Non ho mai amato leggere nè tantomeno scrivere, quel tipo di recensione dove un album viene analizzato brano per brano dall’inizio alla fine. Nel caso di questo “Recordings” dei Porcupine Tree (ristampa dell'omonimo lavoro uscito nel 2001, in edizione limitata di 20.000 copie) la tentazione c’è stata, in quanto brani slegati e assemblati tra loro in questa sorta di arbitraria compilation potevano permetterlo, ma tenendo fede all’assunto di partenza vedrò, come un cane bagnato di pioggia, di scrollarmi di dosso le gocce della tentazione dicendo subito che delle tre anime che convivono tra i consueti suoni dei Porcupine Tree una, se non altro, è completamente assente: mi riferisco a quella hard che ogni tanto fa capolino con pesanti e stupende schitarrate nei solchi dei loro album alternandosi ai momenti prog-psichedelici e alla vena cantautorale di Steven Wilson che al contrario la fanno da padrone in questa nuova (vecchia) uscita.
I brani presenti nel CD sono infatti quelli che non hanno trovato posto nei due splendidi album dei tardi anni novanta "Stupid Dream" e "Lightbulb Sun" rispettivamente ’98 e ’99 più alcune uscite, passate più o meno inosservate come lati B di CD singoli tratti sempre da quei due dischi.
Unico brano ultrafamoso che si rivela una strepitosa sorpresa è un’immensa versione dilatata della poderosa Even Less, una delle loro canzoni più belle, che all’epoca apriva Stupid Dream, ed è qui ripresa con una seconda parte inedita che la porta a diventare una fascinosa minisuite di quattordici minuti.
Tre e magnifici sono i brani strumentali che pagano il loro debito ai Pink Floyd del periodo migliore: Untitled che si avvale di un intro con un piano liquido doppiato dal contrabbasso di Colin Edwin suonato con l’archetto per poi esplodere nella parte centrale nell’assolo lacerante della chitarra di Wilson che conduce a una danza vorticosa e psichedelica: sembra un outtake di "Ummagumma".
Ambulance Chasing è invece introdotta da un intro percussivo profumato di Africa che potrebbe ricordare Biko di Peter Gabriel stemperato in effetti elettronici (il mago Richard Barbieri alle tastiere) che coadiuvano il sax dell’ospite Theo Travis (Soft Machine Legacy) e nuovamente la chitarra di Wilson ancora una volta Gilmouriana e pregnante così come nella conclusiva Oceans have no memory, un gioiellino prog dove l’arpeggio elettrico wilsoniano ricorda i momenti più luccicanti del 'minore' "Obscured by the clouds" dei Floyd.
Un caso a parte è Access Denied, ballata quasi pop con reminiscenze Beatlesiane, pop che, pur vivendo nel dna di Steven Wilson, raramente e occasionalmente i P.T. mettono in pista nella loro produzione. Quando lo fanno li si potrebbe paragonare ai King Crimson quando si dilettavano anche loro, altrettanto raramente, a Beatlesare.
Rimangono le canzoni a sfondo cantautorale, una manciata di brani lenti e carismatici di una bellezza sconvolgente con la voce di Wilson calda e avvolgente in primo piano e quelle voci doppiate che ritornellano i momenti salienti e che di volta in volta sono state paragonate a quelle di Crosby Stills Nash & Young o una volta di più a quelle dei Pink Floyd (e non sarà un caso che Crosby e Nash siano recentemente approdati sia live che in studio alla corte dell’ultimo Gilmour).
Tutti questi riferimenti ad altre musiche e ad altri artisti non traggano in inganno; la somma è infinitamente superiore alle sue parti, e comunque i P. T. restano, nonostante la deriva, altamente e incontestabilmente personali.
E poi quale musica oggi non è derivativa? (vedi gli ottimi Fleet Foxies accostati ai Byrds per citare un caso di cui si è parlato di recente su Music Box).
Ricordo per dovere di cronaca che, visto il periodo delle incisioni, dietro ai tamburi in questi brani siede ancora il bravissimo Chris Maitland prima di essere sostituito negli anni duemila dal perfetto batterista di... Claudio Baglioni (ebbene sì...) Gavin Harrison.
La produzione è, come sempre nei Porcupine Tree, superlativa; il genio di Steven Wilson (un altro capolavoro assoluto senza tema di smentita è il suo primo disco solo "Insurgentes" dell’anno scorso) è ormai dilagante e non si sa più dove collocarlo: se tra gli autori di splendide canzoni, come fantasioso e ottimo chitarrista, bravissimo cantante o come produttore.
Certo è che se oggi si vuole sentire un disco con suoni perfetti e amalgamati al meglio bisogna ascoltare un disco firmato Steven Wilson; la riprova è l’incarico affidatogli da Robert Fripp (mica l’ultimo dei musicisti/produttori) di rimasterizzare l’intero catalogo del Re Cremisi che il leader dei Porcupine Tree sta svolgendo alla perfezione rivestendolo, come i giardini di marzo, di nuovi abbaglianti colori.
Registrazioni vecchie si è detto, ma mai come in questo caso è evidente come il tempo artistico non esista; sono brani che potrebbero essere stati incisi ieri, aculei
porcospiniani di oltre dieci anni fa che però pungono ancora lasciando tracce indelebili e cicatrici incancellabili nell’animo di chi li ascolta.
E se questi sono gli 'scarti' dei due album citati in precedenza vi lascio immaginare, se già non lo sapete, cosa siano quelle due opere che insieme a una quindicina di altri imperdibili CD formano la summa di una delle più grandi band psicoprog dell’ultimo ventennio.
Una confezione lussuosa in digipack con foto e libretto e un prezzo contenuto (15 euro) spero possano invogliare all’ascolto non solo di un’ora di sfolgorante musica, ma anche alla scoperta di autentiche emozioni.
Maurizio Pupi Bracali
Buying New Soul
Cure For Optimism
Disappear
In Formaldehyde
PorcupineTree Official Website
Italian Fan Site
Nessun commento:
Posta un commento