Il secondo sentimento è meno positivo, perché questa nuova versione dei mitici e antichi Oblivion’s Express mi lascia perplesso e con l’impressione del raffazzonato e di una certa decadenza dell’uomo e dell’artista. Vedere questo mago dei tasti bicolori suonare (benissimo, come ho già detto) con parte della sua famiglia, la figlia Savannah alla voce e il figlio Karma alla batteria, che non si elevano oltre un’aurea mediocrità, mette un po’ di tristezza considerando che solo un paio di anni fa il batterista con cui lo vidi suonare era Billy Cobham; e se poi vogliamo ricordare il prestigioso passato del tastierista inglese che ha affiancato gente come Eric Burdon, Jimi Hendrix, Julie Driscoll, Tony Williams (altro straordinario batterista), Jim Mullen, John McLaughlin, Keih Moon, Sonny Boy Williamson, Rod Stewart, Gary Boyle, (e mi fermo qui ma la lista è ancora lunga), la tristezza diventa ancora più profonda vedendo dei comprimari così poco incisivi. Un gradino un po’più alto del podio vede se non altro il buon bassista di colore Les King che slappa funkeggiando sotto le svisate del leader che si propone all’organo Hammond (sempre un bel sentire) e al piano elettrico iniziando il concerto con uno strumentale vigoroso e palpitante. Poi si susseguono brani che ripercorrono tutta la carriera del nostro, dai Trinity alle ultime cose incise negli anni duemila, ma spiace dire che nonostante la discreta avvenenza fisica la figlia Savannah non è Julie Driscoll (oggi Tippett) come si evince da una versione di Save me quasi irriconoscibile, molto più soft e lontanissima dall’acidità ugolare della vecchia sodale di Brian. Dopo un’oretta e mezza di brani un po’ troppo similari tra loro, ma se non altro impreziositi dagli assoli del papà, bisogna aspettare il bis perché la Auger in gonnella (anzi, no, aveva i jeans) ci regali quella This wheel’s on fire che conobbe successo più dell’originale Dylaniano cantata dalla crespocrinita Driscoll a metà degli anni sessanta. Un concerto, però, tutto sommato discreto, soprattutto grazie alle mani di papà Auger, ottimamente organizzato dall’Associazione Raindogs, assolutamente benemerita nel portare musica a Savona e dintorni: ripristinare però da parte di Brian la storica sigla Oblivion’s Express per un combo non all’altezza del leader e dei musicisti originari mi pare fuori luogo. Non dimentichiamo che senza i primi album degli Oblivion’s, quelli veri, quelli dei primi anni settanta, un fenomeno come il più recente acid jazz certamente non sarebbe mai esistito.
A concerto terminato il settantaduenne band-leader si concede al pubblico per autografi e fotografie (anche col sottoscritto) e firmandomi i booklet dei primi cinque cd degli Oblivion’s (quelli veri, quelli degli anni settanta) che mi sono portato dietro, in italiano mi dice che ho una brutta penna (ma era di Alberto Sgarlato, diavolo di un nipote!), estrae un suo pennarello nero e mentre mi firma gli Oblivion’s io gli dico che a casa ho i vinili dei Trinity e degli Steampacket e quello con Sonny Boy Williamson. Poi mentre la gente scema (un verbo, non un insulto) verso le vie laterali abbandonando la piazza, io mi accodo col mio gruppo di amici e poi mi volto ancora una volta verso il palco ormai vuoto e buio dove Brian Auger si sta smontando l’impianto da lui stesso sé medesimo: vedere l’immagine di quest’uomo, che ha fatto la storia della musica inglese, curvo e chino a terra come una maestà decaduta mentre stacca cavi e microfoni nel buio di un palco solitario, chissà perché mi viene in mente Janis Joplin quando diceva: “per me ogni concerto è fare l’amore con migliaia di persone per poi ritornarmene a casa completamente sola.”
Maurizio Pupi Bracali
Foto di Alberto Sgarlato
Brian Auger Live Savona, 7/7/2011: Save Me
Light my fire (live 2011)
Brian Auger performing at the NAMM show 2011
BRIAN AUGER'S OBLIVION EXPRESS - 2005 (Live at the Baked Potato)
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