Leonardo Pavkovic e la MoonJune Records
E’ dal 2001 che Leonardo Pavkovic insegue con la sua label/organizzazione MoonJune Records un sogno, valorizzare artisti e realizzare dischi in cui confluiscano meticciandosi alla stregua di intrigante meltin’ pot i generi musicali che ama da sempre: jazz, jazz-rock, fusion, progressive, musica sperimentale, etnica, Canterbury Sound sopra tutti. Pavkovic è produttore, tour manager, promoter ma prima di tutto un grandissimo appassionato dei generi suddetti: nativo della Bosnia ha vissuto in Italia per ben vent’anni, nella mia città per la precisione, Bari, ma intanto è divenuto un indefesso cittadino del mondo viaggiando continuamente, alla perenne ricerca di stimoli musicali sempre nuovi e di musicisti ‘creativi’.
Già: Musica Creativa, Jazz-Rock, Progressive, Progressive Jazz, Psichedelico-Sperimentale, sono concetti/etichette che conobbero nella fine anni ’60 e per tutti i ‘70 il loro massimo splendore grazie ad artisti europei meravigliosi quali i britannici Soft Machine sopratutti che sperimentarono, contemporaneamente all’incredibile Miles Davis di In A Silent Way e Bitches Brew sull’altra sponda dell’Atlantico, nuovi affascinanti connubi cerebrali di jazz e rock colmi di acidi slittamenti para-psichedelici; e poi Matching Mole (creatura del transfuga S.M. Robert Wyatt), tutta la scena progressive-jazz di Canterbury, Hatfield and the North, Keith Tippett, Cantipede, gli sperimentalismi di Henry Cow e di lucide ‘crazy heads’ come i lisergici Gong di David Allen.
Spostandoci su un coté prettamente jazz tardi ‘70 non possiamo per amor di verità cronologica non ricordare che agirono in quegli stessi anni con furore ‘sperimentale’ il chitarrista (!?) inglese Derek Bailey, la scena tedesca free jazz di musicisti incredibili quali Peter Brotzmann, Alex Von Shlippenbach, Han Bennink, sino al loft-jazz creativo avant-garde newyorkese di ‘fiori selvaggi’ come Sam Rivers, Leo Smith, Julius Hemphill, Oliver Lake, David Murray.
Se si pensa anche che in quegli stessi anni sbocciavano gli estremismi ‘africaneggianti’ e militanti di Art Ensemble of Chicago (mentre incidevano ancora jazzisti fieramente outsider come Albert Ayler), gli sperimentalismi astrusi di Eugene Chadbourne, si può avere una vaga idea di quale esaltante decennio furono gli anni ’70 (dello scorso millennio!) per l’avanguardia europea ed americana.
Leonardo Pavkovic, figlio legittimo musicalmente e stilisticamente degli accadimenti e degli artisti suddetti, dando vita nel 2001 a MoonJune Records ha molto probabilmente voluto esprimere (a cominciare dalla ragione sociale mutuata dall’indimenticabile brano di Robert Wyatt immortalato dai S.M. in Third, 1970) la sua incommensurabile riconoscenza a questa scena ed ai suoi artisti gloriosi, di cui molti hanno continuato a ‘sperimentare’ nelle decadi successive, diventando pigmalione di alcuni di essi, raccogliendone il testimone ed assicurandogli continuità estetica e culturale attraverso una quarantina di lavori MoonJune Records realizzati dal 2001 ad oggi; solo un’altra etichetta può fregiarsi di tanto , la Cuneiform Records..
MoonJune Records
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Soft Machine Legacy: “Live Adventures” and others S.M. MoonJune records
Se si pensa che i Soft Machine si sono riformati nel 2002 proprio su ‘istigazione’ di Pavkovic , prima come Soft Works e poi con la sigla Soft Machine Legacy, si può capire da quale spirito quest’uomo sia stato sempre animato; i suoi rapporti con musicisti come Hatfield &The North, Allan Holdsworth sono fraterni.
Di Soft Machine Legacy sono usciti per MoonJune cinque lavori più due live dei Soft Machine: uno del 1975, “Floating World” con il grande chitarrista Allan Holdsworth, Roy Babbington al basso, Karl Jenkins tastiere-sax, John Marshall drums ed il decano Mike Ratledge organ/electric piano/synth; l’altro, “Drop”, del 1971 con Elton Dean.
Dei cinque S.M.Legacy tre sono registrati prima della morte di Elton Dean nel 2006: “Live at the New Morning” (2 CD e DVD, Inakustick Records, 2006), “Live in Zaandam” (2005) e “Soft Machine Legacy” con una fantastica formazione a 4, che comprendeva oltre il già citato membro storico John Marshall, sopraffino strumentista , lo spettacolare John Etheridge alla chitarra (‘esorcista’ viene definito nelle info M.June) più i due ‘seminali’ musicisti Hugh Hopper, bassista e compositore geniale (nei Soft già dal 1969, anno di uscita del secondo album) e l’ineguagliato sassofonista Elton Dean operativo poco più tardi dal doppio vinile “Third” del 1970, quello della virata clamorosa dal dada-psyche-pop dei primi due albums con R.Wyatt e Kevin Ayers al seminale psyche-prog-jazz che sarà poi esplorato nei visceri più profondi da Ratledge e c. (attraverso creature sonore sempre mutanti) sino al 1974 in “Fourth”, “Five”, “Six” e “Seven”.
Dopo la morte di Dean i S.M.Legacy realizzano l’ottimo “Steam" “nel 2007, con la ripresa di Chloe & The Pirates di M.Ratledge originariamente inciso nel Six del 1973.
Theo Travis è chiamato da Steam in poi ad assolvere l’ingrato compito di rimpiazzare Elton Dean: il ‘suono’ e la liricità del sassofonista di Nottingham difficilmente saranno eguagliati da qualcuno, ma Travis ad ogni modo dispone di tantissime frecce al suo arco; è sax tenore e soprano dal linguaggio fluido e creativo, flautista evocativo ed armeggia anche ai loops.
Dopo la triste dipartita anche di Hugh Hopper nel giugno 2009, Legacy proseguono nel glorioso sentiero jazz-rock fusion tracciato quarant’anni fa dagli antesignani S.M con il bravo Roy Babbington al posto di Hopper (era già stato dal ‘73 al ’76 bassista dei Soft, in album come Seven) e lo fanno con spirito mai stanco o fiaccamente emulativo, guardando in avanti non verso colonne d’Ercole estetiche già abbondantemente varcate, ma con l’intento (ampiamente raggiunto) di dispiegare nel nuovo millennio un jazzismo fusion sempre avventuroso e ricco di sorprese.
Ne è cartina al tornasole il recentissimo “Live Adventures” (registrato magnificamente) uscito nel 2010, realizzato durante il tour europeo dell’ottobre2009 tra Austria e Germania, al Posthof di Linz e al The Village di Habach, disco dedicato a Hugh Hopper ed Elton Dean.
Che il dna S.M. sia sempre ben presente nei Legacy è dimostrato dalle riprese/rivisitazioni di brani ormai storici come quella da brividi di As If (da Five) rinominato Has Riff II: quasi nove minuti di incredibile tensione ‘atmosferica’ che vede protagonisti il ‘misterico’ flauto shakuhachi di Theo Travis e la chitarra spettrale/avvincente di John Etheridge; superlativo biglietto da visita di un’ora di performances strumentali coinvolgenti, mai noiose che raggiungono vertici espressivi proprio nelle altre riprese: quella Gesolreut (sempre di Ratledge, come As If) che appariva nel Six del 1973, Facelift (firmata Hopper, da Third), The Nodder e Song Of Aelous di Karl Jenkins. In questi due ultimi episodi si afferma il lato più pastorale, intimista e fascinoso del suono di S.M.L., mentre altrove nei brani autografi (Grapehound, In The Back Room, The Last Day) a condurre le danze son sempre gli intricati solismi intrecciati di Travis ed Etheridge, solo a tratti un po’ stucchevoli.
In conclusione dell’argomento Soft Machine va detto che per la Moon June Records sono anche usciti in una decade di vita anche due cd a nome Elton Dean: "Bar Torque" con il chitarrista Mark Hewins e "The Unbelievable Truth" con Wrong Object; e due di Hugh Hopper: "Numero D’Vol" e "Dune" con Yumi Hara.
SOFT MACHINE LEGACY Facelift London 2007
Soft Machine Legacy, The Nodder,Live Roma 2009
Soft Machine Legacy.(John Etheridge SOLO)-Two Down.~Kite Runner.
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Hulloder
AllAboutJazz
Dennis Rea: “Views From Chicheng Precipice”
Due tra le uscite più intriganti e innovative della MoonJune di questo 2010 che sta per finire rimangono “Views From Chicheng Precipice” a nome Dennis Rea e “Save the Planet” di Thopati Ethnomission, due chitarristi estremamente dotati tecnicamente e creativamente: entrambi coinvolti in un’ardita, indubbiamente molto affascinante, operazione di fusione tra jazz , rock, avant-garde e tradizioni musicali etniche.
Più sperimentale Views From Chicheng Precipice, lavoro dell’artista newyorkese Dennis Rea (già protagonista in MoonJune di dischi/progetti art-rock e free-jazz come Moraine e Iron Kim Style), nel quale traduce insieme ad un eccezionale collettivo di artisti il suo grande amore per la musica dell’Est Asiatico, Cina, Giappone, Korea e Vietnam. Rea oltre a rendersi meritevole di aver ‘iniziato’ le platee cinesi al jazz moderno, al rock ed alla musica sperimentale ha anche scritto un libro, ‘Live at the forbidden City: Musical Encounters in China and Taiwan’ dopo averci vissuto dal 1989 al 1993.
Le dinamiche/coordinate musicali attraverso le quali ci si avventura in quella che è a tutti gli effetti una sorta di East-West fusion, matrimonio trasversale tra il patrimonio avanguardistico occidentale e l’incantevole tradizione etnica orientale sono davvero inusitate: anche negli episodi più minimali e sperimentali (Tangabata, 15:55; Aviariations on “A Hundred Birds Serenade the Phoenix”, 6:51) tonalità ed armonie degli antichi e delicati temi etnici cinesi, taiwanesi e vietnamiti sono ben salvaguardati e godibili; suggestivi strumenti tradizionali e rituali come koto (Elizabeth Falconer) , shakuhachi (John Falconer), dan bau-Naxi jaw harp (Dennis Rea), baliset (Kevin Millard) convivono in uno spazio aritmico profondo con i volatili schizzi timbrico/cromatici di bamboo flute- bass clarinet (James Dejoie), trombone (Stuart Dempster), con le chitarre elettriche e resonator di Dennis Rea, cello (Ruth Davidson), violino (Alicia Allen) sino alle incursioni free di batteria e percussioni. Il tutto ha il raro sapore di un’inedita ricetta: essa contiene ben amalgamati spinte in avanti di jazz free contemporaneo ed esili, fascinosi stupori esotici.
Da assaggiare e nutrirsene, decisamente: irrorerà di sangue fresco le vostre sinapsi e amplificherà enormemente le onde ricettive della vostra anima!
Three Views From Chicheng Precipice (after Bai Juyi)
Tangabata
DennisRea
Tohpati Ethnomission: “Save The Planet”
Thopati é un chitarrista indonesiano di fusion e jazz-rock non meno abile ed eclettico di Dennis Rea, e va davvero riconosciuto a Pavkovic e MoonJune l’avere avuto ottimo fiuto nell' averlo incluso nella sua scuderia. Thopati con "Save The Planet" gioca in casa, nel senso che (a differenza di Rea) lavora su un materiale etnico, quello indonesiano, che fa parte del suo bagaglio/dna musicale.
Thopati Ethnomission (il collettivo che lo accompagna) con questo pregevolissimo “Save The Planet”, carico anche di positivi messaggi ‘ambientalisti’, conferma che quella delle commistioni jazz-etnica è una delle tendenze privilegiate della MoonJune Records.
Brani come Selamatkan Bumi, Ethno Funk, Perang Taning mettono molto in rilievo (Demas Narawangsa: drums, indonesian percussion, rebana, kempluk; Endang Ramdan , kendang, gong, kenang ) l'accentuata dimensione percussiva tipica della tradizione indonesiana ‘tagliata’ dai dinamici arrangiamenti jazz-rock di Tohpati. Save The Planet è opera, come dicevo, meno sperimentale di Views From Chicheng Precipice ma molto intrigante, attraverso le sue dinamiche agili e poliritmiche, nel saper veicolare al pubblico europeo ‘mood’ etnici praticamente sconosciuti.
Nei fraseggi eleganti e complessi della chitarra di Thopati ritroverete qualcosa di John McLaughlin, Terje Rypdal e tantissime altre influenze di jazz europeo/americano, ben piegate armonicamente all’urgenza di diffusione del patrimonio musicale indonesiano.
Save The Planet
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Wally Boffoli
3 commenti:
Bellissimo articolo, e ottimo blog! Complimenti! Conosco Leonardo Pavkovic personalmente, e ho avuto il piacere di ascoltare tutti i dischi pubblicati da Moonjune Records - alcuni dei quali sono stati da me recensiti sul mio blog, dove ho anche inserito il link al vostro sito. Mi ha fatto particolarmente piacere leggere la recensione del disco di Dennis Rea, che è un mio caro amico.
A risentirci presto, e complimenti!
Raffaella Berry.
grazie 1000 Raffaella, sono Wally l'autore dell'articolo.
Grazie per il link al nostro blog.
Ricambierò!
Grazie del commento che hai lasciato sul mio blog, e grazie dei complimenti! Io sono italiana al 100%, anche se vivo da 2 anni negli USA. Per questo motivo scrivo in inglese, e anche perchè ho iniziato la mia 'carriera' come recensore (al femminile!) su siti anglofoni. In ogni caso, cerco di sostenere quanto più possibile anche i nuovi gruppi e artisti italiani, e dar loro rilievo in ambiente internazionale.
A presto e grazie ancora,
Raffaella.
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