lunedì 17 gennaio 2011

MOVIES: "Pontypool" (Bruce Mc Donald, 2009)

Come poter essere innovativi in un genere ormai stra-abusato come quello degli zombie-movies, come riuscire a girare quasi interamente un film ambientandolo nello studio di una stazione radiofonica senza cadute di ritmo?
Rispondendo a questi due requisiti "Pontypool" trova i suoi punti di forza in un film che si svela gradualmente con il precipitare degli eventi e giocando di sorpresa riesce ad evitare la prevedibilità.
Tratto dal romanzo di Tony Burgess e diretto dal canadese Bruce McDonald il film narra di un epidemia che trasforma i contagiati in morti viventi, mentre tutto questo viene commentato in diretta da un’emittente radiofonica, in cui lo speaker e lo staff tecnico assistono indirettamente al suo propagarsi, tramite la cronaca di inviati, telefonate di testimoni e al momento non sembrano correre rischi.
Ma l’illusione non dura molto: mentre stanno cercando di capire cosa stia succedendo, un’orda di infettati incombe e i protagonisti rifugiatisi nella camera insonorizzata scoprono che la causa del contagio si diffonde via etere, insita nel linguaggio verbale; loro stessi ne son stati la causa.
Frasi e parole si fissano nella mente, come una canzone o un tormentone di quelli che non riusciamo a toglierci dalla testa, un loop mnemonico: ma qui cambiano di significato, in un corto circuito metalinguistico, e si diffondono tra la massa come la memesi di un proverbio, una barzelletta, una superstizione.
Concetto non troppo lontano da una realtà, in cui termini e frasi, coniati in determinati contesti, prendono il posto del significato stesso (vedi Bunga Bunga, Chi è Tatiana? E’ lui o non è lui? Ci sono cose che voi umani… etc.) e nel loro ripetersi e diffondersi si sostituiscono alla capacita’ di analizzarne i contenuti.
Come già aveva dimostrato Orson Welles nel 1938 con il suo adattamento radiofonico de "La Guerra dei Mondi", il romanzo fantascientifico di H.G. Wells, che narrando dell’invasione terrestre da parte dei Marziani in forma di cronaca, suscitò reazioni di panico in una parte dell’audience statunitense, convinta che i fatti si stessero realmente svolgendo.
Il peso e il potere delle parole, il ritmo che ne scandisce il tempo, sembrano essere il vero mostro, non solo di questo film, ma allo stesso tempo sono le uniche armi con cui confutarlo, il silenzio l’unico modo per sconfiggerlo, l’isolamento la via di salvezza dalla pandemia verbale.
Ambientato e realizzato in Canada, dove curiosamente anche Romero si è trasferito per girare le sue più recenti produzioni, è sicuramente oltre che un film piacevolmente inquietante, anche un esempio di rara innovazione narrativa.
Federico Porta
"Pontypool", trailer

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