mercoledì 8 giugno 2011

AFRICAN HEAD CHARGE: "Songs of praise" (1990, On-U Sound)

L'Africa è un posto di una bellezza violenta e violentata. L'Africa è da sempre il secchio dove il mondo occidentale mette la sua merda. La terra dove ci macchiamo dei peccati più infami e dove cerchiamo di lavarli con le adozioni a distanza. Dove spediamo armi e cibo, spesso sulle stesse navi. L'Africa è quel Continente che ci toglie la fame mentre stiamo stravaccati sul divano a ingozzarci di patatine e cereali ai grassi idrogenati. L'Africa è un Continente scomodo che ci fa comodo. Io non ho i soldi per andare nemmeno all'Idroscalo, figurasi in Africa, che poi si spartiscono tutto le ASL per i vaccini e l'agente di viaggio con le Hogan ai piedi e l' aria di chi ha girato tutto il mondo ma a spese tue.
Però a un giro in Africa di tanto in tanto non rinuncio. La mia Africa si chiama African Head Charge. Non è un Africa del tutto incontaminata ma non è nemmeno quella sotto vetro che ti offrono nei villaggi turistici.
E' però un'Africa fiera.
Un'Africa di canne
d’avorio, di canti sciamani, di campanacci e unghie di capre selvagge ma, soprattutto, di tamburi. Perché il progetto African Head Charge nasce dall’idea di un percussionista ghanese, Bonjo I. Bonjo è Africano nel sangue e nel ritmo ma londinese di adozione. Sbarca nella capitale inglese alla fine degli anni Sessanta e presta i suoi servigi per Dandy Livingstone, il rude boy divenuto famoso per Rudy, a message to you. Finirà quindi in pianta stabile tra le fila dei Creation Rebel, una delle prime band a entrare nelle grazie di Adrian Sherwood, uno dei pochi produttori bianchi che hanno davvero carpito il segreto del ritmo giamaicano e ne hanno intuito la potenza e il margine di elaborazione che esso offre. Bonjo Noah e Adrian sono due fanatici del ritmo, due percussionisti che suonano usando strumenti e organi sensoriali diversi.
Le mani e i tamburi di Mamma Africa il primo, le orecchie e i canali del mixer il secondo. Le mani, le orecchie, il mixer e i tamburi di Sherwood e Bonjo si incontrano dentro la musica degli African Head Charge, che nasce nell’ anno di "My life in the bush of ghosts" e proprio di quel disco sfrutta la parodia estetica e anagrafica per il disco di debutto "My life in a hole in the ground". Sherwood ha un cognome che evoca giungle e foreste e la musica degli AHC è così che suona. Come un viaggio dentro le foreste africane. "Songs of Praise", quinto album di una lunga serie che nonostante un periodo di pausa per il forzato rientro in Ghana di Bonjo I, va avanti fino ad oggi, è il capolavoro che segna il loro ingresso negli anni Novanta, un incantevole giardino di Gaia che lascia penetrare la musica tribale e cerimoniale dei popoli neri dalle profondità del dub, da piccoli tagli di reggae elettrico, da un loop circolare di campionamenti che invadono lo spettro audio e ne accentuano lo straniante effetto etno-psichedelico. Macchine e istinto selvaggio concertano per mettere su un denso gioco di equilibri tra forza primitiva e calcolo tecnologico, in
un'impressionante sequenza di canzoni dalla forza arcana e misteriosa. La forza di un paese dove regnano leoni ed elefanti. La forza di un continente che ogni giorno muore e ogni giorno rinasce. Nonostante noi si tenti di annientarlo definitivamente.
Franco Lys Dimauro

African Head Charge - Hymn
Free Chant (Churchical Chant of the Iyabinghi)
Cattle Herders Chant

On-U Sound

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