domenica 24 luglio 2011

LE CORBEAU: "Moth On The Headlight" (2011, Fysisk Format Records)

Dalla Norvegia ci giungono i rarefatti suoni di questa band il cui nome trae origine dall'omonimo classico del cinema francese, a testimoniare, se ce ne fosse bisogno, l'ispirazione “noir” della loro musica. I nostri sono alla seconda prova sulla lunga distanza, dopo “Evening Chill”, uscito nel 2009, che ha creato intorno a loro un piccolo culto. Il gruppo si compone di cinque elementi, due chitarristi, uno dei quali utilizza una “baritone guitar”, basso, batteria e una cantante la cui voce si alterna e si intreccia con quella del chitarrista e “band leader” Oystein Sandsdalen, mentre in diversi pezzi è presente, come “guest star”, un sax.
Come il nome e la formazione suggeriscono, il gruppo ci colpisce con suoni oscuri, a volte dissonanti, in cui le chitarre picchiano duro sui toni bassi e quando ad esse si somma il sax, come accade ad esempio in Yvette Rosemont e 1962, rispettivamente secondo e terzo pezzo dell'album, si ottiene un impasto che non può non rimandarci ai mitici Morphine. Un passo indietro merita la breve quanto paradigmatica title track, che ci introduce nel migliore dei modi nell'oscurità dell'album, rischiarata solo dai fari intorno ai quali si affollano le falene del titolo. È questa la cifra particolare dell'album, la cui potenza espressiva ed evocativa passa poi attraverso la lunga Mizogumo (Head In The Trees), quasi 10 minuti che ci trasportano in una landa artica, mentre l'aurora boreale squarcia il cielo nero con le sue sciabolate multicolori, oppure Black Belvedere, che parte con un arpeggio storto e distorto e un cantato sepolcrale, sui quali si accumulano strati di chitarroni e, sullo sfondo, gli ululati di un sassofono imbizzarrito, quasi un tributo al grande David Jackson. Si passa poi alla più aggressiva e veloce (relativamente ai temi trattati...) Another Moment When Time Stands Still, che paga il dovuto tributo allo shoegaze, con le chitarre al limite del feedback e la voce di Oystein che declama opportunamente.
Più rallentata, ma sulla stessa possente falsariga si pone la dilatata e scurissima Remains, giocata sulle note basse e distorte della baritone guitar e su un cantato lontano, quasi sopraffatto dalla potenza del background chitarristico, mentre qualche squarcio di luce percorre, a dispetto del titolo, Drumming Of Heavy Rain, in cui ricompare più in evidenza il sax.
L'album si conclude quindi con 1959, quasi un modo per sfumare verso il silenzio. Non un ascolto allegro, quindi, e nemmeno facilissimo, ma sicuramente un disco bisognoso di attenzione, capace di evocare atmosfere boreali, steppe buie e innevate, città immerse nella notte polare, bagnate dalla gelida pioggia norvegese. Per testimoniare quanto detto, è propedeutico l'ascolto e la visione dell'estratto di un concerto dei nostri nella natia Oslo, che contiene Yvette Rosemont, Moth On The Headlight, Drumming Of Heavy Rain.
Luca Sanna

Fysisk Format Records

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