C'è un tizio negli Stati Uniti, precisamente a Baltimora, si chiama Ian Nagoski. Nella sua città, il tizio possiede un negozio di dischi, ma in particolare si occupa di recuperare vinili a 78 giri del periodo tra la Grande Guerra e la Grande Depressione, da fondi di magazzini, condomini abbandonati e cantine dimenticate, con particolare interesse per la musica proveniente dalla massa di migranti che,
all'epoca, si trasferiva oltre Atlantico in cerca di un futuro migliore. Potrebbe sembrare la solita storia di strambi personaggi che sembrano popolare la “Terra delle Grandi Opportunità”, ma Nagoski va oltre lo sterile collezionismo, e questo diventa per noi interessante, visto che, dal 2007 in poi, ha fatto uscire un paio di compilation di musica etnica risalente ai primi decenni del secolo scorso e un disco dedicato al suo mito, la stupefacente cantante greca Marika Papagika. Costei, negli anni venti, produsse qualcosa come 225 dischi e gestì per anni a New York un locale chiamato Marika's, non soltanto un posto dove ascoltare le sue struggenti canzoni e il suono straniante del cimbalon del marito Kostas, che la accompagnava, ma anche un punto di ritrovo per gli immigrati non solo greci, ma anche armeni, slavi e, oggi pare impossibile, turchi.
Ecco, io sono grato a Ian Nagoski: la sua ultima fatica, questa raccolta di tre CD che, come ci chiarisce il titolo, riguarda la musica dei sudditi dell'allora Impero Ottomano emigrati negli Stati Uniti nel periodo 1916/1929 è, per me, a meno di imprevisti capolavori autunnali ed invernali, il Disco dell'Anno. Con le sue incisioni fruscianti e approssimative ci trasporta in una realtà dura, tra struggente nostalgia per la patria lontana, fatica per il lavoro sottopagato, umiliazioni subite, ma anche speranza per il futuro e orgoglio per le proprie irrinunciabili radici. Non è musica facile, per le nostre orecchie.
Non lo sono i suoni striduli e inusuali degli strumenti balcanici, né le strutture ritmiche così lontane dal nostro abituale, forse banale, quattro quarti, né tantomeno i gorgheggi acuti e la lingua incomprensibile. Ma provate a lasciare che le vostre orecchie si abituino a tutte queste sollecitazioni “strane” e il fascino di queste atmosfere vi trascinerà senza scampo. A titolo di esempio, propongo l'ascolto di una sola canzone, la struggente, meravigliosa Smirneiko Minore, appunto di Marika Papagika. Autorevoli critici hanno paragonato questa antologia alla ultracelebrata “Folkways”, la bibbia della musica tradizionale americana: per quanto mi riguarda mi associo assolutamente a costoro, aggiungendo che, se in quel caso i suoni con cui ci dobbiamo confrontare sono per noi acquisiti, qui la goduria è moltiplicata dalla “differenza” del materiale. Trovate questo disco, è un capolavoro.
Luca Sanna
Tompkins Square Label
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