). 'Questo disco fa schifo' fa sapere ai fratellini. Ma anche quello prima faceva schifo. Semplicemente, il mondo si accorge di non avere più bisogno di loro. William Reid odia il rock ‘n roll. E il mondo odia lui. E’ uno scambio reciproco di amore al rovescio. Tutto il mondo lo odia, compreso Jim. Il Drugstore è ancora la casa di entrambi, ma a giorni alterni. Jim e William evitano di incontrarsi. Portano alla band (ora oltre al fido Ben Lurie c’ è l’ ex-Gun Club e Clock DVA Nick Sanderson dietro ai tamburi) ognuno i suoi pezzi e suonano senza incrociarsi in studio. E’ un periodo in cui i Reid sono più bravi a sputarsi in faccia e a fare a pugni che a scrivere canzoni. Vanno sul palco gonfi come sacchi da boxe e rimborsano il prezzo del biglietto. La scrittura è a livelli bassissimi. Sembrano una versione alla Bananarama dei Ramones (Mo Tucker, su cui canta la sorellina Linda, è una Blitzkrieg Bop nata da un preservativo bucato, Fizzy pare uscita fuori dal Rock ‘n Roll High School NdLYS) o una strozzatura alla aorta degli Stooges (Degenerate che fa il verso a TV Eye). Never Understood declina al passato la Never Understand del debutto. I love rock ‘n roll si intitola come una vecchia Joan Jett dell’ 81. Man on the moon come un R.E.M. del ’92. Black come un Pearl Jam del ’91. Cracking up come un Bo Diddley del ’59 ma suona come Mongoloid dei Devo. Supertramp come il peggio degli anni Settanta, ma con la batteria rubata a Tomorrow Never Knows. I Hate Rock ‘n Roll come un Jesus and Mary Chain vecchio stile di cui però nessuno più ha paura. William chiude la porta. O forse è Jim a farlo. Chiunque sia, vanno via senza salutarsi. Gesù da una parte, Maria dall’ altra. Gettano la chiave nel tombino. Il Drugstore muore. Il rosario si chiude. Amen.
Franco “Lys” Dimauro
Demon/JesusAndMaryChain
SubPop/TheJesusAnd MaryChain
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