Avevo 15 anni, un mio amico più grande mi aveva prestato un cd dei Jesus Lizard, era “Goat” se ricordo bene, dopo aver ascoltato un paio di pezzi pensai subito “Cazzo, quanto devono spaccare dal vivo questi qui!”. Era il 1999, i Jesus Lizard si erano appena sciolti, continuai a collezionare tutti i loro Lp sperando che prima o poi sarebbe arrivato il giorno in cui finalmente avrei assistito dal vivo ad un loro concerto.
Quel giorno è arrivato, i Jesus Lizard si sono riuniti nel 2009 e li vidi in un indimenticabile doppio show all’All Tomorrow’s Parties di Minhead nel maggio dello stesso anno. Dal 1999 al 2009 sono passati dieci anni ed i Jesus Lizard produssero un solo live ufficiale: “Show” nel lontano 1994. Show è un documento fondamentale, una testimonianza del periodo migliore dei Jesus Lizard, una band con un suono impressionante, raffinato (grazie ai fantastici arpeggi del maestro Duane Denison) e grezzo contemporaneamente, selvaggio e metropolitano, il tutto condito dai vocalizzi di David Yow, forse l’unico cantante punk vivente degno di questo nome (non me ne vogliano Iggy Pop e John Lydon, ma sono diventati anziani).
Ma Show è solo un documento audio mentre “Club” è anche un dvd dove è possibile farsi una minima idea di che razza di mostri di palcoscenico abbiamo davanti. Lontani dalle accurate, quasi maniacali sessioni di registrazione di Albini i Jesus Lizard si scoprono una macchina da guerra altrettanto perfetta che in studio non sbagliano un passaggio, una nota, un attacco (anzi uno lo sbagliano ed è praticamente l’apertura del disco), la loro scaletta farebbe invidia a qualsiasi altro gruppo noise-rock; uno dopo l’altro un susseguirsi di bordate micidiali assaltano l’ascoltatore, ci sono tutte le hit: Puss, Nub, Mouth Breather, Blockbuster, Boilermaker.
Se “Show” è stato un disco seminale per gli anni novanta, “Club” è un disco importantissimo per farci capire cosa sono stati gli anni ’90: si saliva sul palco e si suonava senza troppi fronzoli, senza frangette colorate, non c’erano gli emo, non c’erano gli hipsters (o almeno ancora non si chiamavano così), le All Stars della Converse costavano 10 euro a paio. Il disco si ascolta tutto d’un fiato, non è uno di quei live che sono più fruscio e interventi del pubblico che altro, il sound della band è genuinamente rappresentato nella registrazione e non resta che chiudere gli occhi ed alzare il volume al massimo se si vuole avere per un attimo un millesimo di sensazione di essere lì, con David Yow che ti piomba sulla testa sudato e senza camicia con i suoi stivali da cowboy. Dimenticavo: il disco comprende solo registrazioni dal 2009 in poi, ma questo è un particolare ininfluente, non se n’è accorto nessuno.
Nick Zurlo
Chunklet/Jesus Lizard-Club
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