giovedì 20 gennaio 2011

JOY DIVISION - Il libro Odoya Edizioni in uscita di Mick Middles e Lindsay Reade + A Joy Division Story

Il nuovo libro: "IAN CURTIS - La vita e i Joy Division" (The Life of Ian Curtis Torn apart), by Mick Middles e Lindsay Reade

Gli omaggi, sotto forma di libri e film, a Ian Curtis, e ai Joy Division sembrano non avere mai fine. La sua figura tragica continua ad affascinare (oltre che i fans) addetti ai lavori e chi lo conobbe. Dopo "Così vicino, così lontano" (Giunti, 1996) scritto della vedova Deborah Curtis, ristampato di recente; dopo il film "Control" di Anton Corbijn uscito nel 2007 é in uscita ai primi di Febbraio 2011 per Odoya (collana Cult Music per quale sono già usciti ottimi libri su Frank Zappa, P.J. Harvey, Daft Punk e di Joe Boyd), un tomo di 364 pagine di Mick Middles e Lindsay Reade, "IAN CURTIS - La vita e i Joy Division" (The Life of Ian Curtis Torn apart) di cui torneremo a parlare dopo averlo letto. Per ora ci limitiamo a dire che Mick Middles é stato il primo giornalista ad intervistare i Joy Division e che ancor oggi é in contatto con loro; Lindsay Reade é stata una delle fondatrici della gloriosa Factory Records e moglie del produttore dei Joy Division, Tony Wilson.

Vi offriamo un piccolissimo stralcio del libro riferentesi all'uscita del secondo album dei Joy Division "Closer":

"Molti fan approdarono a tale registrazione solamente dopo la tragica conclusione della storia e dopo aver fissato per la prima volta la 'copertina funeraria' lo considerarono un disco cupo ed inquietante prima ancora che la puntina toccasse il vinile. Pertanto ascoltare "Closer" per la prima volta fu un momento indimenticabile. Era un disco carico di atmosfera e mistica, una musica in cui bisognava avanzare lentamente, cupa e sinistra come una grande foresta fitta, e di certo non é un'esagerazione dire che la sua comparsa postuma fu accompagnata da un peso senza precedenti nella musica pop. Era impossibile separare la terribile realtà della storia dall'ipnotica voce nell'album intitolato "Closer"".
Quella che segue é la vicenda terrena di Ian Curtis ed i suoi Joy Division narrata da Alfredo Sgarlato, (Wally).


Joy Division - A Story

A distanza di trent'anni dalla loro breve e fulminante carriera i Joy Division appaiono come uno dei gruppi più influenti su tutte le generazioni successive. Nell'ultimo decennio, quando il revival degli anni '80 ha preso piede, e gruppi come Interpol, Editors e altri mostrano chiaramente la provenienza della loro ispirazione, soprattutto quanto alla voce e ai giri di basso. Eppure all'ascoltatore dell'epoca sarebbe stato difficile pronosticarne il successo, sia pure di culto: in effetti la musica dei Joy Division sembra fatta apposta per spaventare l’ascoltatore. I suoni sono aspri e catacombali. Un basso profondissimo si staglia su tutto, la batteria è frenetica e robotica, a volte tribale, la chitarra è sporca e tagliente, piena di effetti. A volte si aggiunge una tastiera a basso costo, fredda e persino un po’ scordata. E poi la voce di Ian Curtis, baritonale e spesso alterata elettronicamente. Il primo nucleo dei JD si forma quando a Manchester nel 1976 Bernard Sumner (in arte Albrecht) e Peter Hook fanno amicizia ad un concerto di Iggy Pop e decidono di formare un gruppo. Cambiano vari batteristi, Stephen Morris (Brotherdale) sarà quello definitivo.
Fanno salti di gioia quando all’annuncio per un cantante risponde Ian Curtis. Ian è il simpatico della scuola, l’amico di tutti, l’organizzatore di eventi strampalati. Dicono gli amici che fin da bambino avesse 3 cassetti con scritto sopra: Poesie, Canzoni e Racconti. Erano vuoti, ma non lo rimasero per molto. Inizialmente il gruppo si chiama Stiff Kittens, poi Warsaw Pact, solo Warsaw (scartati per omonimia) infine Joy Division, trovato in un libro sui lager. Erano le baracche dove le donne erano costrette a prostituirsi. Si è molto discusso sulle molte citazioni del nazismo fatte dai JD. Probabilmente erano solo una provocazione ingenua, il mondo del rock indipendente era molto filomarxista e non li avrebbe altrimenti accettati.
Sin dai primi singoli, pubblicati per l'etichetta Factory, i JD hanno un discreto seguito, soprattutto sugli altri musicisti. Il primo EP, “An ideal for living”, presenta quattro brani già molto indicativi del suono della band. La rabbia e l'irruenza del punk si stemperano in una maggiore ricerca melodica e armonica. I Joy Division rimarranno fedeli al formato 45 giri, pubblicando solo su singolo molti dei loro brani più belli (Atmosphere, Transmission, Novelty, Dead souls, Love will tear us apart), poi riuniti nell'antologia "Substance (1987").
Il gruppo inizia a lavorare ad un LP, ma le session scontentano il gruppo e il materiale sarà ripreso nel doppio album postumo “Still” (1981), insieme a registrazioni live. Il primo disco ufficiale “Unknown Pleasures” esce nel 1979. Il brano d'apertura Disorder è già un perfetto esempio dello stile della band: un giro di basso ossessivo e registrato molto alto, su cui si si innestano una batteria secca e metronomica e un tagliente arpeggio di chitarra. Quindi la voce, inconfondibile, che canta di solitudine e male di vivere. Nei testi aleggia lo spirito di Camus, molto amato dai musicisti new wave e citato apertamente da Cure e Tuxedomoon. Molti brani sono su tempi lenti, su tutti l'epica New dawn fades, con un bell'assolo di Albrecht e l'ipnotica She's lost control che descrive una crisi epilettica di una ragazza. Fondamentale per il suono del gruppo è l'apporto del geniale produttore Martin Hannett, (Buzzcocks, Magazine, U2, Psychedelic furs, Stoneroses ...) personalità strana con cui i Joy ebbero anche forti contrasti, ma che seppe forgiare nel suono la visione esistenzialista contenuta nei testi, creando un sound aspro e cupo.
Molte leggende si raccontano su Hannet: che per un singolo abbia fatto incidere a Morris alcune parti nel bagno, o che per l'incisione di “Closer” abbia voluto costruita una cupola in gesso dentro lo studio per ottenere certi suoni. Ian Curtis malgrado il buon inizio del gruppo mantiene il lavoro all’ufficio di collocamento, a soli 18 anni aveva sposato Deborah e avuto una figlia, Natalie. Si ammala di epilessia e questa, forse anche perché curata male, evolve in una gravissima depressione. La goccia che fa traboccare il vaso è il fatto che Ian, ormai una rockstar, ha moltissime avventure con le fan. Con una di queste, la giornalista belga Annicke Honorè, la cosa diventa seria. Deborah chiede il divorzio. Il 18 maggio 1980 Ian non sopporta più il peso dell’esistenza e si suicida, a soli 22 anni. La band era pronta per pubblicare il 2° album, “Closer”, un capolavoro assoluto, e stava per iniziare una tournè americana già sold-out in prevendita.
"Closer" è un disco straordinario che mostra una band dalle molte potenzialità. L'apertura è Atrocity exhibition, ispirata dai racconti di Ballard, batteria tribale e chitarra sporchissima. Isolation e A means to an end sono ritmate, persino ballabili, la prima guidata dal sintetizzatore e non dalla chitarra. Il lato b si apre con la ritmata Heart and soul, cantata con tono più suadente. Quindi tre ballate strazianti Twenty four hours, The eternal quasi una marcia funebre e la splendida Decades, dal crescendo di tastiere che piacerebbe anche ad un fan del prog rock.
Una serie di brani che, nei testi e nelle melodie, mostrano una persona profondamente ferita. La tragica morte di Ian Curtis ha avuto gioco nel rendere i Joy Division un gruppo di culto? È possibile, ma senza la qualità della musica non sarebbe bastata. Riascoltata oggi la musica dei Joy Division, soprattutto in "Closer", appare ancora come qualcosa di alieno o di futuribile, mi fa pensare al monolite di “2001 odissea nello spazio”, un impressione che pochissimi altri dischi mi danno (forse solo “Remain in light” dei Talking Heads e “ Peter Gabriel IV”).
Parlando dei Joy Division non si può evitare di fare riferimento alle copertine dei dischi, realizzate da Peter Saville, il più interessante grafico degli anni '80 (insieme a Neville Brody e Vaughan Oliver). Le copertine ideate per il gruppo di Manchester sono i suoi capolavori, semplici e rigorose, classicheggianti ma anche memori dell'avanguardia di inizio '900. Unknown Pleasures è completamente nera con un piccolo riquadro al centro che riproduce graficamente lo spettro di una stella morente. Closer e Love will tear us apart in bianco con la foto di una tomba monumentale scattata nel cimitero di Genova.
A mantenere vivo il mito della band di Manchester ha contribuito il film “Control” (2007), esordio nel lungometraggio di Anton Corbijn, regista di videoclip (New Order, Depeche Mode), fotografo e autore di copertine di LP (per Nico, U2, David Sylvian). È un buon film, in bianco e nero, che si rifà allo stile della Nouvelle Vague degli anni '60. Gli interpreti sono somigliantissimi ai personaggi reali, a cominciare da Sam Riley, che interpreta Ian Curtis (curiosità: in un altro film, “24 hour party people” interpreta Mark E. Smith dei Fall!). In Italia è stato distribuito male e in ritardo. È un film che commuove chi ha amato il gruppo, ma ha un sostanziale difetto: si concentra solo sulla vicenda umana, senza far capire l'importanza del gruppo, la novità che rappresentava, l'ambiente in cui si è formato, addirittura penso che chi lo veda a digiuno di storia del rock potrebbe pensare ad un'opera di fantasia.
Alfredo Sgarlato

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