foto Mary Jo Manzanares |
"Bitches Brew Beyond" (Wallace Roney Group)
"Tribute to Miles" (Herbie Hancock, Marcus Miller, Wayne Shorter)
Il primo set, "Bitches Brew Beyond", ha visto la partecipazione di un composito organico, diretto dal trombettista Wallace Roney, da molti considerato uno dei migliori interpreti del "suono" di Miles. Il richiamo all'album "Bitches Brew", inciso da Davis in tre sedute (19-21 agosto 1969, subito dopo il raduno di Woodstock), è la conferma dell'esigenza ancora attuale di (ri)leggere in una chiave diversa uno dei semi più fruttuosi della produzione davisiana, in grado di riflettersi "oltre" il linguaggio jazz, introducendovi la semantica propria del rock (James Brown e Sly & The Family Stone e non solo), con sapienti richiami all'Africa, al folk e al funk, mediante l'utilizzo di una strumentazione elettrica con plurime sezioni ritmiche (2/3 tastiere, 2 bassi, 4 drums e percussioni). Sulla fondamentale importanza di "Bitches Brew" dovremo tornarci su Distorsioni. La line-up scelta da Roney (tromba) ha cercato di affiancare al fratello Antoine (sax soprano e tenore), alcuni protagonisti a fianco di Davis in quel periodo, in grado di replicare lo spirito e la lezione di quella straordinaria incisione: Bennie Maupin al clarino basso e sax alto, già sideman di Davis e partecipe alle incisioni di "Bitches Brew", poi con Hancock nel gruppo "Headhunters"; Doug Carn (organo Hammond); Robert Irving (tastiere, con Davis, 1980-88), Buster Williams (al basso, tra i maggiori interpreti dello strumento, attivo dal '60, tra le molte collaborazioni, anche con Miles Davis e Herbie Hancock-Mwandishi); Al Foster (drums, nei gruppi di Davis, dal '72 al 1989); completava l'organico Dj Logic (Jason Kibler, attivo dal 1990 in diversi contesti ). "Bitches Brew Beyond" è un progetto voluto fortemente dagli Eredi di Miles Davis (dal figlio Erin in particolare) e dalla Columbia/Legacy, nell'ambito delle celebrazioni dei 40anni da quelle storiche incisioni: dobbiamo segnalare che, purtroppo, il concerto del gruppo di Roney non è stato programmato nei festival estivi italiani. Il repertorio del set (dalle 21,00 alle 22,30) condotto da Wallace Roney, si è sviluppato attraverso tre lunghe medley, comprendente alcuni brani tratti dallo storico album (Bitches Brew, Sanctuary, Spanish Key, Pharaoh's Dance), oltre ad altri titoli di Davis del periodo 1968-1972 (tra cui Water Babies, Directions, In A Silent Way, It's About That Time).
L'esito del concerto è stato all'altezza delle attese e ben compreso da un pubblico non solo composto da davisologi: fondamentale la tessitura ritmica di Al Foster e Buster Williams, con le tastiere di Irving a dipingere fondali e spiccate punteggiature (specie al piano acustico), mentre Doug Carn dava sfoggio della sua consolidata esperienza all'Hammond, con gli accenti più bluesy; convincente la prestazione di Dj Logic, essenziale nella sua rifinitura del sound, a volte in grado di sopperire all'assenza nell'organico per questo concerto di Joe "Foley" McCreary alla chitarra. Il ruolo delle ance e dei fiati era fortemente sostenuto da Bennie Maupin e Antoine Roney, in grado di fondere i timbri del clarino basso in perfetta sintonia con le frasi più leggibili del sax; merita una considerazione a parte Wallace Roney, perfettamente calato nella parte di leader misurato, mai sopra le righe, capace di evocare in molti spunti la tromba di Miles e soprattutto i suoi "silenzi", all'interno di quel magma sonoro tipico del periodo davisiano degli anni settanta.
Il secondo set della serata aveva inizio verso le 22,45 e vedeva protagonista un autentico "supergruppo", creato appositamente da Marcus Miller per celebrare degnamente "Tribute to Miles": un quintetto con Herbie Hancock alle tastiere (piano, synt Korg e pianola Roland), Wayne Shorter (sax soprano e tenore), Marcus Miller (basso elettrico e acustico, clarino basso), Sean Jones (tromba) e Sean Rickman (drums).
Il concerto è stato fortemente evocativo e gli artisti sono riusciti a fornire una "lettura" aggiornata della musica di Davis, sviluppandola e quasi srotolandola come in un film della sua vita. Non occorrono molte considerazioni per affermare la caratura di Hancock e Shorter: Herbie Hancock era già passato da Juan-les-Pins la prima volta, nel 1963, al piano con il quintetto di Miles (documentato nell'album "Miles Davis In Europe"), con George Coleman al sax, Ron Carter al basso e Tony Williams alla batteria; Herbie ha condiviso con Davis una lunga stagione (1963-72) per poi formare propri gruppi (tra gli altri, Headhunters e Mwandishi) e prendere altre direzioni negli ultimi decenni.
Wayne Shorter, già cresciuto alla scuola di Art Blakey, ha fatto parte dello storico quintetto di Miles dal 1962 al 1970 e ha partecipato alla fondazione del gruppo Weather Report (1971-86) con Joe Zawinul.
Marcus Miller, artefice dell'impresa di mettere insieme il gruppo, ha segnato l'ultimo periodo della vicenda artistica di Miles (1980-90): compositore di gran parte delle musiche per gli ultimi album di Davis del periodo Warner Bros. ("Tutu", 1986; "Music from Siesta 2", 1987; "Amandla", 1989), si è imposto non solo con una tecnica personale nell'utilizzo del basso elettrico (tecnica "thumb" nello slapping), ma esprimendo anche una vasta cultura musicale come polistrumentista (clarinetto basso, tastiere, synt). Il set ha prodotto una musica coinvolgente, capace di creare una positiva tensione tra i protagonisti, ben coadiuvati dal trombettista Sean Jones, che non ha cercato di imitare Davis a tutti i costi, con interventi solistici puntuali; ai drums, Sean Rickman ha retto bene la composita base ritmica funky di Hancock e di Miller. Le esecuzioni del quintetto hanno ripercorso un trentennio della musica davisiana (dall'album "Walkin'" ad "Amandla"), scegliendo brani considerati i tratti distintivi delle varie "epoche" di Miles: il periodo hard-bop con Milestones e Dr. Jackle eseguita in chiave rap (dall'album "Milestones", 1958); la fase modale di All Blues e So What (da "Kind of Blue", 1959), Someday My Prince Will Come (dall'omonimo album, 1961); dal breve periodo del free-bop, con Little One (da "E.S.P.", 1965), Orbits e Footprints (da "Miles Smiles", 1966), per concludere con il Davis elettrico e fusion, con Water Babies (da "Water Babies", 1967), Directions (da "Directions", 1968), It's About That Time (da "In A Silent Way", 1969), per concludere con alcuni hit degli anni ottanta, da Jean Pierre (da "We Want Miles", 1981), Time After Time (da "You're Under Arrest", 1984), Tutu (da "Tutu", 1986) e Amandla (da "Amandla", 1988).
"Tribute to Miles" si è concluso dopo quasi due ore, con due encores (Tutu e Amandla), completamente trasfigurati nella loro riscrittura e che ha visto Hancock imbracciare la pianola Roland a tracolla, con un travolgente boato del pubblico. All'uscita dalla Pinède, positive e convincenti approvazioni, con le emozioni che faticavano a svanire nella notte.
Fremon
Jazz à Juan 2011
JazzJuan2011
Alcuni siti utili su Miles Davis:
Miles Ahead
Kind Of Blue
Miles Beyond
The Last Miles
"Tribute to Miles":
Jazz à Juan - Journal du 16 juillet 2011
Jazz à Juan 2011 - Tribute to Miles
Jazz à Juan - Tribute to Miles (2)
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