martedì 31 agosto 2010

BOOK REVIEWS: "EIGHTIES COLOURS" di Roberto Calabrò (Coniglio Editore - 2010) by Franco 'Lys' Dimauro

Eighties Colours è la storia di una rivoluzione.
Una rivoluzione perpetrata, e scorrendo queste pagine se ne afferma il sospetto, con un esercito esiguo (un centinaio di nomi in tutto tra musicisti, giornalisti, produttori e “professionisti” del settore), scarsissimi mezzi, moltissima passione e la convinzione netta di essere dalla parte del giusto.
Il giusto, allora, era donare al rock la sua essenzialità primordiale spogliandolo dai vestiti sintetici dell’ elettro-pop.
Per farlo era indispensabile riportare indietro le lancette del tempo. Sorpassare in controsenso le derive post-punk che erano degenerate nella new wave glaciale dei primi anni Ottanta, le maree furiose dell’ hardcore e del punk, risalire le correnti del prog e dell’ hard rock come salmoni pronti a deporre le uova nel posto giusto e infine trovarlo, questo posto giusto, nel rock americano ed europeo dell’ epoca beat e psichedelica. Fu questa esigenza ad innescare, un po’ ovunque, le guerre del Paisley Underground e del neo-garage. Gli avamposti italiani, questa volta, non si fecero trovare impreparati. Per niente.
Del resto molte matricole avevano fatto il loro addestramento reclute nei casermoni del punk dove vigeva la legge del DIY. Sapevano dunque darsi da fare con i mezzi allora a disposizione. Annunci, lettere, volantini, telefonate.
Molto inchiostro, molte parole, molta benzina in quegli anni. E, dopo tanto tempo, di nuovo….tanti Colori!
Roberto Calabrò ripercorre quei sei anni con l’ entusiasmo che gli è proprio, con l’ impeto di chi li ha vissuti in prima persona, di chi ha visto nascere e morire le sue band del cuore, quelle per le quali avresti sempre e comunque trovato un posto dove dormire o un pasto caldo, se ce ne fosse stato bisogno.
Quelle per cui avresti ipotecato casa pur di comprare un loro disco, se papà e mamma te lo avessero concesso.
E adesso che la musica non si compra più, che ci si è dimenticati per anni di far riparare la piastra per i nastri TDK o di comprare una nuova puntina Shure e che ci pare sempre più incredibile credere che anche noi siamo vissuti in un’ epoca dove non esistevano il PayPal, l’ email, Facebook, Youtube, Myspace, il PostePay, l’ I-Phone, l’ I-Pod, gli MP3, ora che ci pare davvero improbabile poter spedire una lettera alla Casella Postale 144 di Pavia con una banconota occultata dentro per ricevere, dopo due mesi, uno di quei fantastici gingilli che ci facevano venire la pelle d’ oca.
Un 45 giri. Un cerchio di vinile nero da far ruotare su un piatto mentre il mondo restava fermo tutt’ intorno. Un piccolo manufatto con qualche errore di stampa, senza bollino SIAE e senza nessun codice a barre. Ora che tutto questo sembra un corto circuito alle pacchiane comodità del nostro presente, Eighties Colours aggiunge un altro colore alla tavolozza di quegli anni: quello della nostalgia.
Eppure Calabrò non sceglie il taglio nostalgico ma quello celebrativo e documentaristico. Tutte le uscite discografiche del periodo vengono analizzate con qualche commento personale o attraverso le lenti dei musicisti, oppure spulciando tra le recensioni dell’ epoca, perlopiù tratte da Rockerilla, il mensile che grazie al trasporto di Claudio Sorge e Federico Ferrari si fece portavoce del rinascimento garage e psichedelico italiano e per il quale dal ’96 lo stesso Calabrò finirà per scrivere.
Il libro, ricco di fotografie e copertine del periodo, indaga sul fenomeno partendo dal 1985 e scegliendo di analizzarlo anno per anno.

Si inizia con “La nascita della scena” che documenta i centri geografici nevralgici per la fioritura del fenomeno: la Torino dei No Strange e Sick Rose, la Bologna degli Allison Run e degli Ugly Things, la Roma dei Technicolour Dream, la Toscana di Liars, Useless Boys e Pikes in Panic, la Milano dei Pression X e dei Four By Art, la Piacenza dei Not Moving e identifica proprio nell’ omonima compilation curata da Claudio Sorge l’ uscita-chiave dell’ intera scena.
Il secondo capitolo è quello consacrato a “I primi dischi”. Che sono spesso i più importanti ma che sbattono il muso sul muro di incompetenza di studi di registrazione, produttori e fonici che hanno scordato cosa voglia dire far suonare uno strumento che non sia un synth o una batteria elettronica. Prova ne siano l’ album dei Technicolour Dream o quello degli Out of time, soffocati entrambi da produzioni incerte, acerbe, ingenue, inadatte.
Si prosegue con “L’ esplosione della scena”, il capitolo dedicato al 1986, l’ anno d’ oro del garage punk mondiale e della scena psych italiana: escono Faces dei Sick Rose e Sinnermen dei Not Moving ma pure il secondo album dei Four By Art e il debutto folgorante dei BooHoos, esordiscono i grandi Pikes in Panic, gli enormi Birdmen of Alkatraz. La scena è un tino in fermentazione. La rete si allarga, comincia a guadagnare rispetto e visibilità anche fuori confine.
Il quarto capitolo fotografa “La seconda ondata” ma registra anche le prime spaccature importanti. Nascono le prime band “satellite”: piccole masse lanciate dalla forza centrifuga delle band madre e dai primi scontri di ego: come gli Steeplejack staccatasi dalla galassia dei Birdmen of Alkatraz, i Pale Dawn e i Magic Potion nati dall’ implosione dei Technicolour Dream. Ma il 1987 è anche l’ anno di Moonshiner dei BooHoos, di Keep it cool and dry dei Pikes in Panic e Young Bastards dei Kim Squad, tre mostri di energia, tre accumulatori al Nichel-Cadmio carichi come delle bombe all’ idrogeno, l’ anno dell’ esplosione della scena milanese che ruota attorno alla Crazy Mannequin di Stefano Ghittoni. Ed è pure l’ anno della seconda bottiglia di Eighties Colours. Quando la stappi, ti accorgi che è ancora effervescente. Ma che il gusto sta lentamente cambiando. Gli stili si stanno definendo, aprendo la scena ad altre influenze, a nuovi entusiasmi, a nuovi
“Colori che esplodono”; la scena garage si rinnova con l’ arrivo di nuove bands: dal beat di Barbieri e Avvoltoi al garage spiritato di Woody Peakers ed Electric Shields e di dischi come quello vigoroso dei Polvere di Pinguino e quello mod-oriented degli Underground Arrows giunti finalmente all’ agognato esordio.
Tutt’ intorno è un fiorire e moltiplicarsi di tante minuscole garage bands menzionate purtroppo anche stavolta troppo di fretta: Superflui, Monks, Five For Garage, Uninvited, etc…
“Gli ultimi fuochi” riguarda il 1989 e l’ uscita di altri tasselli importanti come From the Birdcage, Shaking Street, Umbilicus, forse gli ultimi dischi fondamentali e decisivi del movimento.
“Verso il nuovo decennio”
è il capitolo dedicato al 1990, anno di uscita di Floating dei Sick Rose, del secondo disco degli Avvoltoi e soprattutto del mini album di esordio dei Flies, autentica perla nascosta di sixties rock mondiale.
L’ ultimo capitolo è “Il fuoco che cova sotto la cenere” del decennio successivo, con qualche rapido e sommario accenno ai dischi e ai nomi che durante gli anni Novanta terranno viva la fiamma:la Misty Lane, la Face Records, la Psych Out, gli Sciacalli. Le appendici in coda al volume sono dedicate alle fanzines dell’ epoca (una su tutte: Lost Trails!!!) e ad un angolo di riflessione evocativa dove alcuni dei protagonisti mettono mano dentro la loro valigia dei ricordi.
Per chiudere, la piccola nota dolente riguarda una discografia dettagliata di tutto il materiale ufficiale uscito dal 1985/1990 ma che purtroppo omette, chissà perché, le svariate demo che allora costruirono un canale di diffusione importante e vitale per il circuito e che all’ epoca rimasero per molte band le uniche testimonianze del loro passaggio su questo pianeta come Stolen Cars, Superflui, Storks, Teeny Boppers, Silver Surfers, David and His Pals, Five For Garage, ecc. ecc. così come vengono taciute alcune uscite postume dedicate tra le altre a gruppi come Boot Hill Five, Birdmen of Alkatraz, Storks, Barbieri, Woody Peakers (mi riferisco alla collana Back Up della AUA). Una scelta sicuramente voluta ma che priva il libro dell’ aggettivo di “definitivo” che invece gli spetterebbe di diritto per lo spirito e la competenza che lo anima (che ridere invece a ridere degli strafalcioni che la stampa, soprattutto locale, dell’ epoca, riversava sui suoi ciclostilati, NdLYS).
Eighties Colours è un volume ovviamente destinato a chi, musicista, addetto al settore, semplice appassionato, visse quegli anni con l’ entusiasmo che meritavano e per chi voglia avere una esauriente guida per la riscoperta di una stagione del rock italiano che non ebbe paura di confrontarsi con un linguaggio, un’ estetica, un’ idea stessa del rock ‘n roll che non le apparteneva e che invece le diventò così familiare da poterla plasmare a proprio gusto, esplodendo dal nulla, conquistando il mondo, ritornando nel nulla.
Gli altri lo lascino riposare sugli scaffali e comprino l’ ennesima biografia su Ligabue. Qui non c’ è posto per loro, nemmeno se facessimo spazio tra i ricordi, nemmeno se volessimo conceder loro un solo giorno dei nostri anni migliori, nemmeno se volessimo far finta che abbiamo ancora la stessa voglia di ridere e di abbracciare il mondo che avevamo allora.
Perché, fuor di retorica, quella del neo-garage fu davvero una febbre. Contagiosa e pandemica. Come e forse più della scena punk, chi ne fu investito non restò con le mani in mano.
Chi ne fu infettato lo fu fino al midollo: non ce ne fu uno che non mise su una band, stampò una fanzine, tirò su una casa discografica, una tipografia, un negozio di restauro, di dischi, di strumenti. Qualunque cosa. Anche solo per un anno, per una settimana, un solo giorno. I Colori degli Anni Ottanta. I Nostri Colori.

Franco “Lys” Dimauro


SICK ROSE
NO STRANGE
BIRDMEN OF ALKATRAZ
WOODY PEAKERS
BOOHOOS
PIKES IN PANIC
NOT MOVING
FOUR BY ART


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domenica 29 agosto 2010

BRIAN WILSON: BRIAN’S 'HITS' SHOW 'Live' 20/07/05 Ravenna - Pala De André by Wally Boffoli

Un famoso e sfruttatissimo proverbio dice ' ... l'appetito vien mangiando': é capitato a me dopo aver pubblicato l'intervista a Brian Wilson alla vigilia dell'uscita del suo nuovo lavoro; ho cercato e trovato la cronaca che scrissi cinque anni fa, esattamente in questi giorni d'agosto, subito dopo aver assistito in quel di Ravenna ad un suo 'magico' concerto con i Wondermints, in piena rinascita artistica ed esistenziale. Do it again Brian! (W.B.)

Contrariamente a quanto ipotizzato in un primo momento, Brian Wilson e la sua band non hanno eseguito nelle loro due date italiane del 2005, Ravenna e Roma, il superbo rifacimento di SMILE, il lost album per eccellenza degli anni ’60, immortalato di recente in un cd ed in un doppio dvd, entrambi impedibili. Lo SMILE show ha già girato l’Europa e l’Inghilterra ed in agosto-settembre approderà in America. Il BRIAN’S 'HITS' SHOW di Ravenna ha ripercorso con estrema freschezza le entusiasmanti tappe della sua militanza nel BEACH BOYS nei ’60 e ‘70 prima della carriera solista, songs conosciutissime ed altre meno attraverso le quali Brian è andato forgiando uno stile compositivo e melodico unico : uno stile cha ha fatto dire ad Elvis Costello ‘..esiste tutta una tradizione compositiva popolare americana che parte da George Gershwin ed attraverso Cole Porter e Burt Bacharach giunge a Brian Wilson!‘
Ascoltate a Ravenna in ordine più o meno cronologico queste songs hanno dato un’idea inconfutabile di come attraverso gli anni il ‘genio’ compositivo di Wilson, partito dall’estetica surf e da tematiche spensierate ed estive, abbia maturato lentamente profondità armonica e spirituale di altissimo livello.
Wilson e c., in perfetto orario, iniziano con I Get Around ed è già grande festa: i cori sono perfetti, l’effetto strumentale d’insieme ineccepibile e questa sarà una costante che si ripeterà per tutti i 29 brani e l’ora e quaranta dello show. La professionalità, la precisione maniacale e la passionalità interpretativa di Darian Sahanaja, Jeffrey Foskett, Paul Mertens, Probyn e Gregor ex Wondermints sono senza precedenti e non fanno assolutamente rimpiangere i Beach Boys originali.
Si parte da lontanissimo, dall’ingenua ma ancora godibilissima surf-music: Catch A Wave, le meravigliose timeless ballads Surfer Girl, In My Room (dall’album Surfer Girl/1963), Dance Dance Dance, l’inno Help Me Rhonda (con tutta l’audience gioiosamente partecipe!), la fascinosa Please Let Me Wonder, When I Grow Up (to be a man), Do You Wanna Dance (da Beach Boys Today!/1964 -1965), Then I Kissed Her, l’immortale California Girls (il pala De André intero che canta, dai diciottenni ai cinquantenni!!!), The Little Girl I Once Knew, You're So Good To Me (da Summer Days and Summer Nights/1965).
Molte di queste songs, riascoltate dal vivo, in tutto il loro splendore e con i particolari esaltati appaiono già parecchio affrancate dalla semplicità surf e rock&roll degli inizi : le progressioni armoniche sono più ardite, le strutture più complesse, gli arrangiamenti vocali già volano in alto.
A questo punto una cosa mi é apparsa chiara a Ravenna durante il Brian’s ‘Big Hits’ show: Wilson non sta campando di rendita come più di un maldicente saccente vuol far credere, sta vivendo al contrario un momento di grazia incredibile (nonostante periodiche puntuali ricadute afasiche), sta sinceramente ed appassionatamente cercando di restituire al mondo tutta la sua arte, in una veste ancor più sontuosa grazie ai suoi giovani eccezionali collaboratori, alla fedele vicinanza spirituale di Van Dyke Parks ed all’affetto di sua moglie.
Ha iniziato dalla stigmatizzazione del capolavoro PET SOUNDS, si è immerso non senza sofferenza nella ricostruzione integrale di SMILE, sino a resuscitare a Ravenna e Roma con commovente e partecipe naiveté senile tutti i suoi inni giovanili ; seduto alla tastiera, con quel suo sorriso da eterno fanciullo, batteva le mani ripetendo ‘This is rock and roll...' ed incitava il pubblico a cantare con lui.
L’acme dello show è giunto con l’esecuzione di Wouldn't It Be Nice, Sloop John B, l’immensa God Only Knows, lo strumentale Pet Sounds (Pet Sounds/1966), la dimenticata trascinante Sail On,Sailor (Holland /1972); infine in magica successione Our Prayer (un'‘a cappella’ da far accaponar la pelle), Heroes And Villains e Good Vibrations (da Smile): tutti sono ormai in piedi, Wilson e la band escono ma non se ne parla nemmeno!
La standing ovation dopo pochi minuti li fa rientrare, quando in tantissimi si sono radunati sotto il palco, ed è di nuovo un ritorno alle origini: Brian annuncia al microfono un’altra dose di rock&roll ed ecco omaggiato Chuck Berry con Johnny Be Good, quindi l’hit Do It Again, l’immortale Barbara Ann, e le freschissime Surfin' Usa (1963) e Fun Fun fun (Shut Down Vol.2/1964). Brian ‘sembra’ divertirsi tantissimo, imbraccia addirittura per qualche minuto la chitarra ed ingaggia uno scherzoso duello con i compagni. Ma il commiato definitivo è affidato alla delicata, fragile Love And Mercy dal suo primo album solista del 1988. T H A N K S Brian !!!

Wally Boffoli
Photos by Ninni Pirris

http://www.brianwilson.com/index.html

And now...enjoy!... with Brian Wilson and his Band on 2005 Brian's Hits Show 'live': on Glastonbury!
Good Vibrations
http://www.youtube.com/watch?v=TrEK61Ifys0&feature=related
God Only Knows/Sloop John B/California Girls
http://www.youtube.com/watch?v=prrSrtMUDew&feature=related
Barbara Ann/Surfin'USA/Fun Fun Fun
http://www.youtube.com/watch?v=8on-KpziggY
I Get Around/Our Prayer/Heroes And Villains
http://www.youtube.com/watch?v=8NhBeB01U6U&feature=related
Do It Again/Help Me Rhonda
http://www.youtube.com/watch?v=5XM8XebyaN8&feature=channel

sabato 28 agosto 2010

BRIAN WILSON REIMAGINES GERSHWIN / Talkin' with BRIAN WILSON


Brian Wilson é uno dei più grandi compositori del XX secolo: ha fatto della musica pop una forma d'arte, insieme a Paul McCartney, Burt Bacharach e pochi altri. Basterebbero tre brani scritti da lui quando era il genio compositivo dei Beach Boys per garantirgli l'immortalità: GOD ONLY KNOWS, GOOD VIBRATIONS, HEROES AND VILLAINS. 

venerdì 27 agosto 2010

Teenage Attack rock&roll festival: 8a Edizione, 5 / 6 Agosto 2010, Pisticci - by Vincenzo Martino

Pubblico volentieri la cronaca di Vincenzo Martino dell'8a edizione di Teenage Attack, un festival rock&roll che ormai da alcuni anni un gruppo di appassionati di rock (garage in primis) organizzano in Basilicata, Pisticci per la precisione. In questo articolo leggerete probabilmente di bands che non conoscete formate da ragazzi che suonano prima di tutto con passione: chissà che presto qualcuna di loro non si faccia spazio in quel grande circo (direbbero gli Stones) che é il rock&roll; perciò prendete nota (W.B.)


Il primo festival rock’nroll della Basilicata ovvero il Teenage Attack è giunto ormai all’ottava edizione: anche quest’anno il tutto si è svolto nella suggestiva location della villa comunale di Pisticci. In questa edizione abbiamo avuto il piacere di ospitare una serie di bands locali provenienti dalla Basilicata e dalla Puglia: come sempre (o quasi) l’evento si è svolto in 2 serate; la prima denominata 'punkrock night', la seconda ‘sixties night’.
I primi a salire sul palco nella prima serata sono i pisticcesi Lepi In Prazni che tradotto significa 'teste vuote’: hanno saputo tenere bene il palco suonando un’ottimo punk‘n’roll ‘77 e spaziando prima con diversi pezzi originali fino ad arrivare a covers degli Zeros, GG Allin etc….
Si rimane a Pisticci proseguendo con i Routines, formazione nascente che propone dell’ottimo punk-wave. Facciamo un salto in Puglia: degne di nota sono le Nomuzak che arrivano da Bari ed esordiscono deliziando i nostri timpani con del grezzo garage/punk molto primitivo che mi ha ricordato gruppi come Pandoras, Brood ma anche altri gruppetti minori presenti nella storica serie ‘girls in the garages’.
A concludere la prima serata saranno i Random da Matera col loro punk-rock selvaggio: non mi hanno convinto troppo, in giro comunque ho sentito pareri positivi (degustibus).

La seconda serata si apre con i May I Explode? naturalmente di Pisticci, sempre validi nel proporre il loro indie-rock alternativo con influenze elettroniche; poi da Rionero (Potenza) arrivano i Celestialshock con del rock-indie-pop : bravi ma nulla di speciale.
Si prosegue indisturbati con i Barsexuals da Lucera (foggia), formazione di garage-blues/punk dal sound grezzo (forse troppo) e spudoratamente Gories-style .
Finalmente ecco il mio gruppo pisticcese preferito: gli Shadows Of Reflection che ci hanno deliziato con le loro gemme oscure di garage/folk-rock, esibendosi magistralmente con una sfilza di validi pezzi originali per poi passare a qualche cover ben fatta di bands come Dovers, Love e molti altri.
Il cerchio si chiude con i Peanuts: arrivano da Ferrandina (Matera) e sono una Pink Floyd cover-band, ma attenzione i P.Floyd del primo periodo per cui hanno proposto solo cover Barrett-iane ed anche molto bene .
Non conoscevo questo gruppo e secondo il mio modesto parere sono veramente degni di nota: quindi se vi capita di leggere il loro nome in giro andate a vederli.

Al termine delle due serate Donty, Arthur Green e Caveman 78 ci hanno fatto ballare con del buon garage, beat, soul fino a notte fonda.
Anche quest’anno dopo mille difficoltà siamo riusciti a metter su un’altra edizione del nostro caro festival sperando di aver comunicato ai presenti un po’ di ‘good vibrations’.
Non mi resta che darvi appuntamento al prossimo anno: nell’attesa divulgate sempre e comunque il verbo rock’n’roll. Lunga vita al Teenage Attack.

(nella foto a destra The Shadows Of Reflection)


VINCENZO MARTINO
http://www.myspace.com/teenageattackfestival
http://www.youtube.com/watch?v=XFcBXgcqS9Y

Cult Records / KRISTYL : Kristyl (stampa privata - 1975) by Paolo Casiraghi

Paolo Casiraghi con questa nuova recensione continua a segnalarci in questa rubrica dischi 'perduti', dimenticati: tanto più meritoria é la sua opera certosina di archeologia che spero intensifichi nel tempo. (W.B.)

Nell'immmenso panorama (oserei dire quasi un pozzo senza fine) delle band cristiane degli anni '70, denso di stampe private ad opera di sconosciuti adoratori del Signore svettano numerosi capolavori quali Fraction, Shadrack, All Saved freak band, Azitis e il monumentale album omonimo dei Kristyl, band di Louisville, Kentucky.
Stampato originariamente in 200 copie su vinile sottilissimo ed economico, rappresenta forse il punto piu' alto dell'intero movimento; sconosciuti per anni sono stati riscoperti (e ristampati) sia su vinile alla fine degli anni'80 e su cd (probabilmente bootleg) negli anni '90.
Ma veniamo ai contenuti....il genere e' un rock cristiano melodico con sfumature psichedeliche (nonostante i testi siano chiaramente contrari all'uso di droghe) con due chitarre cristalline ma con ottimi effetti , buono e pulito il cantato.
Canzoni come Deceptions of the mind , Morning Glory e soprattutto l'incredibile Valley of the life , con il suo incedere chitarristico epico e maestoso rappresentano il puro esempio di rock americano della meta' degli anni '70 con evidenti richiami al sound californiano della fine degli anni '60.
In definitiva un disco rarissimo ma una meta obbligata per coloro che adorano il genere: come Relatively Clean Rivers per esempio potrebbero tranquillamente far parte della collezione degli amanti del rock rurale alla Grateful Dead (Workingman's Dead era) e del Neil Young elettrico di Everybody knows this is nowhere.
Incredibile la copertina , tipo demo tape , con un serpente disegnato a mano che abbraccia la Terra.
Raro cimelio , un passaggio obbligato per molti di voi sebbene le liriche religiose potrebbero risultare ostiche a lungo andare: ...well, non pensateci , loro addirittura pensavano che il loro album avrebbe potuto cambiare il mondo.
Forse avevano ragione.
Ho ancora i brividi. Da recuperare assolutamente....

PAOLO CASIRAGHI

http://psychemusic.org/JESUSrock.html#anchor_192
http://theancientstar-song.blogspot.com/2007/08/kristyl.html

giovedì 26 agosto 2010

LEIGHTON KOIZUMI : Graveddiger V, The Morlocks ... la leggenda continua -- by Wally Boffoli

Alla vigilia del concerto torinese dei Morlocks e subito dopo l'uscita ufficiale del loro nuovo lavoro PLAY CHESS ho tracciato (sperando farvi cosa gradita) la tormentata storia di LEIGHTON KOIZUMI, una vera e propria leggenda della scena garage-punk internazionale attraverso le vicende dei GRAVEDIGGER V, dei MORLOCKS, la loro discografia ed un'intervista del 1987 (W.B)


La straordinaria avventura di Leighton Koizumi inizia a San Diego nel 1983 con il chitarrista Ted Friedman ed i The Gravedigger V, in pieno garage-revival californiano, mentre a New York cominciano a farsi largo Chesterfield Kings e Fuzztones. A differenza di altre bands californiane come i Tell Tale Hearts e gli Untold Fables i G.5 pur eseguendo molte covers non condividevano sino in fondo l’estetica dell’imitazione pedissequa delle garage bands dei sixties: nella brevissima vita della band Leighton fece subito terreno bruciato intorno a sé con il selvaggio screamin’-style che imperversava nelle sue interpretazioni, per non parlare del campionario di echoes, feedbacks e fuzz della chitarra solista di Ted Friedman. Gli inizi erano stati quasi disastrosi, i loro shows lasciavano molto a desiderare: Shelly Ganz degli Unclaimed che assistette alla loro prima esibizione durante un party disse che era la prima band che riusciva a sbagliare gli accordi di Wild Thing; eppure ne avevano passato di tempo ad esercitarsi su quel classico come su Gloria.
Con l’aiuto di Ron Rimsite, artefice della fanzine garage 99th Floor progredirono in poco tempo sino ad attirare l’attenzione del guru della scena garage californiana Greg Shaw che produsse nel 1984 per la Voxx il loro primo album All Black And Hairy, divenuto negli anni un’icona per gli appassionati del punk-garage di ogni nazionalità.
All Black And Hairy conteneva alcune covers come il brano omonimo del leggendario Screaming Lord Sutch, una delle influenze di Leighton , Night of the Phantom(Larry and the Blue notes) ma anche dei brani scritti di loro pugno come Stoneage Stomp, She’s a Cure, She’s gone.
Nel 1987, sempre per la Voxx e prodotto da Greg Shaw uscì The Mirror Cracked, una compilation di prove in studio e live che Leighton rinnegò totalmente affermando che era stata una trovata di Greg Shaw per incassare denaro sfruttando la loro immagine.
Quando esce il loro primo ed unico album in studio i Graveddiger V non esistono più e The Morlocks sono già realtà: incidono nel 1985 Emerge per la newyorkese Midnight Records di Jordan Tarlow (ex Outta-Place) che sarà ristampato nel 2008 da Area Pirata, suonando su una strumentazione dei Tell-Tale Hearts semidistrutta durante un loro concerto a San Francisco due giorni prima.
Emerge mostra una band indirizzata verso sonorità garage più intricate, infuocate quasi per nulla revivalistiche: le dissolute In The Cellar, 24 Hours Every Day, Born Loser, sino all’originale One Way Ticket hanno in carico un vocalist già abbondantemente sguaiato, che due anni dopo dichiarerà senza peli sulla lingua in un’intervista ad un noto rock-magazine italiano
'...il garage per i Morlocks non é quello di Los Angeles: lì è divenuto un gigantesco fashion show di gente in camicie paisley e beatle-boots; la mia band é profondamente influenzata dagli Stooges, Mc5, dal Detroit sound e dalla violenza chitarristica; i Morlocks credono nel chaos, nel rumore, nella violenza. La stessa cover di I Got A Right degli Stooges che eseguiamo sta a testimoniare che il nostro sound é noise fondato su una concezione di rock censurabile, duro e null’altro! I Gravedigger V invece erano fans degli Who e delle sixties bads texane, Stoics and Elevators '.
Ron Rimsite scriverà nel numero 7 (85-86) di 99th Floor che i Morlocks erano la più grande band garage del mondo, che in quei mesi aveva assistito in alcuni clubs di Los Angeles ai loro shows selvaggi ed incredibili: aveva sentito ragazzi eccitati dire che erano la più grande band live dopo gli Stooges.
Dopo l’incisione di Emerge i Morlocks si trasferiscono a San Francisco: San Diego era troppo piccola ed opprimente ed il loro sound non era compreso; a San Francisco la gente era molto più open-minded e il garage privo di compromessi dei Morlocks poteva estrinsecarsi senza problemi.
La dimensione live è la più consona ad esprimere tutte le potenzialità di un performer così carismatico e così Submerged Live registrato a Berkeley nel 1986 ma stampato dalla Epitaph di Brett Gurewitz nel 1988 è il primo di una serie di live albums: registrato molto bene, contenente alcune covers diventate dei classici delle performances infuocate dei Morlocks: il r&b cadenzato Get out my life Woman(A.Toussaint), la dura Leavin’here (Holland/Dozier/Holland), Your body not your soul(Cuby & the Blizzards); ma ci sono anche gli originali Different World, lenta ed oscura e My Friend the Bird il brano più rappresentativo dell’inquietante, sottile ispirazione dark-garage dei Morlocks.
Anche il terzo album è dal vivo, tra 1986 ed il 1988 in San Diego, Los Angeles e Berkeley con esiti alterni ed esce per un’etichetta croata, la Listen Loudest nel 1991: Wake Me When I’m Dead, titolo oscuro ed emblematico mette in mostra una bella sfilza di brani ‘deep sixties’ da violentare; You Mistreat Me(Outsiders) Born Loser (Murphy & the Mob), Cry in the Night(Q 65), Double Decker Bus(Count V), By my Side (Elois), Superstupid (Funkadelic) ...sì perché Leighton non si cruccia di dichiarare
amo il funk e la sua carica sessuale, sesso e violenza! Ma prediligo ascoltare il rock australiano: Radio Birdman, New Christs, New Race…senza dimenticare i Motorhead ma soprattutto i Rolling Stones, la mia band preferita in assoluto’. Ed aggiunge sfacciatamente ’ …i Morlocks sono molto diversi dai Graveddiger 5: quelli erano ragazzi stupidi ansiosi solo di avere i loro stivaletti alla Beatles, i Morlocks rappresentano la parte violenta del rock&roll. Per questo io non amo i Tell-Tale Hearts…che senso ha cercare di essere i nuovi Pretty Things? Questa mentalità, questo modo di suonare è infantile, noioso! '.
Wake Me When i’m Dead contiene anche un brano firmato da Leighton ed altri autori, You Must Not Be Seen As I Am, singolo uscito insieme a She’s My Fix nel 1987, brano complesso e torturato che dimostra quanto fosse elastica ed onnivora la concezione del garage da parte di Leighton e c.; ed inaspettatamente una versione apocalittica di Nile Song dei Pink Floyd (More soundtrack).
I motivi per cui i Morlocks non tornarono in studio in quegli anni, incidendo però molti live furono i problemi che ebbero con le droghe: sempre in quell’intervista del 1987 Leighton affermò che ne avevano provate di ogni tipo toccando il fondo, ma che finalmente se ne erano (più o meno) liberati. Scompare dalla scena garage per molto tempo mentre gira la voce che era stato ucciso dall’aids durante gli anni ‘90 : invece riappare in forma a San Diego agli inizi del nuovo millennio, portando avanti per breve tempo un nuovo progetto, i Featherwood Junction con i quali suonerà molto dal vivo. Nel 1997 la fiamma della leggenda Morlocks era stata ravvivata dalla pubblicazione della Voxx di un loro live del 1985 a San Francisco: Uglier Than you’ll Ever Be!
In realtà si deve lavorare parecchio di immaginazione sulla validità dello show perché la registrazione lascia molto a desiderare: oltre gli ormai classici My Friend The Bird, Get Out My Woman, Leavin’ Here, appaiono delle rivisitazioni selvagge di The K, I Need You (Kinks), Outside Looking In (Bad Roads’ Too Bad), When The Night Falls (Eyes), I Got Nightmare (Q 65).
Nel 2004 Leighton, dietro sollecitazione dei suoi incalliti fans italiani fa la sua apparizione proprio qui da noi accasandosi con l’Ammonia Records ed i tre ottimi punk-garagers Tito and the Brainsuckers: con loro come backing band torna in studio dopo la bellezza di 17 anni dimostrando di non aver perso assolutamente smalto ed energia; When The Night Falls e le successive apparizioni live italiane rappresentano la sua magnifica resurrezione reimponendo Leighton Koizumi all’attenzione di addetti ai lavori e fans indefessi. Tredici i brani, tutti sixties-covers rivisitate dal nostro con rinnovata carica animale e suonate da Tito e c. davvero con una grinta unica. Spiccano per energia superiore Milkcow Blues (Chocolate Watch Band), No Friend Of Mine (The Sparkles), Born Loser (Murpy and the Mob) ma soprattutto una No Fun carica e deviata che non ha nulla da invidiare ad Iggy. Notevoli anche le lente Signed D.C. (Love) e When The Night Falls con un lungo e psichedelico solo finale di Tito Lee.
Quattro anni dopo (2008) la rinnovata formazione dei Morlocks entra in studio con due chitarristi validissimi, Lenny Pop e Bobby Bones: con loro ed una sezione ritmica da urlo (Marky:drums e Nic Jodoin: bass) Leighton Koizumi aggiunge un ennesimo mattone alla sua leggenda incidendo per l’eccellente etichetta garage italiana Go Down Records Easy Listening For the Underachiever, che per dinamicità e feeling è qualche gradino al di sopra di When The Night Falls. In Dirty Red, Sex Panther, Cat (on a hot thin groove) dimostra davvero di essere rimasto l’ultimo performer dell’oltraggio prodotto dal rock contemporaneo: il suo repertorio ormai collaudato e sempre contagioso di urla strozzate e singulti volgari con cui strapazza le performances fanno buona compagnia (se non surclassandolo a volte) a quello dell’altro redivivo delle scene Iggy Pop. Eccezionali anche le due versioni (studio-live) di You Burn Me Out, con un riff micidiale che farebbe stramazzare al suolo un elefante, e l’interpretazione perversa di Leighton dell’immortale Teenage Head (Flamin’ Groovies).
Arriviamo così ai giorni nostri ed al nuovissimo disco in studio dei Morlocks Play Chess, presentato ufficialmente agli addetti ai lavori e pubblico il 25 Agosto 2010: Play Chess mostra un volto inedito di Koizumi, ma vi rimandiamo a questo punto alla recensione estesa apparsa
su Music Box.

WALLY BOFFOLI

http://www.youtube.com/watch?v=mOCQCM7UIlg&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=r88lquSqOJs&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=aV65njH7WTY
http://www.youtube.com/watch?v=yxprSAfC6Fo&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=WHLXhQMu3ds
http://www.myspace.com/themorlocks
http://web.tiscalinet.it/wrongway/leighton/index.htm
http://www.ammoniarecords.it/ita/discografia/Leighton/Leighton_when.htm

Gravedigger V discography:
All Black And Hairy; LP (Voxx, 1984)
The Mirror Cracked; LP (Voxx, 1987)
All Black And Hairy / The Mirror Cracked; two-fer CD (Voxx/Bomp, 1994)

Morlocks Discography
Singles:
She's My Fix/You Must Not Be Seen As I Am 7" (Earache, 1989)
Under The Wheel/Hurricane A' Coming 7" (Iloki, 1991)
I Don't Do Funerals Anymore/Nightmares 7" (Dirty Water, 2008)
Albums:
Emerge LP (Midnight, 1985) (Rist. da Area Pirata, 2008)
Submerged Alive LP (Epitaph, 1988)
Wake Me When I'm Dead LP (Listen Loudest, 1991,Croatia)
Uglier Than You'll Ever Be! CD (Voxx, 1997)
Easy Listening For The Underachiever CD, LP (Go Down Records, 2008)
Play Chess (Popantipop, 2010)

Leighton Koizumi (with Tito & The Brainsuckers): When The Night Falls (Ammonia Records, 2004)

martedì 24 agosto 2010

Ascolti anomali di un cantautore : Neil Young by Ruben

Noi di Music Box abbiamo aspettato anche troppo per omaggiare in qualche maniera l'immarcescibile Neil Young, una delle nostre guide spirituali, artista a tutto tondo dall'ispirazione inesauribile anche se discontinua, campione del rock acustico ed elegiaco come di quello elettrico e sonico. Rimediamo parlando sinteticamente, grazie all'amico cantautore Ruben, di tre dischi di Neil Young degli anni '90 cui siamo molto legati, tre piccole gemme della sua sterminata discografia che parte dagli anni '60 giungendo ai giorni nostri.
Inauguriamo la pubblicazione in calce ad ogni articolo di un direct link a You Tube che vi introduca subito nel mood dell'opera trattata. Buona lettura e buon ascolto (W.B.)




NEIL YOUNG & THE CRAZY HORSE : SLEEP WITH ANGELS (1994-Reprise)

La dolcezza dell’iniziale My Heart e la successiva, tutto sommato nella norma, Prime Of Life non traggano in inganno: le note iniziali di Driveby, cupa ed avvolgente, ci portano dritti ad uno dei dischi “recenti” più riusciti del Nostro. Memorabile il riff sulfureo di Sleeps With Angels, composta per la morte di Kurt Cobain quando ormai il disco era già finito, ma che estrinsecamente finisce per definire il mood oscuro di questo lavoro. Western Hero e Train Of Love sono ballate gemelle nell’apparato musicale. Ma è la chilometrica Change Your Mind a stamparsi in modo indelebile nei nostri cuori: un nuovo grande classico del Canadese insieme al Cavallo Pazzo (così bisognerebbe sempre registrare il rock! Live in studio, “e a culo tutto il resto”!). In Blue Eden ed Old Black la benemerita sei corde di Mastro Neil Young trova nuove profondità.
Incantano le atmosferiche Safeway Cart e Trans Am. Piece of Crap è una salutare frustata.
Chiude l'elegiaca A Dream That Can Last, ricollegandosi nelle atmosfere al primo brano.
Ma quando mai mi capita di parlare di un disco e di citare tutti i brani? Vorrà dire pur qualcosa ...

http://www.youtube.com/watch?v=LvPsYgHmraI
http://www.myspace.com/neilyoung

NEIL YOUNG : HARVEST MOON (1992-Reprise)

Strombazzato come il seguito di Harvest (il disco che ha consegnato il loner canadese alla Storia), è un lavoro pervaso da atmosfere notturne e delicate (Harvest viene solitamente definito come “solare”, ed è molto più abrasivo di quello che potrebbe sembrare…).
Contiene tutta una serie di brani che sono diventati dei nuovi classici younghiani, da Unknown Legend a Harvest Moon, da From Hank To Hendrix alla conclusiva, meravigliosa, Natural Beauty (l’ho suonata chissà quante volte…).
Da ricordare anche Dreaming Man, una piccola perla.
Riascoltando oggi il disco mi ha infastidito un po’ l'ampio riverbero utilizzato a man bassa su voce ed altro; magari un ambiente più raccolto avrebbe giovato, e conferito maggiore intimità a canzoni che la danno e la esigono.

http://www.youtube.com/watch?v=ZaIegJDyoaQ



NEIL YOUNG & THE CRAZY HORSE: RAGGED GLORY (1990-Reprise)

Potrei cavarmela con uno “Yeah”, e avrei detto tutto.
Dopo il variegato Freedom, il Canadese richiama i fedelissimi Crazy Horse – che io amo alla follia – e incide questo monumentale album, dove la mitica Old Black e la sua sostituta occasionale (sempre una Les Paul Standard del ’53) si producono in lampi, tuoni e meraviglie.
Memorabile Fucking Up, ripresa spesso live dai Pearl Jam, ma è difficile in un disco come questo indicare un brano piuttosto che un altro. Giusto per curiosità, la conclusiva Mother Nature, che ricalca nella melodia il tradizionale The Water Is Wide, ripreso da Dylan ed infiniti altri.
Seguirà un tour straordinario per intensità e coinvolgimento nelle esecuzioni, documentato nell’imperdibile cd e vhs Weld.
A causa del volume feroce sul palco, Neil diverrà affetto da tinnitus, che gli consiglierà suoni meno invasivi.
Ma il Cavallo Pazzo è sempre dietro l’angolo: scalpita, smanioso di cavalcare e cavalcare…

http://www.youtube.com/watch?v=PFxeQQZp8lg&NR=1

RUBEN
http://www.facebook.com/profile.php?id=1096404579&ref=search

lunedì 23 agosto 2010

THE JAM AT THE BBC 1977-1981 (Universal International - 2002) by Wally Boffoli

Il recentissimo concerto di Paul Weller al Traffic Festival di Torino (live-report MB di Claudio Decastelli) ha riportato per un'ennesima volta l'attenzione di fan (mods e no) e addetti ai lavori sull'enorme operato artistico del musicista anglosassone negli ultimi (quasi) trentacinque anni, a partire dagli splendidi Jam in odore punk, attraverso gli stilosi Style Council, il Paul Weller Movement sino alla carriera solista costellata di splendide opere. Weller non dimentica mai di rievocare i gloriosi Jam nei suoi spettacoli; anche a Torino il 19 luglio ha eseguito Pretty Green e Start dall'album "Sound Affects" del 1980. 

Anche per questo mi piace riproporre un mio articolo scritto e pubblicato nel 2002 dal web-magazine Music Boom sul doppio cd (triplo con il bonus cd) "THE JAM AT THE BBC 1977-1981" (2002) eccellente compendio live, curato dal proverbiale marpione John Peel, dell'intera mirabolante parabola creativa ed artistica del trio inglese, leader amatissimi del movimento mod internazionale negli anni '70-'80.
Nel malaugurato caso qualcuno non avesse alcun documento sonoro dei Jam io lo indirizzerei senza esitare su questa opera pubblicata otto anni fa. (W.B.)


E' risaputa la voracità di John Peel, santone, talent-scout e personaggio chiave della scena rock britannica degli ultimi decenni nell'assicurarsi in anteprima chicche e prestazioni dei più importanti artisti e bands: le numerose sessions da lui organizzate per la BBC stanno vedendo la luce poco alla volta, quasi alla chetichella, ma rappresentano sempre una sorta di fedele e preziosa cartina al tornasole delle capacità nude e crude interpretative e compositive di tanti artisti.
Potete immaginare quindi come John sia riuscito a catturare più che efficacemente in studio l'energia live dei JAM di Paul Weller, una delle più influenti bands anglosassoni a cavallo tra i '70 e gli '80, in queste BBC Sessions uscite 2002 prima dell'estate.
Vi riporto alcuni stralci delle sleeve notes di Adrian Thrills contenute nel booklet interno: perché sono convinto sia fondamentale per penetrare la temperie di quelle registrazioni storiche.
'...La prima John Peel Session dei Jam fu registrata nello storico studio della BBC Maida Vale (che aveva ospitato in passato le sessions di Beatles,Kinks, David Bowie e T.Rex) nell'aprile del '77 e trasmessa nei primissimi giorni del maggio prima della pubblicazione del loro primo album In The City, sempre nel maggio '77. In pochissimo tempo disponibile le session immortalarono delle primitive, energetiche versioni di tre brani di In The City, Art School, I've Changed My Address e l'omonimo In The City più il nuovo brano The Modern World. Tutto era approssimativo ed istintivo, ma per una band che stava nascendo le sessions erano un'esperienza importante.'

Ed aggiunge lo stesso Weller: 'I brani erano suonati dal vivo. Potevi aggiungere giusto forse un pò di feedback e overdub-guitar prima di registrare le voci. Eravamo alla mercé degli engineers perché in quei giorni non ne sapevamo abbastanza di tecniche di registrazione, ma essi lavoravano bene. Eravamo ingenui ma ne beneficiava l'urgenza espressiva. Oggi molte bands sembrano conoscere molte cose dei metodi di incisione. Sanno come inserire una sezione di archi ed effetti speciali, ma non riescono a catturare la crudezza'.

Le successive due Peel Sessions alla BBC del '77 e del '79 contenute nei due dischetti accompagnano precedendole o seguendole di pochissimo le pubblicazioni dei loro album successivi, "This Is The Modern World", meno punk e già più influenzato dalla cultura mod (dice Thrills), ed il concettuoso maturo Setting Sons : ad alimentare impietosamente la nostra nostalgia songs impetuose ed indimenticabili come London Girl, Carnaby Street, All Around The World, Eton Rifles, Thick As Thieves, Saturday's Kids, emblemi lapidari di una passione/epopea mod letteralmente edificata da Paul Weller/Bruce Foxton/Rick Buckler e che alla fine del 1979 aveva fatto dei Jam un'istituzione nazionale.
Ben rappresentato invece nei dieci brani 'live' (giugno '78) al Paris Theatre in Regent Street per la serie 'In Concert' sempre della BBC, il terzo album dei Jam, All Mod Cons con Billy Hunt e 'A' Bomb In Wardour Street insieme a molti brani da Modern World.
L'ultima studio-session è dell'ottobre 1981, per Radio 1's B15 con i Jam in pieno trip funky-soul: ecco i fiati di Absolute Beginners ma anche i lirici riverberi di Tales From The RiverBank e Funeral Pyre; una chicca di questa session é la versione, come al solito cazzuta ed adrenalinica di un classico Atlantic di Arthur Conley, Sweet Soul Music (prima di allora i Jam avevano violentato altri standard r&b come gli Who prima di loro e come tradizione mod voleva ... In The Midnight Hour, HeatWave).
Ma questo momento particolare dell'evoluzione artistica dei Jam é fotografato al meglio dal secondo 'In concert' per la BBC, all'Hippodrome Theatre in Golden Green (Dicembre 1981): nel marzo '82 esce il sesto album in studio, The Gift. E' anche il periodo del massimo impegno 'politico' dei tre con concerti-beneficenza per la Campagna per il Disarmo Nucleare e per Rock Against Racism : all'Hippodrome Theatre eseguono molti brani dell'imminente The Gift, ed ecco il detroit-sound di A Town Called Malice, Precious, The Gift...ma anche Pretty Green (arricchita a meraviglia dai fiati) e la beatlesiana Start! dall'album Sound Affects.
Fermo restando l'enorme valore storico delle John Peel Sessions a mio parere, la vera chicca di questo "The Jam At The BBC" é il terzo bonus disc a tiratura limitata, registrato live sempre per la serie BBC 'In concert' al Rainbow Theatre il 4 dicembre 1979: perché riproduce fedelmente l'atmosfera incandescente e sudata tipica delle performances dei tre; l'album Setting Sons era uscito un paio di mesi prima e i Jam erano al massimo della loro energia creativa ed esecutiva, lo dimostrano questi 18 brani che pescano generosamente nel repertorio del precedente All Mod Cons, vero manifesto della mod-culture con il sorprendente e sospeso Mr. Clean, capolavoro chiaroscurale, To Be Someone,l'epica Down In Tube Station At Midnight,All Mod cons, It's Too Bad, la conclusiva Kinks-cover David Watts...e nell'imminente, epocale album "Setting Sons" con versioni intensissime e fulminanti di Eton Rifles, Private Hell, Burning Sky, Smithers-Jones...ma c'é anche la delicata The Butterfly Collector, When You're Young, Girl On The Phone, Away From The Numbers.
Un pezzo di storia rock, della nostra storia e preziosa memoria rock che ritorna....non fatevelo sfuggire!
wally boffoli
http://www.paulweller.com/thejam.php
http://www.thejamfan.net/welcome.htm


mercoledì 18 agosto 2010

SLOVENLY 2010 SAMPLER (Slovenly Recordings)

SLOVENLY 2010 SAMPLER - THE ANOMALYS - THE RIPPERS: quando la Bassa Fedeltà diviene ragione di vita
Avevo avuto già nel 2001 contatti con bands della Slovenly Recordings, quando si chiamava 702 Records ed era una piccola etichetta americana nata nel 1994 dall’intraprendenza di Pete Menchetti, appassionato giramondo alla ricerca di bands da mettere sotto contratto e che rispondessero alla sua concezione di rock sporco, primitivo e punkoide. A questo punto non me ne vorrete se intreccerò questa recensione con alcuni avvenimenti musicali della città in cui vivo perché il destino lo esige.
Nella seconda metà anni ‘90 ed inizio nuovo millennio a Bari esisteva un manipolo di ragazzi appassionati davvero coraggioso che organizzava (anche a costo di perderci) concerti delle bands più di nicchia in ambito indie, hardcore, garage ma soprattutto lo-fi: era l’associazione 8 Pecore Nere di Corrado Massari che non ringrazierò mai abbastanza per quello che allora hanno fatto, svecchiando un ambiente musicale cittadino incartapecorito.
Senza Creanza era una loro filiazione gestita da Mario La pecorella che andò ancora più in là: dopo aver fatto venire da Chicago il combo Sweep The Leg Johnny con il loro post-rock iperurbano si assicurò l’esibizione di due bands olandesi sconosciute, Dexter e Lo-Lite: durante il loro Garagepus 2001 Tour. Fu un piccolo ‘grande’ avvenimento a Bari perché molti, tra cui chi scrive, presero coscienza grazie all’esibizione di individui provenienti dalle fogne di Amsterdam di un approccio rock esecutivo che a livello internazionale aveva già fatto molti proseliti (Bassholes, ’68 Comeback, Gories), cioè la ‘bassa fedeltà’ o lo-fi (già esistente da tempo nel garage) che dir si voglia e che negli anni successivi ed a tutt’oggi avrebbe preso piede in modo massiccio tra i giovani musicisti dediti soprattutto al blues. Furono due live-acts sporchi, assordanti, primitivi.
Qualche giorno dopo li contattai on-line e li intervistai per la fanzine cartacea che realizzavo allora, My Own Desire. Un anno dopo, nel 2002, la 702 Records mutò ragione sociale in Slovenly Recordings; anche il suo boss divenne Pete Slovenly ma non cambiò le sue ‘fisse’ artistiche, anzi le esasperò dando vita ad un catalogo sterminato non secondo a mio parere ad altre etichette dedite agli stessi sotto-generi di nicchia, come la Voodoo Rhythm di Reverend Beat-Man (di cui parlerò presto in questo rock-blog): in questi ultimi anni la Slovenly Rec. ha pubblicato una miriade di vinili 45 giri, E.P., LP e CD di bands provenienti da ogni angolo del mondo, tutte con la medesima selvaggia attitudine lo-fi nel seviziare rock&roll, punk, garage, blues.
Ottima quindi l’idea di (DJ) Pete Slovenly di sintetizzare in un sampler di ben 44 brani (…un’ora e mezza) il suo catalogo denso ed un po’ dispersivo: ad inizio estate mi giunge da lui per posta (e poi per e-mail) un codice per download(arlo) free dal sito dell’etichetta: nulla di più gradito come caveau estivo.. Se esplorate www.slovenly.com potrete farlo anche voi. Il sampler è uno strepitoso manifesto di estetica lo-fi che rappresenterà un prezioso quotidiano compagno di vita per chi il genere già lo conosce e ne apprezza le compagini più spigolose: gli altri non avvezzi sono pregati di tenersene cautamente alla larga perché potrebbe sverginare pericolosamente le loro orecchie troppo delicate e pregiudicarne le funzioni.
Le bands più conosciute presenti nel sampler sono anche le più ‘normali’ e ortodosse: vale per il mod-garage squisito ed orecchiabile degli Insomniacs (Switched On) custodi del primigenio furore Who, i Reigning Sound dell’ex-Oblivians Greg Cartwright (Your Love), il decano garage-rocker inglese Billy Childish & The MBE (It Should be me), ma anche gli spagnoli Wau & Los Arrrghs!!!(It’s Great – Piedras) che si attestano su due brani non più che simpatici d’estrazione sixties.
Si comincia a far sul serio con il loro ex compagno di scuderia Voodoo Rhythm, King Automatic che con Closing Time sigla un episodio accattivante che definire garage è limitativo.
Prima di lui i Black Lips (anche loro tra i più noti) e Magnetix ci introducono con Stoned e Positively Negative in un ambito noise vizioso e corrosivo dove il rock appare cadavere violato da condors aggressivi, ridotto a qualcosa di non facilmente etichettabile.
Ape City R&B (Dynamite) non sono da meno stordendo con un attacco sonico micidiale.

THE ANOMALYS Self Titled (Slovenly Rec / 2010)
Dopo questi primissimi brani ecco gli olandesi ANOMALYS (con Memme, ex Dexter, drums), una delle brucianti rivelazioni di questo sampler: il loro Black Hole Blues è un ammasso di suoni e feedback fuori controllo sorretto da una batteria poco incline a normalizzare il tutto che sfugge a qualsiasi catalogazione.
Esattamente lo stesso incubo sonoro si respira nel primo omonimo cd degli ANOMALYS, recentissima uscita Slovenly d’inizio estate 2010: le note dell’etichetta li etichettano come l’unico ‘negative tequila rock’n’roll sex’ trio olandese in circolazione; in effetti l’umore di questi 9 brani parossistici è quello di un rockabilly sfigurato da una sbronza pesante e cattiva, disossato (come quello dei Dexter sunnominati) e privo di basso. Dall’iniziale, ancora disponibile Anomalys Now!, strumentale posto all’inizio, il sound s’incattivisce man mano attraverso Rock’n’roll World e Kiss’n’run con su gli scudi Bone, vocalist perverso ed esasperato e percussioni out of control.
La lenta Ain’t got a lot to give rivela il pathos interpretativo crudo e tragico di un grande Bone.
Le danze riprendono più frenetiche di prima con See me bleed (Darby Crash…do you remember?): grande esasperata song, da tempo non ascoltavo qualcosa del genere..fidatevi!
E’ sangue e linfa punk quella che percorre le corde di Potlood e c.: Soul Saver ne è fremente depositaria mentre a sorpresa Sorry State mette in scena un attacco garage dal riff chitarristico quasi sixties, degenerando magnificamente nel finale. Gli Anomalys non si fanno mancare nulla: dopo un’assatanata Fatal Attraction che avvince visceralmente si lanciano in Sex, un grezzo boogie-blues con tanto d’armonica che va a finire in un sabba di voci ed oggetti battuti sui tavoli: solo in una cantina adibita a locale rock potrete godere di tanta spontaneità ed eccitazione.
Grande disco.
http://www.myspace.com/theanomalys

Ma torniamo al Sampler Slovenly 2010: impossibile sfuggire all’onda d’urto punk- lo-fi di bands pressoché sconosciute (presenti in alcuni casi anche con due brani) come Losin Streaks (Beg, Steal or Borrow), gli invasati Hollywood Sinners(spagnoli, con Little Girl) ed i messicani Los Explosivos (Miedo), Spits presenti con tre brani ma letteralmente indemoniati in Rat Face, Chimiks (Feel really good), Low Point Drains (Baby’s night out). Los Fregaplatos massacrano alla lettera la classica Ain’t got you (chissà se gli Yardbirds si stanno rivoltando nella tomba!) con armonica dissoluta e chitarre rugginose pescate in qualche cassonetto.
Subsonics riescono ad evocare fantasmi Velvet Underground (quelli di Loaded per la precisione) con A Blues you oughta get used to: tutte le sfumature possibili del garage-lo fi corrotto dalla furia eversiva del punk sono presenti in questa compilation servita su un un piatto d’argento da DJ Pete: sembra quasi di vederlo appollaiato sulla sua postazione guardare compiaciuto come riesce a frastornarci con i colpi bassi di individui privi di qualsiasi ritegno come Introducers (Wicked), Digger & The Pussycats (Night of two moons), The Sess (ABC).
L’elenco è davvero lungo e ci si perde tra tanta abbondanza di allettanti proposte soniche che non sanno il compromesso dove abita. Lascio ai più volenterosi il piacere di esplorare gli anfratti di questo documento sonoro davvero impedibile: esso ci congeda con un brano che è il picco dell’ottica torbida lo-fi nel nuovo millennio: New Wipeout dei Vex Ruffin & The Lo-Fi Jerkheads (nome che è tutto un programma), suoni/voce che si compiacciono di essere border-line!
Io invece non posso congedarmi prima di sottolineare che i due brani degli italiani-sardi The Rippers (Out of my head for a day e Right time to kill you) presenti non rallentano assolutamente il ritmo di questa maratona sonora, vi partecipano apportando anzi un palpitante contributo espressivo.
http://www.slovenly.com


THE RIPPERS : Why Should I Care About You? (Slovenly Rec./ 2009)
The Rippers sono una band affermatasi ormai a livello internazionale: con Why Should I Care About You? uscito l’anno scorso su Slovenly hanno consacrato per così dire questo hype con una serie di brani all’insegna del loro proverbiale frenetico tiro e del vocalismo sempre efficace di Paolo che usa costantemente la sua armonica come un’arma impropria. Brani come This Afternoon e My Brown Friend proprio per l’uso seriale dell’harp non sono immuni da seduzioni blues e pub-rock, ma la stessa anfetamina chitarristica e ritmica di episodi come Into This Place, If You Walk Alone, Right Time to Kill You ci riporta inequivocabilmente (non so quanto consciamente da parte dei Rippers) all’energia contagiosa di indimenticabili fuoriclasse inglesi come Dr.Feelgood, Eddie & The Hot Rods, Inmates, che precedettero di pochissimo l’avvento del punk; ma a ben ascoltare anche fantasmi dei primissimi Rolling Stones si aggirano nei solchi concitati di I Wanna Put You Out Of My Head, Into This Place e nei brevi ChuckBerry-ani solo chitarristici.
Quello dei Rippers e di questo ultimo cd non mi pare insomma il garage ortodosso di chi ne abbraccia con i prosciutti sugli occhi la fede, quanto il sound maturo di una band che non si sottrae alla fascinazione rock-blues di stimoli provenienti da decadi passate e non certamente e strettamente dall’ambiente garage.
www.slovenly.com/rippers
www.myspace.com/therippersinaction

PASQUALE 'WALLY' BOFFOLI